L’eresia lefebvriana e lo stato di peccato mortale

L’ERESIA LEFEBVRIANA E LO STATO DI PECCATO MORTALE

[…] chi partecipa alle liturgie celebrate da questi vescovi e sacerdoti sprezzanti l’autorità della Chiesa ed il suo magistero e per questo sempre sottoposti a regime di sospensione; chi da loro riceve i Sacramenti; chi attraverso libri, attività pubblicistiche, conferenze e varie forme di propaganda appoggia all’interno del mondo cattolico la causa dei lefebvriani o promuove come valide le loro interpretazioni ereticali e quelle del loro fondatore; chi semina gravi errori tra il Popolo di Dio affermando che il Sommo Pontefice Francesco è «espressione dell’eresia modernista» e che il Vescovo Marcel Lefebvre avrebbe agito in «legittimo stato di necessità contro il Concilio Vaticano II e contro i Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, come a suo tempo agì Sant’Atanasio di Alessandria contro l’eresia ariana»; non deve considerarsi affatto un difensore della vera Tradizione cattolica bensì un’anima in stato di peccato mortale.

 

Gentile Padre Ariel.

Non partecipo da anni alla Messa secondo il novus ordo. Non intendo polemizzare, anche se non sono d’accordo con molte cose che lei, in modo duro, il Padre Giovanni Cavalcoli, con stile più soft ma anch’esso duro, avete scritto sui tradizionalisti. Vi seguo lo stesso volentieri, essendo voi persone di profonda preparazione. Le domando: perché negli ultimi tempi lei se l’è presa così duramente con i Lefebvriani e la Fraternità di San Pio X? Sono un cattolico che da anni partecipa ogni domenica alle loro celebrazioni ad Albano, perché mi sento a mio agio con il rito antico e non con le pagliacciate che dobbiamo subire in molte chiese conciliariste. Ne sono contento e esco in pace con la mia coscienza dalla Messa. Dov’è il problema? E poi, Benedetto XVI, non gli ha forse ritirato anche la scomunica?  Andrea B. (Castel Gandolfo)

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Rispondo mettendola anzitutto sull’avviso che non deve sentirsi in pace con la sua coscienza e per replicare ai suoi quesiti userò parte di un testo che il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli ed io abbiamo scritto di recente, traendo da esso i necessari elementi utili per illuminarla.

marcel lefebvre 2

L’arcivescovo scismatico Marcel Lefebvre [1905-1991]

La Fraternità San Pio X costituisce un grave problema sia dottrinale che canonico. È vero che il Romano Pontefice ha liberato i quattro vescovi illecitamente consacrati da Marcel Lefebvre dal peso della scomunica, al fine di istaurare un dialogo per una loro piena riammissione nella comunione della Chiesa, ma non va dimenticato che allo stato attuale, i Vescovi ed i sacerdoti da loro ordinati, rimangono di fatto validi ma illeciti, vale a dire sospesi ipso facto dall’ordine che hanno ricevuto validamente ma illecitamente [Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 1382, 1383, 1015], il tutto in virtù della sussistenza di gravi problemi dottrinali irrisolti, come ha precisato nel marzo del 2009 il Sommo Pontefice Benedetto XVI affermando che costoro «Non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa» [testo QUI].

marcello semeraro

Marcello Semeraro, vescovo della Diocesi di Albano

È vero, la Chiesa ha tolto la scomunica, ma lo ha fatto per sollecitare questi scismatici al rientro nella piena comunione con Roma; non ha però mai annullata la sospensione basata non su questioni disciplinari ma su gravi problemi dottrinari. Pertanto è nostro obbligo ricordare ai fedeli che non è a loro lecito ricevere i Sacramenti da questi sacerdoti, come di recente ha ribadito il Vescovo di Albano Laziale S.E. Mons. Marcello Semeraro, sul cui territorio canonico ha sede il distretto italiano dei lefebvriani, presso i quali lei partecipa illecitamente a liturgie celebrate in totale disobbedienza alla Chiesa ed alle disposizioni date dall’Ordinario Diocesano che in un suo decreto ha precisato e chiarito:

«Qualunque fedele cattolico che richiede e riceve Sacramenti nella Fraternità San Pio X si porrà di fatto nella condizione di non essere in comunione con la Chiesa Cattolica. Una riammissione nella Chiesa Cattolica dovrà essere preceduta da un adeguato percorso personale di riconciliazione, secondo la disciplina ecclesiastica stabilita dal vescovo» [vedere QUI in fondo integrale riproduzione del documento].

Solo nel caso in cui un fedele cattolico fosse in pericolo di morte può essere validamente assolto da un sacerdote della Fraternità San Pio X, perché la Chiesa, sollecita della salvezza eterna di tutte le anime, in quel caso autorizza qualunque sacerdote, incluso un chierico sospeso a divinis, o persino scomunicato e ridotto allo stato laicale, a dare validamente l’assoluzione sacramentale [Codice di Diritto Canonico, can. 1335].

L’errore fondamentale del Vescovo Marcel Lefebvre, dal quale seguono tutti quelli dei suoi seguaci e simpatizzanti, è l’ostinata accusa rivolta al Concilio Vaticano II di «aver falsificato la Sacra Tradizione» [vedere QUI]. Una simile accusa è implicitamente ed esplicitamente di per sé eresia, giacché suppone che col Concilio la Chiesa sia uscita dal sentiero della verità rivelata, cosa che a sua volta implica la sfiducia che il Concilio, nello stabilire le sue dottrine, sia stato assistito dallo Spirito Santo, contro la promessa fatta dal Signore alla sua Chiesa di condurla alla pienezza della verità.

bernard fellay 3

il vescovo scismatico Bernard Fellay, illecitamente consacrato da Marcel Lefebvre nel 1988 ed attuale superiore generale della Fraternità San Pio X

La mia risposta è pertanto oggettiva poiché basata sugli atti dei Pontefici, sulle direttive emanate nel tempo dai competenti dicasteri della Santa Sede, sui criteri della solida dottrina cattolica e del diritto canonico, non certo su umori o valutazioni meramente soggettive. E la risposta che un sacerdote ed un teologo deve dare per imperativo di coscienza è la seguente: chi semina gravi errori tra il Popolo di Dio affermando che il Sommo Pontefice Francesco è un eretico modernista [vedere QUI, QUI] e che il Vescovo Marcel Lefebvre avrebbe agito in legittimo stato di necessità contro il Concilio Vaticano II come a suo tempo agì Sant’Atanasio di Alessandria contro l’eresia ariana; chi da loro riceve i Sacramenti, fatto salvo il disposto del canone 1335; chi all’interno del mondo cattolico semina tra il Popolo di Dio il veleno dell’errore attraverso libri, attività pubblicistiche, conferenze e varie forme di propaganda a favore della causa dei lefebvriani o promuove come valide le loro interpretazioni ereticali e quelle del loro fondatore; non può considerarsi affatto un difensore della vera Tradizione cattolica ma un’anima in stato di peccato mortale.

papa confessa

Il Santo Padre Francesco mentre amministra una confessione

La invito pertanto a rivolgersi quanto prima ad un confessore per chiedere l’assoluzione previo suo pentimento e fermo proposito di non frequentare più le istituzioni e le liturgie celebrate da vescovi e sacerdoti non in comunione col Romano Pontefice; a non frequentare e a non prestare più ascolto a tutti coloro che diffondono gli errori dottrinali e le palesi eresie di questi scismatici dietro pretesti di una presunta purezza cattolica che non è affatto opera di Dio ma tutta quanta opera di Satana, il cui peccato preferito è da sempre la superbia, regina ed auriga di tutti gli altri peccati capitali.

Nelle diocesi italiane vi sono sacerdoti che nell’obbedienza ai loro vescovi in piena comunione col Vescovo di Roma celebrano come la Chiesa consente col vetus ordo missae, che racchiude in sé un patrimonio straordinario di fede e di pietà che non deve andare perduto. Esiste poi la Fraternità San Pietro che opera in piena legittimità col riconoscimento della Santa Sede ed anch’essa conserva ed offre ai fedeli la Santa Messa celebrata col venerabile messale di San Pio V [vedere QUI]. In questi casi può ricevere lecitamente i Sacramenti in piena comunione con la Chiesa universale ed il Vescovo di Roma e dirsi quindi davvero in pace con la sua coscienza, traendo da tutto ciò benefici spirituali per la edificazione della sua anima nella vita presente e per la vita eterna.

colomba della pace con giubbotto

Un murales a Betlemme, nei pressi del muro divisorio tra territorio israeliano e palestinese, in cui è raffigurata al centro di un mirino la colomba della pace che indossa un giubbotto antiproiettile. Facciamo in modo che questo non accada anche in certe diatribe intra ed extra ecclesiali

L’Isola di Patmos non conduce battaglie contro nessuno ed è nostra cristiana cura distinguere sempre bene le erronee deviazioni dal magistero della Chiesa e dalla dottrina cattolica — che come tali vanno combattute con tutte le armi della carità cristiana — dai singoli erranti che vanno invece corretti e accolti, posto che è lo stesso Signore Gesù ad affermare: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» [Cf Mc 2, 17]. Non abbiamo quindi alcun astio verso i lefebvriani ed i loro singoli aderenti, che dobbiamo però considerare in grave errore senza ricorso ad alcun giustificante sofisma filosofico; e come pastori in cura d’anime e teologi non possiamo all’occorrenza esimerci dal ricordare ai buoni fedeli cattolici cosa è giusto e cosa è sbagliato, perché a Dio, che ci ha dato in custodia il suo Popolo, noi dovremo rispondere molto seriamente della salute delle anime a noi affidate.

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ATTI E DOCUMENTI DELLA SANTA SEDE SUL CASO LEFEBVRE E LA SUA FRATERNITÀ SCISMATICA

– «Lettre de S.S. Paul VI à Mgr Marcel Lefebvre», 29 juin 1975 [testo QUI]

– Lettera Apostolica di S.S. Paolo VI, «Nuova ammonizione a S.E. Mons. Marcel Lefebvre», 8 settembre 1975 [testo, QUI]

– S.S. Paolo VI, «Lettera a Mons. Marcel Lefebvre», 15 agosto 1976 [testo QUI]

– Discorso di S.S. Paolo VI «Sulla dolorosa vicenda di Mons. Marcello Lefebvre», 1° settembre 1976 [testo QUI]

– «Lettera Apostolica Ecclesia Dei» del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II in forma di motu proprio, 2 luglio 1988 [testo QUI].

– Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nota esplicativa «Sulla scomunica per scisma in cui incorrono gli aderenti al movimento del Vescovo Marcel Lefebvre», 24 agosto 1996 [testo QUI].

– Congregazione per i Vescovi: «Decreto di remissione della scomunica latae sententiae ai Vescovi della Fraternità di San Pio X», 21 gennaio 2009 [testo QUI]

– «Nota della Segreteria di Stato circa i quattro Vescovi della Fraternità di San Pio X», 4 febbraio 2009 [testo QUI]

Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica ai 4 Vescovi consacrati dall’ Arcivescovo Lefebvre [testo, 10 marzo 2009 QUI].

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Copia del testo diramato ai presbiteri della propria Diocesi dal Vescovo di Albano sul cui territorio canonico ha sede il distretto italiano della Fraternità San Pio X

NOTIFICAZIONE AI PARROCI SULLA FRATERNITA

Preghiera per il Sommo Pontefice

PREGHIERA PER IL SOMMO PONTEFICE

Offriamo ai nostri lettori una preghiera da devoti cattolici per il Sommo Pontefice,

la roccia sulla quale Cristo Signore ha edificato la sua Chiesa [Mt 13,18]

 

papi-postconcilio

I Pontefici dell’ultimo mezzo secolo ed ultimi nella legittima successione al Principe degli Apostoli

 

 

Signore Gesù Cristo, Re e Signore della Santa Chiesa, rinnovo alla tua presenza la mia adesione incondizionata al tuo Vicario sulla terra, il Sommo Pontefice

FRANCESCO.

In lui ci hai voluto mostrare il cammino sicuro e certo che dobbiamo seguire in mezzo al disorientamento, all’inquietudine e allo sgomento.

Credo fermamente che per mezzo suo Tu ci governi, istruisci e santifichi e che sotto il suo vincastro formiamo la vera Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica.

Concedimi la grazia di amare, di vivere e di diffondere come figlio fedele i suoi insegnamenti. Custodisci la sua vita, illumina la sua intelligenza, fortifica il suo spirito, difendilo dalle calunnie e dalla malvagità.

Placa i venti erosivi dell’infedeltà e della disobbedienza e concedici che, attorno a lui, la tua Chiesa si conservi unita, ferma nel credere e nell’operare e sia così lo strumento della tua redenzione.

Amen!

Preti in barca

Commiato di Antonio Livi

COMMIATO DI ANTONIO LIVI

Tra Antonio Livi e gli altri due padri Giovanni Cavalcoli e Ariel S. Levi di Gualdo non c’è stato alcuno screzio, solo serene e fraterne divergenze di carattere teologico e pastorale. A mano a mano si sono delineate, riguardo il problema non lieve dei lefebvriani sui quali abbiamo ritenuto di non dover soprassedere, due opinioni diverse, che potevano tranquillamente convivere assieme. Nella legittima libertà dei figli di Dio Antonio Livi ha scelto invece, con nostro grande dispiacere, di lasciare questa rivista telematica; abbiamo tentato di dissuaderlo, ma accettando infine la sua decisione. Le motivazioni sono contenute negli scritti che seguono. Al nostro illustre confratello confermiamo la nostra profonda stima e la nostra vicinanza umana e spirituale con i migliori auguri di sincero bene e grazia del Signore.

 

 

Autore Antonio Livi

Antonio Livi

[…] un teologo può rinvenire nei discorsi e nelle iniziative ecclesiastiche di mons. Marcel Lefebvre una dottrina incompatibile con il dogma dell’infallibilità del magistero, sia quando formula dei dogmi che quando si esprime con un magistero solenne e universale, come è stato per il Vaticnao II, che mons. Marcel Lefebvre (il quale pure aveva partecipato ai lavori del Concilio e ne aveva firmato i documenti finali) aveva in alcuni punti ritenuto in contraddizione con la Tradizione, ossia con l’insegnamento del magistero precedente. Ma questa legittima considerazione teologica non autorizza a porre l’ipotetico contenuto ereticale dell’ideologia di questi tradizionalisti sullo stesso piano delle eresie formalmente condannate dalla Chiesa, perché ciò genere inevitabilmente una gravissima confusione dottrinale […]

 

Per leggere il testo intero cliccare sotto

ANTONIO LIVI – come mai mi accomiato dalla Isola di Patmos

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli OP

Autore Padre Ariel

Ariel S. Levi di Gualdo

[…] Riconosciamo che i lefebvriani sono cattolici, benché imperfetti; e sanno cos’è la fede e cos’è il dogma. Tra le loro fila ci sono anche dei tomisti. Il loro grave difetto è però noto e non meno lieve ed i loro errori sono oggettivi e non affatto «ipotetici»: la loro reiterata accusa di falso o di fallibilità alle dottrine del Concilio Vaticano II, sotto pretesto che non si tratta di nuovi dogmi solennemente definiti. Di fatto, i lefebvriani, si sono mostrasti sordi ai richiami e alle esortazioni dei Sommi Pontefici, ultime in ordine cronologico quelle del Santo Padre Benedetto XVI il quale li ha avvertiti che «per essere in piena comunione con la Chiesa devono accettare le dottrine del Concilio».

 

Per leggere il testo intero cliccare sotto

CAVALCOLI & LEVI di GUALDO – Risposta al commiato di Antonio Livi

Domanda: “La Messa di Paolo VI è veramente valida”?

«LA MESSA DI PAOLO VI È VERAMENTE VALIDA»?

«Cari Padri dell’Isola di Patmos, talvolta sembra che nelle nostre chiese regni il caos liturgico: Messe dialogate, preghiere dei fedeli “spontanee” imbarazzanti, parole del messale variate a piacimento del celebrante, canti inopportuni, battimani e danze, donne che salgono all’altare durante le celebrazioni come se ne fossero padrone. Di recente ho letto un articolo che offre risposte attraverso un teologo domenicano, Padre Thomas Calmel. Ne sono rimasta colpita e vorrei sapere quanto questo scritto è vero, quindi chiedervi: “La Messa di Paolo VI, è veramente valida?”» [Chiara Caon, lettrice di Trento]

 

 

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Ariel S. Levi di Gualdo durante i vespri solenni

Caro Padre Giovanni.

Una lettrice di Trento ci ha inviato un articolo comparso sul sito Concilio Vaticano Secondo nel quale una pubblicista riporta per estratto alcune parti del pensiero del Padre Roger Thomas Calmel OP [1914-1975] che sostiene tesi fuorvianti sulla celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI [vedere QUI articolo integrale]. Dato che l’oggetto della domanda ruota attorno ad un tuo confratello domenicano, prego te di offrire risposta al quesito della nostra lettrice.

Il compito che con L’Isola di Patmos ci siamo prefissi è di fare teologia ecclesiale e pastorale in un momento di grande delicatezza che vede molti nostri fedeli sempre più disorientati, come prova il quesito sollevato da questa lettrice che di siffatto disorientamento è paradigma, perché molte sono le lettere più o meno analoghe che giungono alla posta della nostra redazione.

In alcuni miei articoli precedenti ho usato ironia e una certa irruenza verso alcuni opinionisti che non sono una semplice “minoranza” di “rumorosi insoddisfatti” ai quali non dar peso più di tanto, ma seminatori di errori velati dietro alla rassicurante difesa del depositum fidei, sino a funger spesso da punto di riferimento per molti smarriti, incapaci a cogliere in certi cattivi maestri il dramma delle «guide cieche» che «filtrano il moscerino e ingoiano il cammello» [cf. Mt 23, 24].

Nel contrastare certi errori si impone alle nostre coscienze sacerdotali un dovere di equilibrio e di prudenza riassumibile attraverso la celebre frase: «Non si può gettare via il bambino con l’acqua sporca», perché anche nelle posizioni errate, o in coloro che talvolta le portano avanti in buona fede, può esserci del buono. Il saggio apologo del bimbo e dell’acqua sporca mi porta però a temere il pericolo di caduta in un’altra insidia: anche in Ario e in Pelagio c’era del buono. Il primo era un uomo di fede, il secondo un pio asceta, entrambi teologi a tal punto raffinati che contro il primo si scomodò Sant’Atanasio, contro il secondo Sant’Agostino, i quali mai avrebbero perso il loro tempo prezioso col piccolo eretico del villaggio. E per giungere ai giorni nostri: non era forse, il Vescovo Marcel Lefebvre, un uomo di profonda pietà; un missionario straordinario che in Senegal formò buoni sacerdoti dando vita con ottimi risultati ai primi vescovi locali?

Per questo giudico cosa parecchio delicata cercare il buono nell’errante e gli elementi positivi di unione nell’eterodossia, perché se in questo agire la prudenza non è massima ed il rispetto del deposito della fede e del magistero della Chiesa non è ferreo, si può correre il rischio di trascinare in casa nostra le peggiori eresie dietro pretesti ecumenici o di dialogo interreligioso, come provano da alcuni decenni certe istituzione accademiche all’interno delle quali un numero elevato di teologi infarciti di modernismo insegnano dottrine di matrice protestante. Tutto questo è accaduto perché spesso si è cercato il buono ed i punti comuni di unione con gli erranti sino a trascinarci dentro casa anche i loro gravi errori, come tu stesso hai indicato tempo fa in una critica rivolta al pensiero del Cardinale Carlo Maria Martini, non certo alla sua degna persona [vedere QUI], alla quale fece eco poco dopo un’altra mia analisi [vedere QUI].

Come sacerdoti e teologi siamo chiamati a esercitare un sacro ministero che comporta un dovere al quale non possiamo sottrarci per imperativo di coscienza: dire all’occorrenza ai nostri fedeli cos’è giusto e cos’è sbagliato. Per questo usiamo a scopi puramente pastorali il prezioso strumento di questa rivista telematica, che io per primo non intendo usare né per azzuffarmi con “fazioni avverse” né per sterili polemiche con chi è chiuso alla grazia dell’ascolto, ma solo per servire nella verità e per la verità il Popolo che Dio ci ha affidato, salvando all’occorrenza i Christi fideles dalla caduta negli errori di certi cattivi maestri.

