Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


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Padre Antonio

All’irrazionalismo intollerante degli islamici l’Occidente oppone soltanto l’irrazionalismo tollerante degli atei

ALL’IRRAZIONALISMO INTOLLERANTE DEGLI ISLAMICI L’OCCIDENTE OPPONE SOLTANTO L’IRRAZIONALISMO TOLLERANTE DEGLI ATEI

 

 [ RIPRODOTTO IN VERSIONE FRANCESE DALLA RIVISTA TELEMATICA BENOIT ET MOI ]

QUI

 

Così l’Occidente non può opporre all’irrazionalismo di una morale ricavata dal Corano senza alcuna mediazione teologica e tanto meno filosofica — quindi ignorando il diritto naturale — un altro tipo di irrazionalismo, quello di una legislazione “laica” senza Dio e senza il diritto naturale, che è appunto la lex Dei aeterna.

 

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

 

Intervengo anch’io sui tristi eventi del gennaio 2015 a Parigi (la violenza assassina dei fanatici islamici e la grande manifestazione di solidarietà ai redattori di Charlie Hebdo per esprimere un’opinione diversa da quella degli altri redattori de L’Isola di Patmos. I lettori di questa rivista telematica non si sorprenderanno e tanto meno si scandalizzeranno di questa differenza di opinioni, perché noi abbiamo sempre detto che volevamo riportare ogni problema di attualità teologica ai principi della vera dottrina della Chiesa, ossia al dogma, illustrandolo però con commenti e applicazioni che per loro natura appartengono al campo dell’opinabile, lì dove nessuna opinione richiede necessariamente l’unanimità dei consensi. Ho ricordato in qualche occasione il vecchio motto patristico: “In necessariis, unitas; in dubiis, libertas; in omnibus, caritas”.

Dunque, senza voler mancare alla carità, esprimo con tutta libertà la mia opinione. Per essere il più possibile chiaro e preciso, enuncerò in tre punti:

1) Innanzitutto, io considero “tristi eventi” tanto la violenza assassina da parte dei fanatici islamici quanto la grande manifestazione di solidarietà ai redattori di Charlie Hebdo da parte dei capi politici francesi e di molti altri Paesi dell’area occidentale. Ambedue questi fatti — quello militare e quello ideologico — li giudico di enorme gravità morale, ma non tanto quanto lo è un terzo fatto, quello che ha dato origine agli altri due, ossia la pertinace pubblicazione la divulgazione di vignette oscene e pesantemente irriverenti contro l’Islam (con la caricatura del profeta Maometto) e contro il cristianesimo (con la rappresentazione blasfema della Santissima Trinità, di nostro Signore Gesù Cristo e della sua Madre Immacolata).

2) La reazione a queste vignette è stata, da parte degli islamisti, di furiosa indignazione, soprattutto per le caricature del profeta Maometto, che essi ritengono non debba essere rappresentato mai da alcuno; i più aggressivi hanno fatto ricorso al terrorismo in Francia e a nuove ondate di persecuzione violenta dei cristiani (considerati tutti indistintamente complici del “grande Satana”, cioè l’Occidente) in Medio Oriente e in Africa, e sempre più esplicita è la minaccia di estendere la “guerra santa” a tutto l’Occidente, minacciando anche Roma, centro della cristianità.

3) La reazione all’aggressività degli islamisti, da parte degli occidentali, è stata l’esaltazione indiscriminata della pretesa libertà di satira antireligiosa, fino al punto che le vignette irriverenti sono state diffuse in tutti i Paesi, non solo con le edizioni straordinarie di Charlie Hebdo (recentemente in sette milioni di copie, distribuite anche fuori della Francia, in Italia con Il Fatto quotidiano) ma anche con l’incauta riproduzione da parte di organi informativi cattolici, i quali oltre tutto hanno preferito selezionare le vignette contro il cristianesimo piuttosto che quelle contro l’Islam che avevano provocato la strage di Parigi. La rivista politico-culturale Etudes, diretta da religiosi gesuiti, le ha offerte ai suo lettori con l’assurdo pretesto di voler dimostrare come i cattolici non siano “integralisti” e sappiano anche loro rispettare la “libertà di satira”, ridendo volentieri anche delle proprie istituzioni e dei loro rappresentanti. Persino L’Isola di Patmos, senza che io fossi consultato al riguardo, ha pensato di dover riprodurre tali orrende vignette anticristiane a corredo di un ottimo articolo sull’argomento firmato da Padre Giovanni Cavalcoli. Io considero questa scelta giornalistica – malgrado le ottime intenzioni, tra le quali quella di documentare la gravità dei fatti dei quali si parla – una scelta sbagliata, perché materialmente costituisce una “cooperatio ad malum”, un’involontaria complicità con il peccato altrui, che in questo caso — l’offesa al Nome di Dio — è addirittura il peccato più grave.

libertà di parolaFar osservare che il problema di come conciliare la libertà di opinione con il rispetto delle istituzioni religiose e dei loro simboli è una questione del tutto secondaria rispetto all’enormità della bestemmia come atto intrinsecamente immorale, come offesa di Dio. Di fronte ai fatti dei quali stiamo parlando, una persona di retto criterio, e ancor più un teologo, non dovrebbe accumulare tante considerazioni socio-culturali ma rilevare ciò che è incommensurabilmente più grave di tutto il resto: che quelle famigerate vignette di Charlie Hebdo contengono, tra tante sconcezze e offese dissacranti — tutte cose deprecabili — anche bestemmie in senso proprio, ossia profanazione del santo Nome di Dio, e questo costituisce di per sé e direttamente la “materia” di quel gravissimo peccato dal quale Dio stesso mette in guardia tutti gli uomini con il secondo comandamento del Decalogo.

Per spiegarmi meglio, devo ricordare che “blasfemia”, etimologicamente, vuol dire genericamente “ingiuria”. Ora, quando la vittima dell’ingiuria è solo un essere umano, si va contro il quarto e il quinto comandamento, e la colpa più o meno grave, a seconda della dignità della persona offesa; invece, quando l’ingiuria è rivolta direttamente a Dio è bestemmia in senso proprio.

