Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

I divorziati risposati e quei teologi che strumentalizzano la “Familiaris consortio” di San Giovanni Paolo II

I DIVORZIATI RISPOSATI E QUEI TEOLOGI CHE STRUMENTALIZZANO LA FAMILIARIS CONSORTIO DI SAN GIOVANNI PAOLO II

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La Familiaris consortio, appunto perché tocca solo il foro esterno, non sfiora neppure la questione in esame, caratteristica del foro interno, ossia della condizione o dello stato o del dinamismo interiore della volontà dei conviventi e lascia quindi aperta la porta alla legittimità della discussione in atto nel Sinodo, se, in certi casi gravi, ben precisati e circostanziati, con forti scusanti, i divorziati possano o non possono accedere ai Sacramenti.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Ariel S. Levi di Gualdo in compagnia del cane da guardia di una casa religiosa di Castel Gandolfo. Egli nutre particolare affetto per i vecchi Domini canes di pura razza, che da sempre è in grado di distinguere dai moderni chihuahua isterici …

Nota introduttiva  I Padri dell’Isola di Patmos non fanno “polemica”, ma il loro “mestiere”: diffondere e  difendere la dottrina e il Magistero della Chiesa. Nell’affrontare gli ultimi temi trattati su queste nostre colonne telematiche, Giovanni Cavalcoli ed io ci siamo trovati a essere attaccati da laici intransigenti e sedicenti cattolici che mostrano inquietante propensione a confondere la politica con la teologia, i quali ci hanno bordato accuse di eresia, incluso l’essere eretici modernisti e diffusori di dottrine moderniste. E come tutti gli addetti ai lavori sanno, il modernismo, secondo la definizione oggi più che mai attuale del Santo Pontefice Pio X, non è una semplice eresia, ma la sintesi di tutte le eresie. Appresso hanno fatto seguito articoli firmati dall’utile testa di legno che ha speso il proprio nome per sostenere motivazioni ad esso fornite da un teologo, il quale poteva procedere in prima persona nell’esporre teorie legittime, che però costituiscono contraddizioni in termini nell’ambito delle discipline dogmatiche, di quelle morali e del sentire pastorale impresso nei principali documenti degli ultimi cinque decenni di magistero. Che dire poi del rigore “morale” usato in modo tutto politico su temi variamente legati alla delicata sfera della sessualità umana, per opera di soggetti che non mostrano interesse a tenere in considerazione i princìpi di umanità ed i criteri fondanti della carità cristiana, specie di fronte a situazione di sofferenza umana che reclamano sempre attenzione e rispetto, oltre alla ricerca di soluzioni che competono al sapiente ministero della Chiesa, non alle supposte pretese di chi urla più forte nel tentativo di mutare in dottrine dogmatiche le cieche opinioni del proprio “io“. A inquietarci non poco sono stati scritti e interventi intrisi di rigore farisaico dai quali emerge lo spirito di un’eresia antica ma sempre insidiosa: il manicheismo. Ecco il motivo di questa nuova risposta data da Giovanni Cavalcoli, che non chiama per nome il suo interlocutore per il rispetto ch’egli intende tributare alla libera scelta di chi ha deciso di presentarsi attraverso dei prestanome anziché in prima persona. Personalmente colgo l’occasione per rendere grazia a Dio per avermi donato il privilegio dell’amicizia di un galantuomo sapiente come Giovanni Cavalcoli, al quale sono legato in divina parentela fraterna dal Sangue Redentore di Cristo Signore attraverso il Sacro Ordine Sacerdotale.

Ariel S. Levi di Gualdo

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Giovanni Cavalcoli in coro 2

l’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli nel coro del convento dei Domini canes

Caro Confratello.

Rispondo alle tue obiezioni alle mie idee sulla questione dei divorziati risposati. Tu mi addebiti «la falsa teoria secondo la quale la considerazione pastorale e canonica dei divorziati risposati come di fedeli tenuti a uscire dal loro «stato di peccato» sarebbe un errore teologico e un «giudizio temerario». Tu sai benissimo che quella non è una mia opinione ma la dottrina di san Giovanni Paolo II ― Familiaris consortio e Veritatis splendor ―, per di più riguardante il foro esterno e non la coscienza dei singoli (ossia, il foro interno, dove la guida e il consiglio sono affidati alla prudenza del confessore), in linea peraltro con la tradizionale dottrina circa lo “stato di grazia” (e del suo contrario, riscontrabile anche recentemente negli studi di teologia morale di teologi e Pastori come il Cardinale Carlo Caffarra, che tu ben conosci.

Rispondo col dirti che vedo chiaramente che tu mi ha frainteso e dovresti accorgertene anche tu. Infatti, se tu leggi bene che cosa ho scritto, come anche i miei recenti interventi sull’Isola di Patmos, quello che io definisco «giudizio temerario», non è affatto «la considerazione pastorale e canonica dei divorziati risposati come di fedeli tenuti a uscire dal loro “stato di peccato”», ma bensì la pretesa da parte di alcuni di ritenere che certi conviventi, che per il momento non possono uscire dal loro stato illegittimo e irregolare, si trovino necessariamente in uno stato permanente, inespiabile ed insopprimibile di colpa mortale, quasi che fossero privi del libero arbitrio e la grazia perdonante non esistesse. Questo è un giudizio allucinante di chi non sa né che cosa è il libero arbitrio né che cosa è la grazia. Infatti, l’incentivo al peccato non è ancora il peccato. L’incentivo può essere non voluto, inevitabile ed invincibile. Il peccato è invece un atto voluto, evitabile e vincibile. Altrimenti, facciamo come Lutero, che confondeva la concupiscenza, che è solo tendenza a peccare o desiderio di peccare, col peccato, cadendo con ciò sotto la netta condanna del Concilio di Trento.