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Risponde il domenicano Giovanni Cavalcoli

 

Giovanni Cavalcoli in coro 2

Giovanni Cavalcoli OP nel coro del suo convento domenicano durante l’Ufficio Divino

Rispondo con piacere alla Lettrice di Trento dicendole anzitutto che nel campo della liturgia, il Romano Pontefice, esercita la sua autorità come sommo sacerdote e supremo moderatore del culto divino. Egli non è infallibile nel regolare il cerimoniale o nell’indire una riforma liturgica, cosa che appartiene al suo potere pastorale. Lo è però nell’interpretare, custodire conservare integra l’essenza o sostanza dei Sacramenti, in quanto dati di fede, perché ciò tocca l’infallibilità del suo magistero dottrinale.

L’essenza immutabile della Santa Messa è la seguente:

«Rito cultuale della Nuova Alleanza, col quale e per il quale, nella persona del sacerdote celebrante in comunione con la Chiesa e a nome della Chiesa, Cristo nello Spirito Santo offre incruentemente in sacrificio Se stesso al Padre per la salvezza del mondo».

Una riforma della Messa potrà essere pertanto più o meno felice, potrà avere bisogno successivamente di un’altra riforma o del recupero di quanto si aveva dismesso, ma non potrà mai alterare l’essenza della Messa. Supporre che il Papa possa indire una Messa eretica o modernista o filoprotestante, è a sua volta un’eresia, non in riferimento al suo potere pastorale, ma in quanto maestro della fede, dato che la Messa è un Mysterium fidei. Nella Messa bisogna quindi distinguere il cerimoniale dal rituale. Il primo può cambiare ed è di diritto ecclesiastico: il secondo è immutabile ed è di diritto divino.

Le norme della celebrazione della Santa Messa — il cosiddetto cerimoniale — possono quindi mutare nel corso dei secoli, come dimostra la storia stessa della liturgia. Ma l’essenza della Messa è immutabile, come pure è dimostrato dalla storia, fino alla Messa novus ordo, al di là di mutamenti che appaiono a volte profondi, ma che in realtà non intaccano la sostanza, come la ho definita sopra.

Il Sommo Pontefice non ha la facoltà di mutare la sostanza dei Sacramenti e quindi la struttura essenziale del rito della Santa Messa, sostanza o essenza che non è difficile enucleare al di là delle variazioni del cerimoniale avvenute nel corso della storia.

Ora però, la Messa novus ordo, è stata motivata dal Concilio Vaticano II con gravi ragioni note a tutti [Sacrosanctum Concilium, nn. 47-58]. Essa ha certamente un aspetto ecumenico, ma è stoltezza dire che è filo-protestante o infetta di modernismo o che essa cambia la Messa tradizionale.

La Chiesa può concedere a chi lo desidera il permesso di celebrare solo nel vetus ordo — come lo fece con San Pio da Pietrelcina —, che ovviamente resta valido; ma a patto che non lo si faccia come se la Messa valida fosse solo questa. La Chiesa consiglia ed ordina, ordinariamente, il novus ordo, perché pastoralmente è più adatto alla situazione odierna.

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Il Cogitatorium di Ipazia – Nichi Vendola e la vecchia questione dei crocifissi nei luoghi pubblici

— IL COGITATORIUM DI IPAZIA —

NICHI VENDOLA E LA VECCHIA QUESTIONE DEI CROCIFISSI NEI LUOGHI PUBBLICI

 

Una volta alla settimana la nostra filosofa selezionerà uno scritto per offrire ai nostri lettori un commento. Ipazia, gatta romana, ha conseguito il baccellierato filosofico alla Pontificia Università Lateranense sotto la guida del Rev. Mons. Prof. Antonio Livi con il quale ha poi approfondito gli studi sulla filosofia del senso comune. Successivamente ha conseguito il dottorato filosofico in metafisica tomista presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino sotto la guida del Rev. Padre Prof. Giovanni Cavalcoli. Il suo libro: “Il mistero della creazione in Genesi e gli animali”, oggi è un best seller tradotto in 18 lingue e usato tra i testi di studio presso il Pontificio Istituto Biblico. A Roma ha fondato un istituto di gatte laiche consacrate per l’assistenza dei gatti poveri delle periferie esistenziali con l’alto patrocinio del Cardinal Vicario ed i fondi della Elemosineria Apostolica di Sua Santità.

 

AutoreIpazia Gatta Romana

Autore
Ipazia Gatta Romana

 

 

 

 

 

 

 

 

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Dal prologo della Lettera agli Efesini alla storia della teologia dogmatica

 Theologica —

DAL PROLOGO DELLA LETTERA AGLI EFESINI
ALLA STORIA DELLA TEOLOGIA DOGMATICA: IL CHRISTUS TOTUS DI SANT’AGOSTINO

 

 

Può la teologia moderna stimolare allo studio del particolare perdendo di vista la comunione dell’universale che al particolare da vita? In assenza delle trascendenze metafisiche racchiuse in questo prologo paolino si potrebbe anche fare teologia, non però teologia cristologica, che è teologia della totalità; non teologia cattolica, non teologia cristiana, si potrebbe fare una teologia storica atea, una teologia senza Dio alla quale qualcuno è giunto qualche decennio fa oltre oceano ipotizzando la teologia della morte di Dio, anticipata molto prima da Friedrich Nietzsche: «Gott ist tot» Dio è morto. Bisogna però notare che Nietzsche fa affermazioni che dovrebbero essere straordinarie e preziose provocazioni alla riflessione, all’auto-esame di coscienza per ogni cristiano e alla sfida per una vera speculazione teologica: egli afferma che Dio non esiste più e che oggettivamente non può più esistere, in un ambiente così corrotto e degenerato come il nostro, nel quale noi lo abbiamo ucciso.

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

Gli scritti di Theologica sono in formato PDF, per aprire l’articolo cliccare sotto:

Ariel S. Levi di Gualdo – Dal Prologo alla Lettera agli Efesini alla storia della teologia dogmatica – il Christus totus di S. Agostino

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
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Padre Giovanni

Per la Pace nella Chiesa

Theologica —

PER LA PACE NELLA CHIESA

Modernisti e lefebvriani sono entrambi impelagati nell’ideologia e prigionieri di una mentalità parziale ed unilaterale. Come Gesù Cristo, sia il modernista che il lefebvriano avverte: «Chi non è con me, è contro di me». Ma entrambi, per motivi opposti, sono al di fuori dell’alveo della sana dottrina, ciascuno ritiene di essere il vero cattolico e chi non è con lui, è il suo polo dialettico opposto […] Ora, alla radice di questi contrasti circa l’essenza dell’essere cattolico, sta ancora, dopo cinquant’anni, la gravissima questione ancora attuale, ossia quella del giusto giudizio da esprimere sul Concilio Vaticano II e sui suoi effetti nella Chiesa e, per conseguenza, quella della retta applicazione del Concilio.

Autore Giovanni Cavalcoli OP

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Giovanni Cavalcoli OP

 

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Giovanni Cavalcoli OP – Per la pace nella Chiesa


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Per un sano tradizionalismo

PER UN SANO TRADIZIONALISMO

I lefebvriani confondono col modernismo, che pure è presente nel cattolicesimo di oggi, quel sano progressismo nella dottrina e nella vita cristiana, che è stato promosso dal Concilio, che può farci parlare di un sano progressismo. Un cattivo tradizionalismo ferma il cammino della storia, non comprende il valore del nuovo, mummifica il perenne, confonde l’immutabile con l’immobilismo, la saldezza con la rigidezza, il solido col pietrificato, il conservare col conservatorismo, la fedeltà con l’arretratezza, il progresso col sovvertimento e, per esser fermo nel passato, non è capace di cogliere i valori e i problemi del presente e le speranze del futuro.

 

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

Pio X 1

il Santo Pontefice Pio X

È rimasta famosa la frase di San Pio X, il quale disse, seppur in un colloquio privato e non in un documento ufficiale, che il cattolico non può che essere un tradizionalista. Se la confrontiamo con l’attacco ai “tradizionalisti” fatto da Papa Bergoglio nel suo discorso al recente sinodo dei vescovi sulla famiglia, ci pare che molta acqua sia passata sotto i ponti nel Magistero pontificio. E invece, a parte le legittime o discutibili preferenze od opinioni personali dei due Papi, dobbiamo fare alcune precisazioni, al termine delle quali, spero, ci accorgeremo che la distanza per non dire opposizione non è così grande quanto a tutta prima potrebbe sembrare.

Chiediamoci infatti che cosa i due Papi hanno inteso qui per “amore alla tradizione”. Quale tradizione? Tradizione in che senso? “Amore” come e quanto? Dovrebbe subito apparire evidente, per il cattolico istruito ed attento ai fatti ecclesiali di oggi, che il termine “tradizione” è inteso in due sensi diversi, tanto che, chiarendo i rispettivi significati del medesimo termine, potremmo esser sicuri che i due Papi si sarebbero dati ragione a vicenda. Infatti, mentre Pio X si riferiva chiaramente alla Sacra Tradizione, la quale, insieme con la Scrittura, è fonte della divina Rivelazione custodita e interpretata infallibilmente dal Magistero della Chiesa, Papa Francesco ha evidentemente condannato un certo “tradizionalismo”, che, male interpretando la Sacra Tradizione o prendendola a pretesto, nega l’infallibilità o la verità, ovvero osa accusare di errore o di possibilità di errore il Magistero dottrinale del Concilio Vaticano II e, di conseguenza, il Magistero che ad esso si rifà, dei Papi successivi, fino al presente felicemente regnante.