Gli islamici parlano di “blasfemia” anche solo quando si rappresenta Maometto, che nemmeno loro considerano Dio ma solo il suo Profeta. E così non è propriamente blasfemia, quanto al cristianesimo, l’irrisione dei rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, Papa compreso. Non che siano atti tollerabili: sono azioni dissacratorie contro istituzioni e persone che rappresentano la vera religione, istituita da Cristo stesso. Ma – ripeto ancora – la gravità di questi peccati non è assolutamente comparabile con la gravità del peccato di blasfemia, che è la colpa di chi offende il Padre, il figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo (e ricordo che, in virtù dell’unione ipostatica, anche l’offesa alla Santissima Vergine Maria, Madre Dio, costituisce una vera e propria bestemmia).

Io, fin da bambino, ho tanto sofferto per le bestemmie che sentivo in giro — e siccome sono toscano ne sentivo parecchie —, e qualche volta reagivo redarguendo con una certa animosità i bestemmiatori. Poi, da sacerdote, ho dovuto assumere un contengo più pacato, imitando la mansuetudine di Gesù. Ma l’offesa a Dio fatta in pubblico profanando il suo Nome e quello della sua Madre santissima mi ha sempre recato un dolore profondo e dalla Chiesa ho imparato a fare personalmente tanti atti di riparazione, oltre alle preghiere in riparazione delle bestemmie che si recitano durante l’esposizione eucaristica. La reazione nei confronti dei bestemmiatori è passata ben presto in secondo piano, anzi poi nemmeno c’è più stata. Anche loro sono oggetto della preghiera, chiedendo a Dio stesso di non tener conto del loro peccato, “perché non sanno quello che fanno”. Insomma, di fronte alla bestemmia, una persona di retta coscienza soffre per la bestemmia perché sa bene che Dio merita non solo rispetto ma anche atti costanti di adorazione e di ringraziamento da parte di tutti gli uomini. Poco importa, a un cristiano che sia dotato di buon senso prima ancora che di fede, il fatto che la bestemmia ferisca il suo amor proprio e che egli si senta personalmente offeso nella sua appartenenza a una religione. Quello che veramente conta, quando si tratta della bestemmia, non è l’aspetto soggettivo e sentimentale ma quello oggettivo e morale. Perché la bestemmia è innanzitutto un peccato, uno dei più gravi, perché va direttamente contro il secondo comandamento del Decalogo, così banalizzato da Roberto Benigni, che è pratese come me e fa quello che può, poverino, ma gli danno troppo ascolto e troppi soldi anche quando vuol far ridere con argomenti presi dalla teologia.

Questo non è un discorso astratto e ozioso: serve a far capire che quasi tutti i commentatori cattolici hanno reagito in modo inadeguato ai fatti incresciosi legati alle “vignette blasfeme”, perché hanno parlato sempre e soltanto del rispetto per le religioni, per i loro adepti e per i loro simboli. Ad esempio, il vescovo di Verona, monsignor Giuseppe Zenti, in un articolo pubblicato sul settimanale diocesano, Verona fedele, intitolato “Come si concilia la blasfemia con la laicità democratica?”, depreca semplicemente «il clima culturale» che ha reso possibile la pubblicazione delle “vignette blasfeme”: un clima, specifica il presule, che è «quello della barbarie, nella quale non c’è diritto di cittadinanza per il rispetto delle persone e della loro sensibilità umana e religiosa» [vedere qui]. Un altro vescovo, il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, parlando agli ebrei ha detto: «Ci sono temi che non possono essere trattati con generi letterari come l’ironia, soprattutto quando questa è feroce: quando la responsabilità è pubblica, le nostre parole sono più pesanti delle pietre» [vedere qui]. Troppo poco, dico io. Più grave dei qualsiasi mancanza di «rispetto delle persone e della loro sensibilità umana e religiosa», e più grave anche delle offese ai ministri di Dio, è l’offesa a Dio stesso, a Dio come realtà persona e non come idea di qualcuno o simbolo di qualcos’altro.

Nemmeno Padre Giovanni Cavalcoli, nel commento ai fatti di Charlie Hebdo, sembra prendere nella dovuta considerazione il tremendo fatto della blasfemia ripetuta dappertutto in milioni di copie, ma preferisce raccomandare un maggior dialogo tra il cristianesimo e l’Islam, partendo dalla comune fede nel Dio di Abramo e praticando il reciproco rispetto. Perfino il Santo Padre, nell’intervenire sull’argomento, ha parlato dell’inevitabile reazione — che egli definisce ingiusta ma umanamente comprensibile — che ci si può aspettare quando si arreca offesa a una persona, per esempio parlando male di sua madre [vedere qui]. Ma, ripeto, qui non sono in gioco i rapporti “orizzontali” tra gli uomini nella società umana, ma il rapporto “verticale” degli uomini con Dio. Se si rimane nella linea “orizzontali” e ci si preoccupa solo di stabilire il modo e la maniera di tutelare l’onore e i diritti di qualche soggetto sociale, ci si uniforma, anche in Occidente, alla mentalità tipica dell’Islam, dove tutto è politica, e non c’è il diritto naturale ma solo il diritto positivo stabilito arbitrariamente dagli Stati.