Da questa eresia di Lutero sorge tanto il rigorismo che il lassismo. Infatti, come si sa, la concupiscenza è invincibile. Che si dice allora? Si possono fare cose: o accusare farisaicamente ed implacabilmente di peccato a tempo pieno, come fosse un’anima dannata, chi, per questo semplice fatto, è sotto lo stimolo della concupiscenza. Oppure ci si scusa ipocritamente dal peccare, perché si dice: «Non sono io a peccare, ma è la concupiscenza che mi fa peccare. Quindi io non ho colpa e posso continuare a peccare. Dio è buono e mi perdona sempre».

I conviventi certamente sono tenuti, se possono, a interrompere la loro relazione, che costituisce per loro una tentazione forte e continua al peccato. Ma non sempre questa interruzione è possibile, anche nonostante ogni buon volere, e questo per cause di forza maggiore ed anche per ragionevoli motivi, come è noto in certi casi particolari intricati e complessi, dove occorre tener conto di dati oggettivi ineliminabili, per esempio la presenza di figli od obblighi civili o vantaggi economici o il convivente ammalato. In tal caso i due si trovano in uno stato di vita che certo permane, ma questo non vuol dire che si trovino necessariamente in uno «stato di peccato» permanente, se con questa espressione intendiamo il rimanere prolungatamente e volontariamente nella colpa. Infatti, in forza del liberto arbitrio e dell’azione della grazia, essi possono in qualunque momento e in qualunque situazione o condizione, interiore o esteriore, attuale o abituale, ambientale o psicologica, giuridica o morale, anche molto sfavorevole, annullare la colpa e tornare in grazia, senza che ciò richieda un’impossibile interruzione della convivenza e senza la pratica del sacramento della penitenza, che è stato loro negato. Dio, infatti, come tu sai bene, può dare la grazia anche senza i Sacramenti.

La Familiaris consortio, appunto perché tocca solo il foro esterno, non sfiora neppure la questione in esame, caratteristica del foro interno, ossia della condizione o dello stato o del dinamismo interiore della volontà dei conviventi e lascia quindi aperta la porta alla legittimità della discussione in atto nel Sinodo, se, in certi casi gravi, ben precisati e circostanziati, con forti scusanti, i divorziati possano o non possono accedere ai Sacramenti.

Giovanni Paolo II si limita a ribadire la norma vigente, espressione di un’antichissima tradizione, sia pur corredandola di alti motivi teologici. Ma trattandosi di norma certo fondata sul dogma, ma non necessariamente connessa con esso, questo insegnamento del Papa non è da considerarsi immutabile, come non lo sono generalmente le norme positive, giuridiche e pastorali della Chiesa, senza che ciò comporti un insulto al dogma sul quale si basano. Infatti, un medesimo principio morale può avere diverse applicazioni. Non sarebbe saggio né prudente attaccarsi ostinatamente ad una sola delle possibili applicazioni, per il semplice fatto che essa si fonda su di un valore assoluto, il quale, viceversa, ammette una pluralità di diverse applicazioni, salvo restando il principio.

Ora, il timore di alcuni che un mutamento della disciplina vigente possa intaccare il dogma, è infondato, perché l’attuale normativa non è così connessa al dogma come fosse la conclusione di un sillogismo dimostrativo, dove la premessa sarebbe il dogma; ma la detta normativa ha solo una connessione di convenienza col dogma, tale da ammettere anche altre possibili conclusioni. Similmente, dal proposto di vivere cristianamente ― valore assoluto ed irrinunciabile ― non discende necessariamente soltanto la vita laicale, come credeva Lutero, ma può scaturire anche la scelta sacerdotale o religiosa.

Così in teologia, tu me lo insegni, il teologo, quando spiega un dogma, non adduce ragioni necessarie del contenuto dogmatico, perché il dogma non si può dimostrare razionalmente, ma avanza motivi di convenienza, che rendono il dogma conciliabile con la ragione, e che ammettono altre possibili spiegazioni. Se invece il dogma si potesse dimostrare razionalmente, non esisterebbe altro che una sola conclusione dimostrativa ― la verità è una sola ―, mentre ogni altra sarebbe falsa. Quindi ci sono consentiti ed anzi possono essere utili la discussione e il contradditorio, ma nel rispetto reciproco delle nostre opinioni, ed evitiamo per ciò di assolutizzare la nostra personale opinione facendola passare per “dottrina della Chiesa”, come se quella contraria fosse contro il dogma. Altrimenti, se il Papa deciderà che si conceda la Comunione ai divorziati risposati, che diremo? Che il Papa è eretico? Che è cambiata la dottrina della Chiesa?

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Varazze, 23 ottobre 2015

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cliccando sopra al logo di inBlu Radio, potete aprire e ascoltare l’intervista radiofonica fatta a Giovanni Cavalcoli il 22.10.2015

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