Se pensiamo alla Sacra Tradizione, è ovvio che il cattolico non può essere che tradizionetradizionalista. Infatti, si può dire in certo modo che tutto il contenuto della dottrina della fede è oggetto della tradizione apostolica, secondo il Nuovo Testamento, intesa ad un tempo come atto del trasmettere o del predicare a voce, tradere [Rm 6,17; I Cor 11,23; 15, 3; II Tm 2,2; Gd 3], e contenuto della predicazione, traditum [I Cor 11,2; II Ts 2,15; I Tm 6,20]. Infatti Cristo non ha detto agli apostoli “scrivete” o, come farebbe un maestro di scuola: “prendete appunti”, ma: “predicate”, e per giunta a viva voce, fino alla fine dei secoli, giacchè allora non a esistevano i moderni mezzi tecnici di comunicazione orale. Tuttavia l’annuncio della Parola di Dio a viva voce, nonostante l’esistenza oggi di raffinati e potentissimi mezzi di comunicazione, resta sempre di primaria importanza, che vorremmo dire quasi sacramentale.

omelia

il Santo Padre durante un’omelia

Si pensi all’omelia del sacerdote nella Santa Messa o alle parola del confessore nel corso della confessione. Esse trasmettono una speciale grazia di luce legata al sacramento, si trattasse anche di un sacerdote senza titoli accademici, come un San Giovanni Maria Vianney o un San Pio da Pietrelcina. Per questo la Chiesa ci dice che la Messa ascoltata in TV, quasi fosse un semplice spettacolo, non ha lo stesso valore spirituale di quella ascoltata alla presenza fisica del celebrante e neppure è possibile confessarsi per telefono, così come telefoniamo al medico per chiedergli un parere o un aiuto.

apostoli

Gesù insegna agli Apostoli

È del tutto comprensibile peraltro che gli stessi apostoli, per conservare una migliore memoria, abbiano poi pensato di mettere o far mettere per iscritto le parole del Signore. E così è nato il Nuovo Testamento, ovvero la Scrittura, che si aggiunse a quella dell’Antico Testamento, nata allo stesso modo, benchè non manchino circostanze, nelle quali Dio stesso comanda di scrivere [per es. Dt 6,9; 11,20]. Anche nell’Apocalisse il Signore comanda di scrivere [19,9: 21,5].
Eppure l’ordine di Cristo di predicare e quindi di trasmettere a voce, resta sempre valido. Ed anzi è il Magistero divinamente assistito dallo Spirito Santo, Magistero che, per ordine di Cristo, ha il compito di conservare, di interpretare ed esplicitare infallibilmente i dati sia della Tradizione che della Scrittura: “Chi ascolta voi, ascolta me” [Lc 10,16]. Sbagliò dunque Lutero a voler interpretare la Scrittura senza tener conto della mediazione della Chiesa e sbaglio Monsignor Marcel Lefèbvre a voler interpretare la Tradizione senza tener conto di quegli sviluppi che furono apportati dal Concilio Vaticano II.

È certamente a questo tipo di tradizionalismo che il Papa si è riferito nel suo discorso al sinodo. Tuttavia, dobbiamo dire che non ogni tradizionalismo è sbagliato. Infatti nulla e nessuno impedisce di concepire un sano tradizionalismo, il quale, senza per nulla respingere le dottrine nuove del Concilio rettamente interpretate, provi uno speciale interesse per tradizioni preconciliari tuttora valide, soprattutto se legate all’immutabilità del dogma, le quali potrebbero essere riprese e rivalorizzate con utilità per la Chiesa del nostro tempo.

Tomas Tyn 3

il Servo di Dio domenicano Tomas Tyn

I lefevriani confondono col modernismo — che pure è presente nel cattolicesimo di oggi — quel sano progressismo nella dottrina e nella vita cristiana, che è stato promosso dal Concilio, che può farci parlare di un sano progressismo, come per esempio quello di un Maritain, di uno Spiazzi, di un Ratzinger e di un Congar, accanto a un sano tradizionalismo, come è stato quello del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, al quale ho dedicato una biografia, pubblicata nel 2007 da Fede&Cultura: “Padre Tomas Tyn. Un tradizionalista postconciliare” [vedere qui], un titolo apparentemente strano, che non è stato compreso da tutti, che avevo studiato con la massima attenzione e del quale non mi sono affatto pentito. Esso significa che un sano tradizionalismo non si trova affatto a disagio nella Chiesa del postconcilio, ma, ricordando e conservando ciò che non può perire o mutare, dà un contributo valido ed indispensabile al bene della Chiesa, in reciprocità con un sano progressismo, che scaturisce da ciò che non passa; mentre viceversa un cattivo tradizionalismo ferma il cammino della storia, non comprende il valore del nuovo, mummifica il perenne, confonde l’immutabile con l’immobilismo, la saldezza con la rigidezza, il solido col pietrificato, il conservare col conservatorismo, la fedeltà con l’arretratezza, il progresso col sovvertimento e, per esser fermo nel passato, non è capace di cogliere i valori e i problemi del presente e le speranze del futuro.

fune

il tiro alla fune

Auguriamo al Santo Padre, che si trova in mezzo all’aspro conflitto di modernisti e lefevriani, di poter operare efficacemente, con l’intercessione di Maria Regina Pacis, per la conciliazione tra questi due partiti avversi, che stanno lacerando la Chiesa, affinchè la tradizione e il progresso possano doverosamente lavorare assieme per un sano rinnovamento e una sana modernità espandendo la Chiesa verso sempre più ampli orizzonti di giustizia e di pace.

Gli eretici lefebvriani e le vergini vilipese

GLI ERETICI LEFEBVRIANI E LE VERGINI VILIPESE

 

Il lefebvrismo è una malattia, un cancro dal quale il corpo della Chiesa va sanato, ed all’occorrenza andrebbe bombardato con la chemioterapia. Ai lefebvriani non è chiaro che il Pontefice Regnante è depositario di una autorità che gli perviene direttamente da Cristo Dio, mentre loro si sono auto-investiti di una autorità che gli perviene solo dalla loro superbia, per questo è difficile il dialogo e la ricerca di punti comune con soggetti che vivono in modo così chiuso, fiero e deciso nel proprio errore.

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

«La vera teologia non pretende di attribuire a Dio
quello che non ha detto, ma si limita a spiegare
quello che veramente ha detto»
                                               [Antonio Livi, aforismi]

 

 

 

Lupo anti papista

paradigma lefebvriano in fumetti

Nel mio precedente articolo [vedere qui] ho affrontato il tema del mondo dei lefebvriani incentrandomi su alcuni quesiti e ponendo delle domande che sono rimaste tutte senza risposta. Il mio saggio confratello anziano Antonio Livi ha sollevato alcune ragionevoli perplessità incentrate sul concetto di metodo da me adottato e che io stesso condivido, trattandosi di uno di quei dibattiti nei quali ciascuno può avere ragione o torto, a seconda l’angolatura dalla quale viene esaminato il tema trattato. Siccome nell’Isola di Patmos si dibatte amabilmente, rimanendo uniti nella comune causa di servizio alla Chiesa e alla sana dottrina cattolica — anche quando l’approccio a certi temi può essere diverso e per questo variare in base alla nostre soggettive sensibilità — abbiamo deciso di rendere partecipi i lettori dei nostri scambi di vedute, nei quali solo persone in mala fede possono leggere “divisioni” o “lotte” inesistenti tra noi tre; anche perché ciascuno di noi risponde di ciò che scrive e firma, non di ciò che scrivono e firmano gli altri.

In seguito alla valanga d’insulti che mi è caduta addosso attraverso decine di commenti spurgoposti alla fine di uno dei nostri articoli e che hanno amareggiato Antonio Livi per primo [vedere qui], ho avuto conferma di quanto sia elevata la permalosità di certi personaggi che da una parte pretendono di beneficiare del diritto di contestare tutto, dal Concilio Vaticano II al Magistero della Chiesa sino al Pontefice Regnante, dall’altra vantano però la prerogativa di non essere ad alcun titolo contestati nel merito delle loro opinioni dottrinarie che personalmente posso anche reputare peregrine. Nel mio vocabolario tutto questo si chiama superbia e chiusura all’ascolto ed alle azioni della grazia di Dio, che per operare deve appunto incontrare il nostro ascolto, la nostra libertà, quindi la nostra accettazione; solo a quel punto la grazia ci forma e ci trasforma nella nostra sostanza.

bronzi di riace

i bronzi di Riace

I quesiti sollevati nel mio precedente articolo sono stati rivolti a dei soggetti verso i quali ritengo dunque legittimo di poter sollevare perplessità, purché sia implicito ed esplicito da parte mia tutto il rispetto ad essi dovuto. Ho anche sollevato questioni pratiche, esprimendo che certe fondazioni, agenzie stampa, lussuose riviste che costano solo di impaginazione, grafica e qualità della carta un occhio della testa — senza che vendite e abbonamenti coprano neppure la metà della metà delle sole spese vive — possano essere portate avanti con la manna caduta dal cielo. Non parliamo poi di siti e riviste telematiche, tutti quanti formato lusso, non in sempiterna bolletta come la nostra povera Isola di Patmos, che pure è bellissima sia per grafica sia per i nostri scritti a dir poco eccezionali, per non parlare della straordinaria bellezza dei padri, tre autentici bronzi di Riace, tanto per esercitare la grande virtù cristiana dell’umiltà e stemperare un po’ il tutto con altrettanta grande virtù: l’umorismo ironico.

Dinanzi a queste evidenze, nel mio precedente scritto, non ho chiesto da dove tirassero fuori i soldi, ho solo domandato per i fedeli cattolici ed i nostri lettori rassicurazione che i sostegni finanziari non provenissero «dall’estrema destra americana, né da certi ricchi imprenditori brasiliani, o da europei che si sono arricchiti per incanto in Brasile». Chiedere simile rassicurazione, non penso sia un attentato di lesa maestà alle singole persone, specie poi se Numerio Negidio è presidente di una fondazione e Aulo Agerio direttore di una rivista, vale a dire persone pubbliche e giuridicamente responsabili alle quali come tali si può pure chiedere conto all’occorrenza; né penso che ciò sia neppure un trascendere al di fuori della teologia per la quale questa rivista è nata ed alla quale si deve attenere e sempre si atterrà.

ricamatrice

anziana ricamatrice di Calitri

Credo che certe domande siano non solo pertinenti ma dovute, soprattutto verso chi esige dalle proprie colonne giornalistiche, dai propri libri e dalle proprie pubbliche conferenze, leale trasparenza e coerenza da parte di tutte le autorità pubbliche e private, civili e religiose di questo mondo, vantando quindi implicitamente una purezza virginale e d’intenti non indifferente; e questo non può certo consentirgli di farsi poi scoprire con qualche crosta addosso. O forse qualcuno pensa che tutti questi costosi apparati fatti di fondazioni, mensili formato lusso, agenzie stampa, riviste telematiche e siti, siano portati avanti con l’obolo della povera vedova innamorata della Messa di San Pio V e della tradizione pre-conciliare perduta? Ho capito: il tutto viene tenuto in piedi con i centrini che la vecchia nonnina di Calitri ricama recitando rosari in latino maccheronico e che poi vende per devolverne il ricavato a strutture che per vivere, sopravvivere ed organizzare tutto ciò che organizzano devono avere fondi nell’ordine delle molte centinaia di migliaia di euro, perché giocare ai cosiddetti “tradizionalisti” è un “gioco” sempre e di per sé parecchio costoso; e questo per me, potrebbe essere un serio problema di ordine pastorale.