Così l’Occidente non può opporre all’irrazionalismo di una morale ricavata dal Corano senza alcuna mediazione teologica e tanto meno filosofica — quindi ignorando il diritto naturale — un altro tipo di irrazionalismo, quello di una legislazione “laica” senza Dio e senza il diritto naturale, che è appunto la lex Dei aeterna. In Occidente, dopo tutta la retorica indifesa della libertà di opinione e anche di satira, si è voluto reagire alla violenza militare degli islamisti giustificando la violenza ideologica del giornale satirico — tutti hanno detto: “Je suis Charlie” —. Poi, dal fatto contingente si è passati a teorizzare il “diritto” a ingiuriare ogni religione — ma soprattutto il cristianesimo, oltre naturalmente all’Islam —, proclamando il “diritto alla bestemmia” o «diritto di blasfemia», che il presidente francese Holland ha incluso tra i diritti civili e le conquiste di libertà che l’Occidente ha ereditato dalla Rivoluzione Francese. Certo, da un punto di vista meramente storico-culturale, Holland ha ragione: il guaio è cominciato proprio con l’Illuminismo anticattolico, i cui rappresentanti però non erano propriamente atei (non lo era nemmeno Voltaire). Quello che fece l’Illuminismo massonico — preponderante rispetto all’Illuminismo cattolico, che ebbe tra i suoi rappresentanti due intellettuali napoletani, Giambattista Vico e sant’Alfonso Maria de’ Liguori — fu di sostituire il culto di Dio con il culto del Potere politico. Così, in Francia i giacobini idearono la solenne intronizzazione di un’immagine della Dea Ragione nella basilica di Notre Dame a Parigi, non più casa di Dio ma esaltazione del pensiero rivoluzionario. Così, negli Stati Uniti, i Padri pellegrini fecero di Dio la bandiera delle aspirazioni all’indipendenza dalla Chiesa anglicana, governata dal re d’Inghilterra, e nella banconota da un dollaro scrissero “In God we trust”. Due secoli dopo, i nazisti combattevano la loro battaglia neopagana mantenendo il motto degli imperatori tedeschi: “Gott mit uns!”… Insomma, la storia ci mostra la rapida evoluzione di un’operazione ideologica di secolarizzazione, al culmine della quale non solo Dio non è più riconosciuto come il fondamento della legge naturale e il logico detentore del diritto all’adorazione da parte di tutti gli uomini, ma è addirittura negato nella sua stessa realtà. Per operare questa sostituzione, siccome l’evidenza di un Assoluto è insita nella ragione umana, l’Illuminismo moderno e contemporaneo ha operato una grottesca regressione culturale, tornando all’idolatria, alla divinizzazione degli «elementi di questo mondo» come li chiama san Paolo.

Prima che si istituisse la societas christiana la storia registra società che praticavano il culto degli idoli della nazione (antico Oriente) oppure il culto del capo militare (il divus Caesar dell’Impero Romano, al quale i cristiani si rifiutavano di offrire sacrifici). Modernamente, l’ideologia laicista ha voluto di nuovo divinizzare il Potere politico (lo “Stato”, la “Nazione” o il “Popolo”). Per imporre questa divinizzazione il laicismo mutua dal cristianesimo il linguaggio del sacro, che di per sé ha senso solo se riferito a Dio: ecco la «religione civile» teorizzata da Jean-Jacques Rousseau; ecco l’altare della Patria voluto dai Savoia dopo la presa di Roma; ecco «i sacri confini» della Patria; ecco il culto della memoria dei martiri (nel Ventennio si parlò dei «martiri fascisti», subito dopo dei «martiri della Resistenza»); ecco «l’apostolo della libertà» (Giuseppe Mazzini); ecco i «pellegrinaggi» al mausoleo di Lenin eccetera. Il senso del sacro è passato tutto nella retorica politica: il Sacro autentico, il Sacro per antonomasia, cioè Dio, non ha più alcun riconoscimento pubblico come realtà in sé. Se vien evocato, è solo per descrivere «il sentimento religioso» di qualche gruppo di cittadini, ai quali lo Stato può benignamente concedere una qualche libertà di culto.

Stando così le cose, è troppo poco, dicevo, limitarsi a perorare, contro la satira blasfema dei giornali occidentali, il rispetto dei diritti soggettivi delle persone che credono in Dio, e ciò al solo scopo di garantire la pace sociale. Ad esempio, sulla Bussola Quotidiana del 18 gennaio ho letto un articolo di Ettore Malnati intitolato “L’offesa al sentimento religioso non aiuta la convivenza” [vedere qui]. Ripeto ancora: troppo poco! Qui si tratta del rispetto dovuto a Dio, che indubbiamente esiste anche se lo Stato laicista dice che non è vero, che “non gli risulta”. Per lo Stato laicista la satira antireligiosa, compresa la blasfemia, è solo una maniera lecita di esprimere la critica razionale di un sentimento soggettivo irrazionale. E invece la verità è che la bestemmia costituisce un’ingiustizia, un disordine morale (cioè un peccato) di gravità assoluta, perché ciò che viene violato, innanzitutto, è il diritto primario che ha Dio al rispetto, all’onore e all’adorazione. Proporre, come è stato fatto, che lo Stato sancisca l’esistenza di un «diritto di blasfemia” equivale a formalizzare l’implicita premessa ateistica dello Stato laicista, la sua “Costituzione materiale”: si pretende che lo Stato affermi esplicitamente – senza averne alcuna autorità, né logica né morale – che Dio non esiste, che ciò che alcuni chiamano “Dio” è solo un’idea soggettiva tollerabile nel privato ma non meritevole di tutela pubblica. Mentre lo sono altre idee, ad esempio l’idea di essere degni di rispetto e di stima in quanto gay. Per questo motivo non si possono assolutamente offendere e nemmeno criticare i gay (è il reato di “omofobia”) ma si può offendere Dio, perché Dio non esiste. Invece, offendere un capo di Stato è reato di vilipendio, perché il capo di Stato esiste, e ovviamente lo Stato lo sa. Questa è la logica del discorso, se di logica si tratta. In realtà non si tratta di logica ma di mera prepotenza da parte di chi, per mantenere il potere, deve continuare a imporre la sua egemonia culturale e ideologica. Lo Stato si è costituito arbitrariamente di un’autorità assoluta, tanto da considerarsi esplicitamente fonte di ogni verità metafisica e morale, e quindi giuridica (chi esiste e ha diritto al rispetto e chi no).

La legge positiva ha legittimità solo se presuppone e rispetta la legge morale naturale, che parte dalla certezza che c’è Dio come prima Causa e ultimo Fine di tutto, e pertanto come Legislatore universale. Prima, a proposito dell’offesa al santo nome di Dio, parlavo del primo e del secondo Comandamento. Questo e tutti gli altri costituiscono il Decalogo, che altro non è se non la codificazione veterotestamentaria della legge morale naturale. Essa contiene in modo pienamente intellegibile le norme morali fondamentali che ogni uomo spontaneamente conosce ed è obbligato a osservare fedelmente, come insegna la grande tradizione filosofica e anche la Sacra Scrittura. Non c’è bisogno di conoscere la Legge di Mosè, dice san Paolo nella Lettera ai Romani, per onorare e amare Dio come creatore e legislatore. Così, oggi, dobbiamo dire che non c’è bisogno di una legge positiva della società civile per non bestemmiare. Certo, uno Stato moderno occidentale, che si vanta di essere “laico”, non solo non manterrà le leggi contro la blasfemia che prima erano state in vario modo formulate, ma addirittura imporrà una legge a favore del “diritto di blasfemia”.