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L’Imperatrice Irene presiedette nell’ano 772 il VII concilio ecumenico, il II Niceno

Senza entrare nel merito di ciò che ho detto e affermato, alcuni hanno scritto commenti furenti intrisi di insulti inauditi, tentando di gettarla sul personale e domandandomi chi ero io per sollevare certe questioni non pertinenti. Ritengo che lamentare questo sia incoerente, perché nei grandi concili dove si sono giocate le sorti dei principali dogmi cristologici, spesso i dibattiti si sono articolati attorno a questioni di carattere politico, sociale ed economico, non a caso era l’imperatore in persona – anche se solo formalmente – a presiedere i concili, il settimo dei quali presieduto da una donna, l’imperatrice Irene. Applicando dunque certi criteri di “pertinenza” o “non pertinenza” teologica, si potrebbe giungere a invalidare l’intera dottrina sociale della Chiesa, per esempio affermando che il «non pagare la giusta mercede all’operaio, ritenuto peccato che grida vendetta al cospetto di Dio», è una affermazione priva di supporti teologici-logico-speculativi-metafisici, riguardante come tale la sociologia politica o il diritto del lavoro, ma non i teologi, compito dei quali è quello di occuparsi solo ed esclusivamente di altre faccende e speculazioni.

A queste persone io ho sollevato domande e posto quesiti ai quali non avendo argomenti di replica hanno lasciato che ad agire fossero le loro tifoserie con urla da stadio e attacchi infami e infamanti a me diretti. domanda Né mi si dica che i miei non sono argomenti teologici, ecclesiologici e pastorali, perché usare il giornale di un ateo dichiarato legato sin dagli anni Novanta alle destre americane ed al Movimento Sionista Internazionale, per portare avanti una campagna di incessante critica verso il Santo Padre, per me è una questione ecclesiologica seria e non poco inquietante, perché se da una parte abbiamo i modernisti, dall’altra abbiamo certi fanatici lefebvriani foraggiati dalle ultra destre americane e da ambiti tutt’altro che favorevoli al cattolicesimo e al papato. Ecco perché desidero capire come mai, da una parte, questi soggetti tutti traditio e latinorum accusano San Giovanni XXIII di avere epurato dal Triduo Pasquale la preghiera sui “perfidi giudei” — posto che il termine perfido, per chi conosce il latino e non il latinetto ecclesiastico tardo ottocentesco, va letto secondo l’etimo di senza fede, sottinteso, in Cristo — dall’altra ecco gli stessi trafficare con ambiti legati al Movimento Sionista Internazionale. Ditemi: mi sono perso qualche cosa? Sono io l’incoerente, o invece lo sono certi intoccabili e non criticabili galantuomini che tutto questo fingono di non vederlo per chissà quale “buona” e “giusta” causa, tanto da essersi messi in sodalizio con Giuliano Ferrara ed il suo ormai becero e insolente giornale “anti-bergogliano”?

cane ringhia

amabile bestiola

A chi mi ha rimproverato di avere attaccato singole persone, ho risposto che sarebbe sufficiente leggere alcuni miei articoli per scoprire che non molto tempo fa espressi perplessità e critiche rispettose verso il Santo Padre che in una delle sue esternazioni estemporanee aveva parlato dei Sacramenti e delle offerte ai preti [vedere qui]. In quel mio articolo fui severo e dissi che non solo il Santo Padre parlava di ciò che non conosceva ma che con simili affermazioni aveva creato disorientamento tra i fedeli e imbarazzo nel clero. Nessuno degli appartenenti sia all’area cosiddetta lefebvriana sia a quanti simpatizzano con i modernisti sollevò questioni per ciò che avevo scritto. Ecco perché oggi mi sorge un dubbio del tutto legittimo: si può forse criticare, all’occorrenza persino severamente, espressioni non opportune del Santo Padre, non però certi circoli di lefebvriani ed i loro maggiorenti?

lotta del bambino

Il bimbo che tenta di spingere il lottatore vuole raffigurare il livello di rapporto che può correre tra Brunero Gherardini e Ariel S. Levi di Gualdo. Va però precisato che Brunero Gherardini, seppure ultra ottantenne, ha una fisionomia molto elegante e slanciata ed una figura longilinea invidiabile

Nella lunga sequela di improperi che mi sono piovuti addosso sono stato accusato di essere una emerita nullità che osa criticare un eminente teologo come Brunero Gherardini. Che questo presbitero anziano sia un eminente teologo è vero nella stessa misura in cui è vero che io sono una nullità, cosa però che non mi impedisce di rivolgere pacate critiche a questo anziano pratese teologo della scuola romana citato da anni dai lefebvriani, dai sedevacantisti e da abusatori vari del termine di Traditio. Affermazione, questa mia, dinanzi alla quale si potrebbe obiettare: cosa c’entra Gheradini? Io credo — forse sbagliando — che per porre in essere una cooperatio ad malum non basta pubblicare a scopo pedagogico le vignette infami della rivista Charlie Hebdo, per far capire, ai lettori che non le avevano mai viste, la gravità di ciò che molti non avevano afferrato, quindi procacciandomi giuste critiche, con tutte le sacrosante ragioni di Antonio Livi che mi disse: «Le tue intenzioni erano indubbiamente buone e le hai pure spiegate in una nota a fine articolo, però potevi evitare il loro inserimento nell’articolo di Giovanni Cavalcoli». Forse la stessa logica può essere applicata attraverso identico criterio a Gherardini che permette a certi soggetti di usare la sua persona, i suoi studi ed i suoi scritti come strumento per rivolgere critiche all’autorità di un concilio ecumenico ed a tutti i pontefici succedutisi dal 1958 a oggi. Sia chiaro, a fare questo non è certo Gherardini, fedele presbitero e teologo indefesso alla dottrina cattolica ed al Sommo Pontefice, che in quanto tale si limita solo a permettere che suoi studi e scritti siano usati a tale scopo, senza mai avere smentito od essersi dissociato da certi circoli lefebvriani che seguitano a strumentalizzarlo senza essersi procacciati sino ad oggi un suo pubblico dissenso.

Quando questi stessi circoli cercarono di fare uso di alcuni miei scritti, si vada a vedere come — pur nella legittima critica da me rivolta a certe derive ecclesiali o scelte pastorali forse non particolarmente felici del Sommo Pontefice — ho reagito difendendo a spada tratta il Magistero della Chiesa, il Concilio Vaticano II ed il Santo Padre. Per non parlare delle opere del Gherardini concesse in pubblicazione francese alle edizioni della Fraternità Sacerdotale di San Pio X, con tutto ciò che questo può implicare a livello di strumentalizzazione della persona da una parte, di legittimo e di legittimante dall’altra. Detto questo resta pacifico che Gherardini può fare ciò che vuole e lasciare libero chi vuole di usare le sue opere per campagne anti-conciliariste che lui non approva ma che di fatto non disapprova. Dal canto mio sono libero di criticarlo per questo suo agire, con tutto il garbo del caso e con la stima dovuta ad un venerabile confratello anziano e ad un grande teologo. E anche questa è una questione tutta teologica e pastorale, basata su una sostanza a fronte della quale non si può rimproverarmi più di tanto per difetto di forma, che pure ha la sua grande importanza per esprimere in modo corretto le migliori essenze della sostanza stessa.

Lucifero di Roberto Ferri

Lucifero nella sua bellezza, opera pittorica di Roberto Ferri

Perché sarebbe insolente contestare certi lefebvriani che partendo da criteri storici finiscono per giocare sul teologico, battendo sull’autorità di Pietro e sui criteri della sua infallibilità, paralizzati in schermi fossilizzati al Concilio Vaticano I? Mi si potrebbe dire e rimproverare: ma costoro sono tutti studiosi … gente colta … persone di gran signorilità …
E allora?
Forse che il Demonio, il maestro insuperabile della semina di confusione, di dubbi e di divisioni, si presenta come un caprone puzzolente o come un contadino illetterato? A me risulta che dietro la patina di “tradizione” e di “sana dottrina”, dietro a certi insigni studiosi ci sono imprenditori, liberi professionisti, politici, associazioni internazionali che spesso non hanno nulla di cattolico, talora manco di cristiano. E di questo è eloquente paradigma proprio quell’uomo di grande competenza e intelletto tal è Giuliano Ferrara, che ho citato a ragion veduta al di là della persona in sé — vale a dire appunto come paradigma — domandando nel mio articolo precedente se per caso esisteva un ateismo buono e uno cattivo, visto che taluni si sono stracciati le vesti per settimane dinanzi al Santo Padre colpevole a loro dire di avere accettato di farsi intervistare dall’ateo Eugenio Scalfari su un giornale di sinistra, mentre proprio i più critici verso il Santo Padre si sentono invece del tutto legittimati a pubblicare articoli di dissenso verso il Sommo Pontefice sul giornale dell’ateo Giuliano Ferrara, che però dirige un giornale di destra.   In che cosa consisterebbe, pertanto, la non pertinenza della mia domanda?

La mia era quindi una domanda pertinente rivolta a Roberto de Mattei e dinanzi alla quale sono sempre in attesa di risposta; perché per adesso l’unica risposta ricevuta sono stati gli insulti della manovalanza lefebvriana, che non è affatto, come vorrebbero far credere taluni, una minoranza di sparuti infiltrati. I soggetti che mi hanno aggredito in forme nelle quali neppure il più peccatore dei sacerdoti dell’orbe dovrebbe essere infamato, costituiscono la maggioranza di questo ambiente idilliaco che difende la vera Traditio catholica; ad essere minoranza sono i gentiluomini e le gentildonne di grande educazione, cultura, spessore accademico e via dicendo, usati come faccia pubblica presentabile, vale a dire poco più che quattro gatti.

forza nuova

giovani di Forza Nuova

O per dirla in modo triste e facile da documentare: si vada in giro per l’Italia e si verifichi quanto alto è il numero di sacerdoti che accolto con grande favore e fervore il Motu Proprio di Benedetto XVI sul Messale di San Pio V, hanno cessato di celebrare la Santa Messa col vetus ordo e non vogliono più sentirne parlare. Manco a dirsi: le tifoserie lefevbriane si difendono accusando questi presbiteri e diffondendo su di loro emerite falsità, parlano di complotti e boicottaggi, affermano che i preti  «Sono stati irretiti da vescovi modernisti e iper conciliaristi … li hanno minacciati di tagliargli le gambe … di sbatterli in qualche parrocchia di campagna …». Siccome io stesso ho fatto tristi esperienze di ciò, spiegherò adesso come mai molti sacerdoti hanno fatto atto di diniego; e lo spiegherò non a nome mio, ma a nome di numerosi miei confratelli. Molti sacerdoti — e ribadisco molti — hanno cessato con dispiacere queste celebrazioni perché si sono ritrovati con le chiese colme di queste tifoserie fanatiche, incluso un mio confratello che fu persino spintonato perché non voleva che un nutrito gruppo di giovinastri entrassero in chiesa con le bandiere ed i simboli di Forza Nuova. Dunque non solo, i miei confratelli, non sono stati irretiti, ma quando diversi dei loro vescovi li hanno pregati di seguitare a garantire quella celebrazione almeno una volta alla settimana, loro hanno risposto: «Se me lo impone per obbedienza non mi posso rifiutare». E difficilmente, un vescovo, impone ad un presbitero di celebrare contro voglia per assemblee “originali” formate da persone che vanno a dissertare prima e dopo la Santa Messa sui pontefici che sono tutti anti papi eretici a partire dal 1958 a seguire, sul Vaticano II concilio apostatico, sul Messale di Paolo VI messo a punto su modello luterano dal massone Annibale Bugnini e via dicendo. Ma forse, studiosi di alto lignaggio e gente rispettabilissima come coloro che ho osato citare nel mio precedente articolo, pur non essendo preti ne sanno più di me. Per questo si ritengano sin d’ora liberi di smentirmi, ma la risposta a quel punto non sarà più la mia, bensì una raccolta messa a disposizione da questa nostra rivista telematica di tutte le nutrite testimonianze di numerosi miei confratelli disseminati da Cefalù fino a Bolzano, affinché siano i preti che celebrano e che per motivi di opportunità pastorale hanno cessato di celebrare col vetus ordo missae, a spiegare cos’è loro accaduto con certi fedeli, con buona pace di quei laici che pur non celebrando i sacri misteri non esitano comunque a smentire col palese falso le concrete e dolorose esperienze pastorali di noi preti, quando le nostre esperienze reali non corrispondono ai loro sogni ideologici.

Francesco col dito alzato

Cari lefebvriani, guardatelo bene quest’uomo … e pesatelo altrettanto bene, perché non è il mite Benedetto XVI che vi ha aperto le braccia prendendosi in cambio da voi “due sberle”, questo, a farsi dare dell’eretico modernista dal vostro improvvido Vescovo Bernard Fellay [vedere qui], o dell’apostata e dell’anti papa dalle vostre tifoserie da stadio, non sarà disposto a starci più di tanto … e ciò che farà sarà ben fatto e mai meritato a sufficienza  da parte vostra.

Il lefebvrismo è una malattia, un cancro dal quale il corpo della Chiesa va sanato, ed all’occorrenza andrebbe bombardato con la chemioterapia. Ai lefebvriani non è chiaro che il Pontefice Regnante è depositario di una autorità che gli perviene direttamente da Cristo Dio, mentre loro si sono auto-investiti di una autorità che gli perviene solo dalla loro superbia. Per questo è difficile il dialogo e la ricerca di punti comune con soggetti che vivono in modo così chiuso, fiero e deciso nel proprio errore. Ecco perché ritengo intollerabile che l’improvvido e insolente vescovo della Fraternità Sacerdotale di San Pio X, Bernard Fellay, abbia osato rivolgersi pubblicamente al Santo Padre Francesco epitetandolo come un «autentico modernista» [vedere qui], perfettamente consapevole che Pio X, attraverso la sua Enciclica Pascendi Domici Gregis, definì il modernismo come la sintesi di tutte le eresie. Il Santo Padre Francesco non è il mite Benedetto XVI che ha aperto le braccia in tutti i modi agli eretici lefebvriani, pur procacciandosi in cambio due sonore sberle, dato che costoro pretendono davvero l’impossibile: che la Chiesa sconfessi un intero concilio ecumenico. Il Pontefice Regnante non pare predisposto ad essere schiaffeggiato più di tanto e ciò che farà al momento opportuno sarà ben fatto e mai meritato a sufficienza da parte di queste irragionevoli persone, con tutto il nostro appoggio e tutto il nostro plauso. Perché la Chiesa, come affermò il Padre Divo Barsotti predicando gli esercizi spirituali alla Curia Romana nel 1971 su invito del Beato Paolo VI: «… è depositaria di un potere coercitivo perché Dio glielo ha affidato, allora deve usarlo».

Non avendo ancora acquisito la scienza e la sapienza di due teologi anziani come Antonio Livi e Giovanni Cavalcoli — sempre ammesso riesca ad acquisirla un giorno —, il mio attualescienza e conoscenza temperamento, forse pastoralmente grezzo, forse persino sbagliato, mi porta ad avvertire che questi nostri sono tempi nei quali è richiesta la forza e il coraggio di un certo radicalismo paolino scevro da qualsiasi forma di fondamentalismo. Ma soprattutto bisogna cominciare a familiarizzare con un’idea dolorosa per quanto non facile da accettare: forse i lefebvriani sono ancor peggiori dei modernisti. Affermazione quest’ultima sulla quale so che non è d’accordo Giovanni Cavalcoli, che proprio per questo non mancherà di spiegare il suo punto di vista che rispetto al mio è di certo più saggio e pertinente. A mio opinabile parere, mentre i modernisti vorrebbero riformulare il papato alla pretestuosa luce delle loro errate idee di collegialità, cadendo nel dissipante relativismo; i lefebvriani, il papato, stanno mostrando di attaccarlo in tutto e per tutto nei modi peggiori in nome della “vera” tradizione, dell’ “autentico” amore per la Chiesa e del metodo storico usato per giungere alla semina di dubbi teologici sulla legittimità dei Pietro che si sono susseguiti negli ultimi sessant’anni e sulla loro infallibilità in materia di dottrina e di fede. Se quindi da una parte si arriva al relativismo, dall’altra si giunge ad un nichilismo di matrice gnostico-pelagiana. Inutile dire che tutto questo si traduce presto — ed in modo di rigore subdolo — in gravi errori dottrinari presi purtroppo per buoni perché … come potrebbero certi educati, colti e altolocati signori, cattolici così devoti e ligi alla Tradizione, dire cose sbagliate? No, certe cose le dicono perché soffrono per la Chiesa, perché la amano, perché vogliono difenderla … e allora, se proprio sbagliano, non condanniamoli, cerchiamo di dialogare con loro e di trovare tutti i possibili punti comune …

cattedra di pietro

cattedra di Pietro

… in questo gioco subdolo non intendo cascarci e ritengo di avere preso quella strada che mi rende in tutto e per tutto solidale con lo spirito e la saggezza dei due padri anziani dell’Isola di Patmos: con la Chiesa, nella Chiesa e sotto la Chiesa, che non è la nostra idea soggettiva di Chiesa, ma la Chiesa di Cristo governata da Pietro di cui noi siamo strumenti e devoti servitori. E se il nostro essere sacerdotale e teologico si basa su questi presupposti, qualsiasi opinione divergente o diverso modo di sentire finisce col lasciare il tempo che trova, proprio come stiamo dimostrando con questi nostri scritti.

siccardi conferenza

Per ascoltare dalla viva voce dell’autrice il pezzo qui riportato, cliccare sopra l’immagine e andare al minuto 12,10 ed avanti a seguire 

Non parliamo delle accuse di caduta di stile o persino di blasfemia che mi sono piovute addosso per avere ironicamente affermato che era meglio leggere Play Boy anziché certi libri fuorvianti di Cristina Siccardi, che falsa in modo pedestre fatti e situazioni storiche per giungere ad una dottrina adulterata, quindi ideologica. I suoi tentativi di strumentalizzare le figure di San Pio X e del Beato Paolo VI per legittimare i gravi errori di Marcel Lefebvre, se non fossero comici sarebbero tragici. Prendiamo una tra le tante perle di questa scrittrice, ovviamente pubbliche e documentate, quindi udibili dalla sua viva voce da parte di tutti i nostri lettori:

«Monsignor Lefebvre è stato un cavaliere senza macchia e senza paura con una forza che non è stata sicuramente umana, lui ha agito come avrebbe potuto agire un Sant’Atanasio durante l’arianesimo, ha agito come una Santa Caterina da Siena che da sola ha affrontato i Pontefici […] ecco allora che Monsignor Lefebvre diventa paladino delle cose più importanti, delle realtà più essenziali, cioè paladino della fede, nel senso che difendendo la Santa Messa si difende la fede stessa […] Monsignor Lefebvre ha agito così per tanto amore verso Gesù Cristo e poi per la Chiesa e anche per il Papa […] Ecône è stato un luogo dove è stato veramente possibile difendersi dai bombardamenti liberali, modernisti, relativisti e dove è stato possibile mantenere la Tradizione».

È stato di fronte a questi deliri fanta-cattolici che ho affermato esser cosa meno grave e fuorviante leggere Play Boy anziché i libri di certa gente presi purtroppo per buoni da molti Christi fideles, anche se ovviamente, poche righe dopo, chiarendo l’evidente paradosso — che come tale si esplicitava già in sé e di per sé nella mia affermazione — invitavo a non leggere questa rivista  nella quale non v’è nulla di edificante, ma ciò non è bastato a placare certi animi.

siccardi gherardini lanzetta

Cristina Siccardi durante una conferenza: alla sua destra il teologo Brunero Gherardini, alla sua sinistra il teologo Serafino Lanzetta F.I.