Bisogna reagire all’ideologia statalistica, che è uno dei frutti più amari dell’idealismo e ricordare che è piuttosto lo Stato che non esiste: esistono invece uomini e donne che formano la società civile, uomini e donne che in quanto cittadini di una nazione si sono dati o hanno ricevuto una determinata forma giuridica per le istituzioni pubbliche (governo, giustizia, difesa, fisco eccetera), e ci sono tra questi cittadini alcuni che esercitano funzioni pubbliche. Gli uni e gli altri (privati cittadini e funzionari pubblici) hanno un intelletto e una coscienza, e sanno bene qual è la realtà evidente per tutti, e a partire da questa conoscenza di base (che in filosofia si chiama il “senso comune”) si formano le loro opinioni, in libertà, sulle questioni contingenti. Dal consenso di tutti sulle evidenze del senso comune si viene formando in tanti diversi modi il diritto positivo, valido se in sintonia con la volontà popolare ma soprattutto e innanzitutto con la legge morale naturale.

Chi ha ancora la facoltà di pensare con la propria testa sa che la verità metafisica e morale è una conquista che la ragione umana ottiene quando si basa sull’esperienza immediata e universale e poi anche sulla riflessione critica (la filosofia), che sono le premesse razionali di un eventuale accoglimento della rivelazione divina. Di fronte all’indottrinamento dello Stato ateistico bisogna tornare all’evidenza che Dio esiste, anche se chi governa lo Stato non vuole riconoscerlo. Lo riconosce il senso comune e la filosofia: nessun vero filosofo ha professato l’ateismo (lo ha dimostrato Etienne Gilson con il suo libro L’ateismo difficile), e nessuno scienziato ha mai potuto dimostrare con i suoi strumenti di indagine che Dio non c’è. Un autorevole filosofo italiano, in un’opera degli anni Sessanta del secolo scorso, ha scritto:

«L’itinerario dell’uomo a Dio si presenta come il più arduo e il più pressante. Senza il riferimento all’Assoluto infatti tutti i valori restano sospesi e l’uomo è esposto al continuo rischio di essere travolto dalla temporalità e di smarrirsi nei trabocchetti della contingenza. I vari tentativi di evadere il problema di Dio dell’ateismo nelle sue forme poliedriche fino alle contemporanee forme della cosiddetta “teologia della morte di Dio”, mostrano la dialettica mai risolta del dramma sconcertante dell’uomo che quaggiù non può attingere e possedere Dio, mentre avverte sempre in qualche modo di non poter stare senza Dio» (Cornelio Fabro, L’uomo e il rischio di Dio).

L’ateismo di Stato, come quello che si è imposto in Occidente, è concepibile solo in un orizzonte meramente politico: ma non di politica come esercizio del potere regolato da criteri di giustizia per in vista del bene comune, bensì di politica come conflitto di interessi per la conquista o il mantenimento del potere da parte di una forza ideologica, economica e militare. Una politica del genere cerca il consenso popolare con discorsi demagogici, rivolti al sentimento e non alla coscienza dei cittadini; e, quando raggiunge i suoi fini, ecco che l’ordine sociale è radicalmente compromesso a causa di leggi prive di qualsiasi connessione con il diritto naturale. Ma le leggi contrarie al diritto naturale non sono vere leggi, non hanno valore morale, ma si riducono a prepotenza, a tirannide, a dispotismo. Poco importa, da questo punto di vista, che la forma di governo sia totalitaria o democratica: in entrambi i casi si deve riconoscere che una gestione del potere (magistratura, governo, parlamenti) che ignori il diritto naturale fa sì che la classe politica si riduca a un’associazione per delinquere (magnum latrocinium), come diceva sant’Agostino già ai tempi della transizione tra l’Impero romano e i regni barbarici.

Ora, la coscienza di un uomo dotato, appunto, di coscienza, lo indurrà a comportarsi bene con Dio, sia nella vita privata che in pubblico, senza bisogno di costrizioni legali in un senso o nell’altro. Dal punto di vista della coscienza personale non c’è alcun problema. Il problema sorge quando la coscienza personale spinge a interessarsi della cosa pubblica e a prendere posizione di fronte alle leggi ingiuste. Tanti sono infatti i modi di prendere posizione: con il proprio attivo intervenento nella formazione dell’opinione pubblica, con diversità di forma e di critica sociale (l’insegnamento, l’uso dei mass media), con l’esempio personale che è giusto o no osservare e, esercitando il diritto di voto quando le circostanze lo consentono, contribuire a far sì che non sia approvate o se già approvate possano essere abolite. Tanti lo hanno fatto e lo stanno facendo, ad esempio per quanto riguarda l’aborto, (questione de iure condito) o il riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali (questione de iure condendo).
Ma gli aspetti paradossali di questa opposizione dello “Stato laico” è che l’Assoluto, cioè Dio, non è considerato reale, mentre lo Stato, che è relativo a un’idea della società, è considerato reale. Il relativismo, nega ogni assoluto – il che è impossibile per le leggi fondamentali della logica – e finisce così per rinchiudersi nel solipsismo irrazionalistico. Tipico dell’irrazionalismo è fare discorsi che cadono continuamente nella contraddizione (il self-denying discourse), e pertanto più che sbagliati sono propriamente insensati, sono autentici nonsenses. Lo “Stato laico” professa l’irrazionalismo tanto quanto lo “Stato islamico”, ossia l’ideologia politico-religiosa dell’Islam denunciata da Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona.

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Musulmani e comunisti. Il caso della rivista Charlie Hebdo ed i limiti della “satira”

MUSULMANI E COMUNISTI. IL CASO DELLA RIVISTA CHARLIE HEBDO ED I LIMITI DELLA “SATIRA”

 

Nella strage di Parigi abbiamo assistito ad un attacco sfrontato, frontale e barbarico contro il cristianesimo da parte di due forze occasionalmente congiunte, per quanto tra loro sotto un certo aspetto feroci nemiche: il comunismo e l’islamismo.