Dinanzi a tutto questo la mia logica e il mio modo di agire può essere contestabile. Credo però che queste persone che si prendono sempre terribilmente sul serio, che dietro la loro aura di formale educazione e galanteria seminano siffatti errori, vadano prese proprio in giro per una sorta di dovere cattolico. Perché quando mi si paragona seriamente e con “valide” argomentazioni un Lefebvre a Sant’Atanasio di Alessandria che lotta contro l’arianesimo, come ha fatto la Siccardi pontificando presso la Fraternità Sacerdotale di San Pio X, quindi paragonando in modo subliminale il Vaticano II all’eresia ariana ed i Padri della Chiesa che vi hanno partecipato ai vescovi ariani; o quando altri ben più furenti dichiarano eretico un Pontefice ed apostatica una intera Chiesa a partire da un Concilio ecumenico; quando un eminente teologo eletto da questa gente a propria colonna portante nonché generoso dispensatore di varie prefazioni ai loro libri, gioca sul concetto di concilio pastorale in modo ambiguo, pur animato da tutte quelle migliori intenzioni di cui però certi ideologi lefebvriani non tengono conto, si finisce inevitabilmente col dare strumenti a questi personaggi per giungere infine a dire che l’ultimo Concilio della Chiesa non è dogmatico, ma solo pastorale, quindi destituirlo di autorità, dopo avere fatto uso e abuso di Brunero Gherardini, che non ha mai affermato di simile cose, essendo un gran teologo e soprattutto un autentico uomo di Dio.

ferrara de Mattei

Giuliano Ferrara e Roberto de Mattei durante una conferenza alla Fondazione Lepanto

E dinanzi a questo io posso solo reagire invitando il Popolo di Dio a non prendere nulla di ciò in considerazione ed a ridere di gusto su simili spropositi presentati di prassi in modo serio come fossero delle autentiche verità di fede. Certo, il tutto va fatto con stile e intelligenza, specie quando si criticano suscettibili signori, studiosi, nobiluomini e nobildonne prostrati ai lefebvriani e con un occhio segreto strizzato ai sedevacantisti; che su Corrispondenza Romana, Riscossa Cristiana, Chiesa&Post-concilio, Messa in Latino, od Il Foglio dell’ateo devoto Giuliano Ferrara, ecc… insolentiscono il Romano Pontefice tutti i giorni. E di fronte a questi fatti mi ritengo libero di affermare che a scadere sono queste persone, non io che reagisco ai loro gravi errori dottrinari destituendoli di fondamento col sacrosanto sberleffo, come a mio parere bisognerebbe fare con tutti coloro che ammantano i propri spropositi di quella serietà che degli spropositi non possono di per sé avere.

 

libro gnocchi e palmaro

Il libro di Alessandro Gnocchi e del compianto Mario Palmaro con prefazione di Giuliano Ferrara [vedere qui], che ha fatto seguito al loro celebre articolo: “Questo Papa non ci piace” edito su Il Foglio di Giuliano Ferrara [vedere qui]

Un ultimo esempio dinanzi al quale vorrei che sacerdoti ben più maturi e saggi di me, assieme a teologi dotati di scienza molto maggiore della mia, mi spiegassero a quale titolo si potrebbe e si dovrebbe prendere sul serio una affermazione ereticale di questo genere, riconoscendo a chi l’ha proferita l’aura di studioso serio, tanto intrisa è di per sé d’ignoranza e d’arroganza:

«Che Bergoglio stia demolendo con energia persino ammirevole la Chiesa cattolica, e sottolineo “cattolica”, è nei fatti e non nelle opinioni. Però non sono d’accordo con chi sostiene che lo faccia in nome di un Concilio Vaticano Terzo non dichiarato e che, dunque, il rimedio consisterebbe nell’applicare correttamente il Vaticano Secondo. Le sciagure che hanno portato la Chiesa sull’orlo del precipizio e tanti cattolici a perdere la fede vengono proprio dalla corretta applicazione del Vaticano Secondo: non del suo spirito, ma della sua lettera. L’ho già detto molte altre volte e non mi stancherò di ripeterlo: questa Chiesa merita questo Papa. Anzi, questo Papa è perfetta espressione di questa Chiesa che di cattolico ha sempre meno» [testo integrale qui].

Alessandro Gnocchi

Alessandro Gnocchi

Affermazioni come questa di Alessandro Gnocchi sono di per se grottesche da un punto di vista teologico, ecclesiale e storico. Grottesca è quindi divenuta in questo e solo per questo la rivista telematica Riscossa Cristiana — facente parte della Fondazione Lepanto —  genuflessa ormai come ancella devota alle peggiori eresie di matrice lefebvriana, cosa provata da Gnocchi ed altri articolisti attraverso loro scritti che rappresentano una palese e dolorosa negazione della comunione cattolica. Poco o nulla v’è quindi da dialogare o da cercare punti comune con seminatori e seminatrici di siffatti veleni che esigono esprimere severi e inaccettabili giudizi invalidanti su un intero concilio ecumenico, sul Magistero della Chiesa e sui Romani Pontefici dell’ultimo mezzo secolo. Non escludo però di essere io in errore per avere scelto di agire con quello spirito che ho definito poc’anzi come sano radicalismo paolino.

Pertanto, se la buon’anima di Massimo Troisi diceva: «Non ci resta che piangere», io mi sento di giullariaffermare che dinanzi a questi errori grossolani, frutto di autentiche chiusure all’ascolto ed alle azioni della grazia di Dio, non ci resta che ridere. Il riso è infatti quella sana ed efficace medicina che può aiutarci a sostenere i nostri buoni fedeli sempre più smarriti e confusi, invitandoli a non cercare risposte ai loro dubbi nei libri, negli articoli e nelle conferenze di queste anime confuse che si sono elette a maestri di pensiero e di corretta opinione cattolica, ed infine prendendoli per ciò che realmente sono: dei comici straordinari per quanto di ciò inconsapevoli, quindi resi particolarmente comici dal fatto che più grandi sono i loro errori più loro si prendono terribilmente sul serio. Perché la superbia, vista per altro verso, ha dei risvolti comici che spesso sono davvero esilaranti, l’unica cosa è che il superbo, questo, purtroppo non lo sa, perché la superbia chiude, acceca e toglie ogni sana e cristiana voglia di ridere ed ogni salutare auto-ironia.

LA SALUTE NELLA RISATA

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Che cosa dire dei “tradizionalisti” (e di chi li condanna in blocco)

CHE COSA DIRE DEI “TRADIZIONALISTI” (E DI CHI LI CONDANNA IN BLOCCO)


Il mio dissenso nei confronti del padre Ariel riguarda solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

uccisione guardia

il brutale assassinio della guardia privata già inerme a terra durante l’attentato dei terroristi alla redazione della rivista Charlie Hebdo

In un mio precedente articolo ho già manifestato il mio dissenso dal modo, a mio avviso imprudente, con cui il mio confratello Ariel S. Levi di Gualdo ha trattato l’argomento delle vignette blasfeme di Charlie Hebdo. [vedere qui]. Ora, abusando forse della sua pazienza, torno a dissociarmi da alcuni aspetti della sua maniera di polemizzare con gli esponenti italiani del tradizionalismo militante; egli, infatti, non si limita alla legittima e anzi doverosa critica di certe idee ma passa a pesanti riferimenti personali, facendo i nomi di alcuni pubblicisti (autori di libri e direttori di testate giornalistiche) e anche di alcuni studiosi seri. Tutto ciò nell’articolo intitolato “Siamo al cambio di un’epoca, sul Santo Padre Francesco è necessario sospendere il giudizio e procedere sulle ali della fede” [vedere qui].

Già prima di queste vicende recenti io avevo pubblicato qui, sull’Isola di Patmos, un editoriale nel logo isolaquale – a nome di tutti e tre i redattori della testata – precisavo quella che pensavo dovesse essere il nostro criterio dottrinale e di conseguenza la nostra linea editoriale: “Perché non possiamo dirci tradizionalisti ma nemmeno progressisti” [vedere qui]. L’essenza del discorso che facevo è questa: se parliamo di cose riguardanti la fede della Chiesa e la sua retta interpretazione, non possiamo dogmatizzare quello che è opinabile, ossia assolutizzare ciò che è relativo, perché alla fine viene a essere relativizzato proprio ciò che è assoluto, ossia la verità del dogma. Di conseguenza, L’Isola di Patmos avrebbe dovuto, a mio avviso, riaffermare in ogni occasione la verità del dogma e discernere, tra le tante opinioni teologiche che vengono proposte, quelle che costituiscono una legittima interpretazione/applicazione del dogma da quelle che sono invece incompatibili con il dogma stesso. Così facendo si poteva evitare di assumere posizioni teologicamente confuse, tali da compromettere la funzione di orientamento alla verità del dogma che L’Isola di Patmos deve avere. Per “posizioni teologicamente confuse” intendo quelle che enfatizzano oltre misura una qualsiasi legittima opinione sulla dottrina cattolica, finendo per assumere la qualità epistemica (negativa) dell’ideologia.

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Intervista ad Antonio Livi a cura di Corrispondenza Romana. Cliccare sopra l’immagine per aprire il video

Io, denominando la mia fondazione “Unione apostolica per la difesa scientifica della verità cattolica”, intendevo appunto promuovere un che fosse propriamente scientifico, cioè fondato su principi sicuri e guidato da un metodo appropriato. L’ideologia è proprio il contrario di questo modo di interpretare il dogma, perché confonde acriticamente il dogma con l’opinabile, la limitata e relativa scienza umana con l’assolutezza e definitività della rivelazione divina, così come si trova formalizzata nel dogma, che san Tommaso considerava una partecipazione della «scientia Dei et sanctorum». A quali forme di ideologia mi riferisco? A quelle posizioni ideologiche che oggi nel dibattito teologico si contrappongono polemicamente e che citavo nel titolo dell’articolo: il tradizionalismo e il progressismo.

Noi dell’Isola avremmo dovuto guardarci dall’apparire sostenitori di una di queste contrapposte invenzione ideologiaideologie, e spiegare a tutti le ragioni teologiche di questa nostra presa di distanza. Non però passando dalla critica di certe idee “estremiste” alla denigrazione di singole persone. Perché le singole persone non si indentificano mai con un’idea, e tanto meno con le idee di un gruppo politico, di una corrente di pensiero. E ogni persona ha una sua dignità che non deve essere convolta ingiustamente nella critica delle idee, sue o dell’area culturale di appartenenza. Né devono essere oggetto di critica, in questo contesto dottrinale, le sue ipotetiche intenzioni, e tanto meno i fatti personali e privati.

metro goldwyn mayer

Ariel signigica Leone di Dio. Il padre Ariel ha una caratteristica a lui riconosciuta: si diverte a prendersi in giro da solo …

Il mio dissenso nei confronti di Ariel riguarda dunque solo aspetti esteriori, mentre naturalmente condivido la denuncia di fanatismi ideologici e commistioni politiche riscontrabili nell’area tradizionalista. Nella quale area ci sono, però, anche opinioni legittime e legittime prese di posizione, e io non posso smentire la mia strategia teologica, che consiste nel giudicare solo la dottrina (che è qualcosa di conoscibile con sufficiente sicurezza da parte di un credente dotato di criterio teologico), e non la condotta, specie se privata, delle persone (dato che le loro intenzioni e le complesse vicende della loro vita non sono mai conoscibili adeguatamente e quindi non consentono a nessuno di formulare dei giudizi certi ma solo sospetti più o meno legittimi e illazioni più o meno fondate).