 

Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli OP

 

la vergine maria violentata da re magi

Copertina blasfema dinanzi alla quale i soliti … “bigotti cattolici” potrebbero persino rimanere infastiditi, nel vedere la Madre di Dio alla quale i paladini della libertà di pensiero e di espressione hanno dedicato questo titolo: “La Santa Vergine violentata dai tre Re Magi”

La tragedia della strage a Parigi dei redattori del periodico comunista Charlie Hebdo ad opera di terroristi islamici ci suggerisce alcune riflessioni. Innanzitutto ci chiediamo quale giudizio o valutazione morale dobbiamo dare, come cattolici, sullo sconvolgente avvenimento; quali possono essere il senso o le conseguenze di un fatto così orrendo per molti motivi, un fatto che segna un gradino in più nell’escalation delle forze anticristiane ed antiumane contro il cristianesimo e la civiltà. In secondo luogo ci chiederemo quali possono essere state le cause prossime e remote. In terzo luogo ci chiederemo che cosa possiamo fare perchè non si ripetano fatti del genere.

Il primo sentimento che ci sorge nell’animo è quello della profonda commozione per i morti, redattori, attentatori, vittime innocenti prese in ostaggio, agenti addetti all’ordine. Vien fatto di pensare, a parlare con franchezza, che i redattori una simile disgrazia se la sono tirata addosso, conoscendo la suscettibilità dei musulmani. Un pensiero dunque per i morti: sdegno per i terroristi, pietà per le vittime, ammirazione per l’eroismo degli agenti. Invochiamo per i terroristi il Dio della giustizia e della misericordia. Quanto ai cristiani, essi pure disgustosamente presi di mira dalla satira sacrilega, ovviamente si sentono feriti. Ma traggono da questo episodio solo un incentivo per testimoniare con maggior chiarezza e suasività la loro fede, pregando per la conversione degli empi. Auguriamo agli organi giudiziari competenti di poter operare con saggezza ed efficacia per ristabilire in questo incresciosissimo e difficilissimo caso i diritti della giustizia lesa ed applicare con giustizia la legge nei confronti delle persone coinvolte dall’una e dall’altra parte.

 

charlie-hebdo - trinitas

Libertà di pensiero e di espressione. Copertina blasfema sulla Santissima Trinità.

La prima cosa che mi sento di dover dire è che nella strage di Parigi mi par di constatare l’incrociarsi di due fattori potenti anticristiani, che si stanno rafforzando oggi sul piano internazionale contro il cristianesimo, per cui sembrano valere oggi più che mai le parole del Salmo: «insorgono i re della terra e i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia» [Sal 2,2]. Prendo come punto di riferimento per le riflessioni che propongo la vignetta blasfema contro la Santissima Trinità, vignetta che, a seguito dell’attentato, ormai tutti conoscono o perchè è stata loro sbattuta in faccia dai mass-media o perchè se la sono andata morbosamente a cercare, per cui ha fatto il giro del mondo, per la convinzione in molti diffusa che qui vi sia in gioco la difesa della libertà d’espressione.

Nel contempo l’infame periodico ha aumentato enormemente le vendite, cosa che testimonia del livello degli interessi culturali di molti nostri contemporanei, edificati dalla testimonianza eroica dei martiri comunisti. Sappiamo d’altra parte noi cattolici come il sublime mistero trinitario sia al cuore e al vertice del cristianesimo e lo caratterizzi rispetto a tutte le altre religioni e culture dell’umanità. Dunque, colpire o irridere questo augustissimo Mistero universale di salvezza, vuol dire attentare all’essenza più propria e più profonda del cristianesimo e, per chi lo fa coscientemente e volontariamente, comporta l’attirarsi i fulmini dell’ira divina, oltre che offendere la fede di tutti i cristiani.

charlie-hebdo- natale

Rappresentazione blasfema della natività di Gesù Cristo: “Il presepe dentro i luoghi pubblici”. Il Verbo di Dio, che per la nostra fede si è fatto uomo ed è morto e risorto, preso e gettato dentro una latrina da questi vignettisti in nome della  libertà di pensiero e di espressione …

Nel fatto di Parigi abbiamo assistito ad un attacco sfrontato, frontale e barbarico contro il cristianesimo da parte di due forze occasionalmente congiunte, per quanto tra loro sotto un certo aspetto feroci nemiche: il comunismo e l’islamismo. Attacco congiunto, perchè entrambi rifiutano il mistero trinitario. C’è però una notevole differenza, che mentre il musulmano rifiuta la Trinità in nome di Dio o di come egli concepisce Dio, e quindi in nome della religione, il comunista ateo rifiuta la religione come tale, sia essa cristiana o musulmana. Per il musulmano la religione nobilita e salva l’uomo; per il comunista lo inganna e lo rende schiavo. Dunque l’empietà del comunista è più grave di quella del musulmano. Questi almeno accetta Dio, anche se non crede in Cristo, e rende culto a Dio; il comunista, invece, come è noto, nega l’esistenza di Dio ed odia l’idea stessa di Dio e quindi trascura di adorarlo ed di obbedirGli, sostituendo a Dio se stesso. Col musulmano ci si può accordare nel dialogo interreligioso, e nel culto di quel Dio del quale tutti gli uomini ragionevoli sanno cogliere l’esistenza, anche se non hanno la grazia di accogliere il mistero trinitario.

charlie hebdo - benedetto XVI

Copertina blasfema che irride il  Mistero Eucaristico rappresentato attraverso l’ostensione di un profilattico per l’opera di questi maestri della libertà di pensiero e di espressione

Purtroppo, con i comunisti, non ci si può accordare neppure circa l’esistenza di Dio e non resta per noi cattolici che la speranza che almeno essi capiscano qualcosa della dignità umana. Resta solo, per il dialogo con i comunisti, la ragione, che noi e loro possediamo come esseri umani (animal rationale). Il che per la verità non è poco, supposta in loro la buona volontà. A parte il fatto che molti di essi possono essere in buona fede e servire implicitamente Dio attraverso il servizio al prossimo.

Qual è il senso, il significato di ciò che hanno compiuto gli assassini? Cosa intendevano fare, almeno per quello che possiamo capire o congetturare, i protagonisti della tragedia, dove da una parte si parla di martiri della libertà e dal’altra di martiri di Allàh?  Volesse Dio che tutti quelli che sono stati coinvolti nel fatto sanguinoso, benchè oggettivamente empi o assassini, avessero agito in buona fede, così da incontrarsi tutti in paradiso, come Paolo ha incontrato Stefano! Ma ho i miei dubbi, perchè purtroppo siamo ben lontani dalle dimensioni gigantesche di quei due eroi del cristianesimo. Ma non è di questo che voglio parlare, cosa misteriosa, per la quale mi rimetto al giudizio di Dio.

Charlie Hebdo - vergine maria

Copertina blasfema sul parto della Vergine Maria, all’interno uno sberleffo su “La vera storia di Gesù“, per opera dei maestri della libertà di pensiero e di espressione …

Quello che invece vorrei sottolineare è che, in occasione di questo episodio estremamente significativo e quasi paradigmatico della situazione epocale che stiamo vivendo, due gravi colpe oggettive, a prescindere dalla buona o cattiva fede degli attori, emergono con chiarezza: una, di matrice liberale, effetto di una gnoseologia scettica e relativista, la quale non pone limiti alla libertà di opinione in fatto di religione, fino a permettere il vilipendio, l’irrisione, l’impostura, la diffamazione, la menzogna, l’insulto, l’ingiuria. In questa concezione, oggi autorevole sul piano dell’ordinamento costituzionale degli Stati occidentali e del diritto civile, il credo religioso o la fede religiosa, sia essa cristiana o musulmana o ebraica o di qualunque altro genere, non riguardano la verità o la giustizia, o il bene pubblico, ma sono delle semplici opinioni private, per lo più favolose e magari superstiziose, superate comunque dalla scienza, le quali, se ad esse si desse spazio pubblico, diventerebbero, fonti di fanatismo e di intolleranza.

hedbo - gesù prestigiatore la prossima settimana vi farò anche la risurrezione

copertina blasfema sul Mistero della Risurrezione, il Gesù prestigiatore annuncia “La prossima settimana vi farò il numero della risurrezione”. I liberi maestri della libertà di pensiero e di espressione sapevano benissimo che la risurrezione del Cristo è il fondamento della nostra fede …

Da notare poi l’ipocrisia e l’astuzia dei comunisti, che operano nei paesi democratici senza essere al governo. Finchè essi non sono al potere, avanzano il diritto alla libertà di espressione per le loro irrisioni e campagne calunniose e per diffondere le loro menzogne in fatto di religione. Ma solo che essi raggiungano il potere, come dimostra la storia, non tollerano più alcun dissenso all’ideologia marxista e avviano una feroce e sistematica lotta alla religione, che soffoca con la violenza qualunque tentativo di autodifesa da parte dei credenti. Alla faccia della libertà di espressione, da loro difesa con cortei di protesta, quando non sono ancora al potere. Ma oggi si fa strada sempre di più l’arroganza e il fanatismo islamici, i quali, dopo quattordici secoli di tentativi mai riusciti, accorgendosi della crisi all’interno della Chiesa, del calo in molti delle certezze di fede, e dell’abbandono dei costumi cristiani, vedi per esempio il calo della pratica religiosa o la crisi della famiglia o la corruzione sessuale, credono che sia ormai vicino il momento di dare al cristianesimo il colpo finale, eventualmente con la conquista di Roma, come a suo tempo fecero con Costantinopoli, così da sottomettere finalmente tutto il mondo al Corano.

Charlie Hebdo - gesù casinò

Copertina blasfema: Gesù gestisce il tavolo del casinò, immagine irridente che esalta i più alti concetti di libertà di pensiero e di espressione …

Così, se da una parte abbiamo l’empietà che irride sacrilegamente, propria dei comunisti, dall’altra assistiamo allo zelo religioso violento e crudele dei musulmani, i quali continuano in qualche modo anacronisticamente lo stile dei profeti o capi dell’Antico Testamento, sull’esempio di un Mattatia, il quale, come narra la Scrittura, avendo assistito ad un atto di culto idolatrico di un suo connazionale, “arse di zelo; fremettero le sue viscere ed egli ribollì di giusto sdegno. Fattosi avanti di corsa, uccise l’ebreo sull’altare; uccise anche nel medesimo tempo il messaggero del re, che costringeva a sacrificare, e distrusse l’altare. Egli agiva per zelo verso la Legge” [I Mac, 2,24-26]. È evidente che noi cristiani, con tutto il rispetto per la Bibbia, abbiamo superato da un pezzo questi atteggiamenti pur lodati dall’Antico Testamento. Cristo ci ha insegnato sì la giustizia verso gli empi, ma soprattutto, sul suo esempio, la mitezza, il sacrificio e la fiducia nella divina misericordia, essendo tutti chiamati alla salvezza.

charlie-hebdo- crocifissione

Vignetta blasfema sulla crocifissione mutata in una rivista di avanspettacolo. Persino i non credenti rimangono umanamente toccati pensando a questo terrificante e doloroso supplizio dell’antico diritto penale romano, non però i maestri della libertà di pensiero e di espressione

Ci si può chiedere però se non sia il caso che la legge dello Stato, senza imporre o proibire una data religione, per la quale non ha competenza, ponga un limite alle espressioni estreme dell’ateismo, ove queste chiaramente offendono non questa o quella religione positiva o rivelata, sia quella cristiana, sia quella musulmana, sia quella ebraica o altre, ma la religione naturale come tale. Lo Stato certamente non può entrare nel merito delle varie religioni positive e dei loro dogmi e non ha competenza per giudicare delle loro controversie, che devono essere affrontate e risolte dalle rispettive comunità credenti. Tuttavia lo Stato, senza per questo essere confessionale, dovrebbe avere coscienza della fondamentale importanza del teismo, non importa quale, se cristiano, ebraico o islamico, proprio per garantire o assicurare il benessere, l’ordine e la giustizia nella società, nonchè il bene comune, la pace, la libertà e la sicurezza dello stesso Stato. La storia infatti dimostra che lo Stato ufficialmente ateo, come del resto lo Stato espressamente confessionale, è sorgente di totalitarismo, di intolleranza, di dissesto economico, di ingiustizia e disordine sociale, che poi conducono alla sovversione, alla soppressione della libertà ed all’anarchia.