Bianchi, molte fedi

Enzo Bianchi durante una conferenza

Io sono stato fedele a questa strategia teologica anche quando ho ritenuto doveroso, per la salvaguardia della fede nel popolo di Dio, disapprovare recisamente dottrine che mi sembravano del tutto incompatibili con il dogma (l’ho fatto, come tutti sanno, denunciando l’incompatibilità con le fede riscontrabile nei discorsi di certi personaggi pubblici, tra i quali laici come Enzo Bianchi e Vito Mancuso, cardinali come Gianfranco Ravasi e Walter Kasper, vescovi come monsignor Bruno Forte, eccetera). In questa linea, mi sono adoperato anche per promuovere nella Chiesa il reciproco rispetto tra tutte le opinioni compatibili con il dogma, quali che siano le divergenze nella sua interpretazione dottrinale o applicazione storica. Proprio per questo motivo mi astengo dal giudicare ciò che non è dottrina ma prassi (prassi pastorale, istituzionale, apostolica eccetera), perché la prassi delle singole persone è fatta di tante scelte prudenziali che il singolo deve operare di fronte alle diverse circostanze concrete e che devono essere guidate, appunto, dalla virtù della prudenza: virtù che io voglio praticare nel mio proprio operato, ma riguardo alla quale non ho elementi per giudicare l’operato altrui.

tradizionalisti 2

Liturgia secondo il vetus ordo missae

Nell’area tradizionalista ci sono e vanno riconosciute anche opinioni legittime. Mi spiego: se di “area” o di “corrente” si può parlare, è perché i vari protagonisti hanno tutti in comune una determinata impostazione ideologica, che consiste nel considerare illegittimo (totalmente o in parte) il magistero del Concilio Vaticano II, in quanto esso avrebbe accolto (totalmente o in parte) le istanze dell’ideologia opposta, quella del progressismo o modernismo. Da qui un’ermeneutica del Vaticano II come radicale “rottura” con la Tradizione, in particolare con i decreti del Concilio di Trento e del Vaticano I, con la condanna del modernismo teologico da parte di san Pio X e con la condanna della “nouvelle théologie” da parte di Pio XII. Da qui anche il rifiuto in blocco di tutta la teologia post-conciliare e il riferimento costante alla sola teologia pre-conciliare. Da qui poi il fatto di considerare dottrinalmente e pastoralmente inaccettabili alcune riforme introdotte dal Vaticano II nella vita della Chiesa, a cominciare dalla riforma liturgica, con il conseguente attaccamento al Vetus Ordo, considerato l’unico modo valido di celebrare l’Eucaristia. Da qui infine la critica sistematica delle scelte pastorali dei papi del post-concilio (il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e soprattutto il papa attuale, Francesco), considerate come effetti deleteri delle riforme conciliari.

L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

Le posizioni più estreme, in questo senso, sono quelle rappresentate dai seguaci di mons. Marcel- François Lefebvre, alcuni dei quali arrivano a parlare di “sede vacante” e di “Chiesa apostatica”. Evidentemente, tali posizioni estreme non sono fatte proprie, tutte insieme, da tutti i rappresentanti del tradizionalismo cattolico, dato che tra essi ci sono anche studiosi seri ed equilibrati, le cui idee – prese una per una – possono e debbono essere apprezzate, anche se non necessariamente condivise, come fondate e legittime interpretazioni del dogma cattolico e della storia della Chiesa. Si tratta cioè di opinioni teologiche oggettivamente rispettabili, e io, quando si presenta l’occasione, trovo del tutto giusto rispettarle, e talvolta anche esprimere il mio apprezzamento. E a chi lavora con me suggerisco di fare altrettanto, ossia di rispettare queste opinioni teologiche oggettivamente rispettabili. Rispettarle – chiarisco – non per il contesto impersonale (socio-culturale) dell’ideologia che costituisce il loro humus, ma nel contesto personale dei retti ragionamenti di chi le propone.

de mattei concilio vaticano II

una pregevole opera storica di Roberto de Mattei

Faccio un primo esempio, tanto per chiarire ulteriormente questo mio criterio. Le ricerche storiografiche di Roberto de Mattei sul Vaticano II costituiscono di per sé — indipendentemente dall’uso ideologico che se ne possa fare — una documentazione che ha un suo indubbio valore scientifico. Io non condivido il suo interesse nell’esaminare il Concilio come “evento”, perché a me interessa il Concilio come Magistero, indipendentemente da come i documenti conciliari siano stati elaborati nelle commissioni e votati in aula; ma ciò non mi impedisce di leggere senza pregiudizi i suoi lavori e di trarne utili indicazioni per l’ermeneutica del Concilio, che per papa Ratzinger porta a riconoscere nel Vaticano II una «riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa». Nemmeno condivido del tutto la sua strategia di intervento dei cattolici nella vita sociale a difesa dei «principi non negoziabili»: ma io so bene che qualche iniziativa nella società civile va pur presa, e la mia diffidenza nei riguardi dell’uso di certi mezzi (l’inevitabile commistione con questioni politiche) non toglie la mia condivisone piena dei fini. Questo è il motivo per cui non ritengo giusto che lo si critichi nell’Isola di Patmos senza distinguere tra le sue valutazioni storiografiche (che rientrano nei limiti della legittima libertà di opinione dei cattolici) e le sue iniziative culturali e socio-politiche (la cui opportunità non tocca noi dell’Isola di Patmos giudicare).

pietro vassallo

Antologia di scritti di Piero Vassallo per Riscossa Cristiana

Faccio un altro esempio. Piero Vassallo è un colto intellettuale genovese, buon conoscitore della storia della filosofia moderna, e io e lui ci troviamo d’accordo sulla validità della “filosofia del senso comune” e sulla critica dell’idealismo in teologia; perché mai dovrei rifiutare la sua amicizia in quanto manifesta, quando si occupa di argomenti estranei alla teologia, simpatie per la destra politica? Oltre a non parlare (né bene né male) delle sue convinzioni politiche, dovrei anche additarlo al pubblico disprezzo? E quale argomento teologico dovrei inventarmi per attaccarlo? Dovrei forse dire che la morale cattolica proibisce di avere simpatie per la destra? Ma l’opinione che bisogna essere necessariamente di sinistra per essere buoni cattolici non ha alcun fondamento teologico: è la classica opinione dei “fondamentalisti” (che possono essere cattolici di destra, m anche cattolici di sinistra: basti pensare ai teorici della “teologia politica” o “teologia della liberazione”).

fuori strada …

I “fondamentalisti” sono teologicamente fuori strada, perché ignorano la complessità delle questioni politiche e lo spazio di libertà che la Chiesa concede ai fedeli nella scelta dei mezzi per operare la necessaria “mediazione” tra i principi dell’etica sociale e le concrete possibilità di promozione del bene comune nella contingenza storica. Io quindi debbo limitarmi a considerazioni di carattere teologico, ricordando a tutti che in politica non ci sono dogmi, e il vero dogma, quello che è alla base della morale cattolica, non obbliga i fedeli ad alcuna opzione politica contingente. I principi della teologia morale (e la dottrina sociale della Chiesa costituisce un capitolo della teologia morale, diceva san Giovani Paolo II) segnalano dei criteri che la coscienza dei fedeli deve seguire, applicandoli con libertà e responsabilità personale alle concrete circostanze storiche in cui ci si trova a operare.

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l’eminente teologo della scuola romana Brunero Gherardini

Un terzo esempio è quello di Brunero Gherardini, teologo della Lateranense ed esponente di quella che fu la celebre “scuola romana”, alla quale i progressisti vollero infliggere la damnatio memoriae. I tradizionalisti invece esaltano Gherardini perché ha messo al centro della discussione teologica del post-concilio proprio la nozione di “Tradizione”, senza peraltro comprenderla appieno nella sua complessità epistemica. Io credo di averla compresa appieno e non mi convince del tutto (lui lo sa perché ci frequentiamo amichevolmente da tanti anni e ci scambiamo opinioni su tanti argomenti), ma ciò nonostante consiglio a tutti lo studio dei suoi testi, ricchi di buona dottrina e di profonda pietà. In uno di questi suoi testi egli conclude la sua analisi dei documenti dottrinali del Vaticano II rilevandone in alcuni casi l’ambiguità: un’ambiguità tale da consentire ai progressisti interpretazioni false e tendenziose, atte a giustificare la loro «ermeneutica della discontinuità», ossia la tesi secondo la quale il Vaticano II segnerebbe una radicale rottura con la Tradizione. Ma qual è la conseguenza che Gherardini trae da questa sua analisi? Non il rifiuto indiscriminato degli insegnamenti conciliari bensì un rispettoso e accorato appello alla suprema autorità del Magistero, il Papa, perché provveda nel modo che crederà opportuno chiarire in quale senso quelle proposizioni ambigue possono e debbono interpretarsi in continuità con il magistero precedente. Io ho ritenuto giusto e doveroso aderire a questa pubblica supplica al Papa, anche se personalmente ho sempre pensato che il problema delle ambiguità contenute in alcuni testi conciliari va risolto con il criterio ermeneutico della “analogia fidei”, ossia presupponendo che la Chiesa di Cristo – unico soggetto permanente nelle mutevoli contingenze storiche – non intende mai contraddirsi, sicché nelle intenzioni della Chiesa docente ogni evoluzione del dogma è sempre in armonia sostanziale con la Tradizione (si tratta di una «evoluzione omogenea», come diceva Marin Sola).

E potrei fare tanti altri esempi, ma questi bastano. Se noi dell’Isola di Patmos condanniamo indiscriminatamente le singole persone di una determinata area ideologica, senza salvare gli aspetti oggettivamente positivi delle loro proposte teoretiche, facciamo anche noi un’operazione ideologica, e così la nostra opera di orientamento teologico dell’opinione pubblica viene a esserne fortemente limitata.

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Segnaliamo ai nostri lettori che il precedente articolo di Antonio Livi è stato particolarmente apprezzato nell’ambito francese ed è stato tradotto e riprodotto in una rivista telematica che potete consultare cliccando sotto

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