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… libertà di pensiero e di espressione

A parte il pregio del diritto alla libertà religiosa, il cittadino può effettivamente aver diritto, negli ordinamenti civili moderni, a non esser religioso o a non professare alcuna religione; tuttavia lo Stato deve vigilare con opportune disposizioni a che il semplice agnosticismo o indifferentismo religioso non si trasformi in positiva lotta, offesa o irrisione della religione, perchè ciò minaccerebbe il bene stesso dello Stato e l’ordine civile. Lo Stato ateo, che intende distruggere la Chiesa e la religione, firma la propria condanna, come è dimostrato dalla storia. Invece lo Stato teocratico o cesaropapista, che divinizza se stesso, come si trova in Hegel e nella massoneria, con la pretesa di assicurare all’uomo la civiltà, la giustizia, la libertà e la felicità, sostituendosi alla Chiesa o asservendo a sè la Chiesa, è votato anch’esso al fallimento, come è pure dimostrato dalla storia, vedi il fascismo e il nazismo. Ma anche lo Stato luterano, che pretende di organizzare la Chiesa, e lo stesso Stato islamico che pretende di guidare l’uomo in paradiso, sono nefaste illusioni, che finiscono per causare ogni sorta di conflitto, di sopruso e di ingiustizia, come sempre è dimostrato dalla storia. Lo Stato dev’essere il promotore dell’umano, mentre la Chiesa crea i figli di Dio. Ma se lo Stato non rispetta la Chiesa e non collabora con lei nell’edificazione dell’umano, si volge contro l’uomo e lo distrugge.

vignetta interna

… libertà di pensiero e di espressione

Se l’Europa possiede valori universali e benèfici per tutta l’umanità, lo deve a duemila anni di cristianesimo. Dubitare di questi valori in nome di una falsa modernità o un falso progresso, rinnegando le sane tradizioni, vuol dire riaprire le porte alla barbarie e a tragedie del passato, che si pensavano ormai superate. Vuol dire ricadere nelle mani di quel comunismo, che alcuni illusoriamente pensavano finito e condannato dalla storia, e di quell’Islam che, constatando la debolezza e l’infingardaggine dell’Europa, crede che ormai sia giunto il momento di farci suoi schiavi. Ricordo che circa venti-trent’anni anni fa si parlava con una certa soddisfazione, dopo la caduta del muro di Berlino, di “fine delle ideologie”. Pia illusione! Esse oggi sono più vive, feroci intransigenti che mai e sono entrate persino nella Chiesa con la lotta spietata fra lefevriani e modernisti. Lo Stato, dal canto suo, conserva sempre un compito preziosissimo: da una parte deve garantire l’ordine e la libertà mediante metodi pacifici; ma deve anche saper intervenire al momento giusto per opporsi alle forze della violenza, dell’oppressione, del terrorismo, della sovversione o del fanatismo, al fine di difendere e proteggere gli interessi, l’incolumità e i diritti delle persone e della popolazione, soprattutto dei più deboli e dei più indifesi. Questo vale tanto per i danni sociali provocati dall’islamismo, quanto per quelli provocati dal comunismo ateo.

hebdo - papa

Vilipendio alla persona del Sommo Pontefice, all’interno del numero una copiosa saga d’insulti rivolti a Benedetto XVI, anch’essi manfestazione della libertà di pensiero e di espressione

Non è il caso di ricordare anche in breve le cause storiche dell’islamismo e del comunismo. Ricordiamo solo, però, che per togliere efficacemente un male, occorre andare alle radici. Le radici più profonde stanno in quella tendenza diabolica ad odiare Cristo, chiamata dal Nuovo Testamento “anticristo”, conseguenza del peccato originale, che sempre nella storia spinge al peccato e all’ingiustizia. Siamo giunti oggi a questa drammatica crisi umanitaria ed ecclesiale perchè nei secoli passati la Chiesa non si è adeguatamente adoperata per l’evangelizzazione dei musulmani e dei comunisti. Troppo ci si è fermati a condannare gli errori e troppo poco si è fatto per favorire il dialogo. Il rischio di oggi è l’inverso: quello di un dialogo fine a se stesso che si ferma ai punti comuni e non invita l’interlocutore a correggersi dai propri errori. Una cosa importante da fare per risolvere questa difficile situazione è che la Chiesa, di concerto con gli organismi internazionali per la pace e diritti umani, prenda o studi accordi con le comunità religiose islamiche per far avanzare il dialogo interreligioso in tema di monoteismo, così da eliminare l’ateismo comunista. Occorrono inoltre accordi fra gli Stati democratici e gli Stati islamici, affinchè anche questi al loro interno concedano il diritto alla libertà religiosa rinunciando alla religione islamica di Stato.

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… e potevano forse mancare i “preti fascisti”?

Per quanto riguarda l’elemento soprannaturale o rivelato della religione, come per esempio nel cristianesimo si dà il mistero trinitario, questo è il campo di competenza della Chiesa. Occorre al riguardo che essa, sulla base dei punti in comune tra cristianesimo ed Islam, segnalati dal Concilio, organizzi un’azione o una pastorale evangelizzatrice a favore dei musulmani, la quale li aiuti a liberarsi dagli errori contenuti nel Corano — soprattutto l’opposizione al mistero trinitario —, così da potersi accostare, con l’aiuto della grazia, al mistero trinitario e in generale alle verità della fede cristiana. Infine occorre far avanzare il dialogo con i non-credenti e i comunisti al fine di persuaderli con prove e testimonianze convincenti a riconoscere l’esistenza di Dio e rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla religione. Con i comunisti bisogna dialogare sulla base della semplice ragione, patrimonio proprio di ogni uomo. Gli Stati democratici fondati sui diritti universali dell’uomo riconosciuti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), con l’appoggio diplomatico della Chiesa, hanno il dovere di difendere anche con la forza delle armi o la coercizione la democrazia, la giustizia, la pace, la libertà e il bene comune messi in pericolo dalle violenze comuniste o islamiche. Per quanto poi riguarda i cristiani, ricordiamo la preziosissima testimonianza del martirio, che è stato ed è sempre un fattore determinante della diffusione del cristianesimo tra i popoli, come dice Tertulliano: sanguis martyrum, semen christianorum.

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L’epilogo delle vignette “satiriche” contro l’Islam, che volutamente non abbiamo riportato in questo articolo, sono stati 12 morti assassinati 

Una cosa importante infine da tenere presente è il mistero della Parusia. Cristo predice che nell’imminenza della fine del mondo la Chiesa sarà duramente perseguitata: «Sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati ed essi si tradiranno e si odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà». Sembrano i tempi di oggi. C’è però una differenza. Continua il Signore: «Frattanto questo Vangelo del regno sarà annunziato a tutto il mondo, perchè ne sia resa testimonianza a tutte le genti» [Mt 24, 9-14]. Esistono per la verità aree umane immense, alle quali non viene ancora predicato il Vangelo: pensiamo alla Cina comunista, all’India induista, ad immense zone animiste o idolatriche dell’Africa o dell’Oceania, agli stessi paesi islamici. Per questo i Papi del postconcilio, traendo spinta dallo stesso Concilio, invitano pressantemente all’evangelizzazione, onde assolvere al mandato di Cristo e preparare, quando il Padre vorrà, la sua Venuta.

Fontanellato, 15 gennaio 2015

 

Tra pochi giorni l’Isola di Patmos proseguirà su questo tema con un nuovo articolo di Padre Giovanni Cavalcoli: «Uccidere in nome di Dio»

 

 

Autore REDAZIONE dell'Isola di Patmos

REDAZIONE
dell’Isola di Patmos

abbiamo scelto di accompagnare a questo articolo tutta una serie di immagini che la rivista “satirica” francese ha vibrate come coltellate al cuore del sentimento cristiano. Immagini crude e ferocemente offensive attraverso le quali desideravamo solo aiutare a livello grafico il Padre Giovanni Cavalcoli a rendere fino in fondo l’idea di ciò che ha scritto. Peraltro si tratta di immagini pubbliche diffuse in centinaia di migliaia di copie stampate e reperibili nella rete telematica attraverso qualsiasi motore di ricerca. Non abbiamo invece inserito, di proposito, le immagini dirette al mondo islamico, perché il modo attraverso il quale hanno oltraggiato la nostra fede basta e avanza, senza bisogno di inserire le immagini “satiriche” verso la fede altrui.

Siamo al cambio di un’epoca, sul Santo Padre Francesco è necessario sospendere il giudizio e procedere sulle ali della fede

SIAMO AL CAMBIO DI UN’EPOCA, SUL SANTO PADRE FRANCESCO È NECESSARIO SOSPENDERE IL GIUDIZIO E PROCEDERE SULLE ALI DELLA FEDE

 

C’è un esercito sempre più sbraitante di “tradizionalisti” che non riesce a capire che la Chiesa non è del Santo Padre Francesco, come prima non lo è stata di Benedetto XVI, di Pio XII, di Pio X. Non lo è stata di Pietro stesso scelto come proprio vicario in terra dal Verbo di Dio in persona. La Chiesa è di Cristo, ed è comunque governata dallo Spirito Santo; e per quanto sia stata e possa essere ancora deturpata dagli uomini, rimarrà sempre la sposa santa e immacolata del Redentore.

 

Autore Ariel S. Levi di Gualdo

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Giovanni Cavalcoli in coro 2

il teologo pontificio Giovanni Cavalcoli nel coro del suo convento domenicano, prova vivente di come la teologia si faccia anzitutto pregando

Compito dei padri dell’Isola di Patmos è di trasmettere la virtù della speranza, invitando le membra vive del Popolo di Dio a vivere e praticare questa virtù teologale che l’Apostolo Paolo pone tra la fede e la carità [Cf. I Cor 13, 1-8]. Una virtù collocata come spartiacque perché “nel mezzo” non c’è il compromesso, c’è il punto d’unione, l’amalgama. E dato che sulle righe di questa rivista non siamo avvezzi proceder per umori né per scomposte passioni ma sul rigore teologico scevro da sociologismi e politichese, è necessario ribadire che la fede e la carità non sono neppure pensabili, senza l’amalgama della speranza. Ogni lettore animato da sincero sentimento cattolico, libero dalle chiusure originate dal «io voglio» sempre più spesso sostituito al «cosa vuole Dio da me», capirà che da una fede senza speranza, o da una carità senza speranza, ne uscirà fuori un corpo senza ossatura, un mollusco. E un mollusco non può costituire il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa di cui Egli è capo e noi membra [sulla “speranza” rimando al mio precedente articolo, qui].

Antonio Livi - Senato accademico 2

il filosofo metafisico e teologo della scuola romana Antonio Livi durante una seduta del senato accademico della Pontificia Università Lateranense, presso la quale ha dedicato la propria vita a formare nella sana teologia cattolica generazioni di allievi

Giovanni Cavalcoli, Antonio Livi ed io, in diversi scritti abbiamo già lamentato con dispiacere, senza livori dettati da secondi fini, come una squadra di incompetenti appartenenti anche al mondo della cosiddetta “Tradizione” si stia calando sempre più nel ruolo di teologi, ecclesiologi, canonisti, storici della Chiesa … senza averne la preparazione e la maturità richiesta quando si affrontano certi complessi temi in pubblico, o per mezzo di scritti rivolti a numeri indeterminati di lettori. Non è né sano né cristiano praticare con leggerezza spesso intrisa di omocentrismi dei delicati settori della ecclesiologia, della teologia e della pastorale; materie alle quali noi tre abbiamo dedicano lunghi anni, o interi decenni di vita, come nel caso dei miei due confratelli anziani, accompagnando sempre la buona dottrina al ministero pastorale e soprattutto all’obbedienza nella fede all’Autorità ecclesiastica. Poi, se alla palese incompetenza si aggiungono pure la presunzione farisaica ed il fanatismo, il tutto risulterà più grave ancora. E se a questa aggravante di per sé già sufficiente in quanto a dannosità, si unisce come tocco estremo la mancanza di libertà derivante dalla volontaria reclusione nel microcosmo della ideologia entro la quale alberga il solo vero e il puro e unico pensare cattolico, a quel punto il disastro è totale e questi soggetti risulteranno gravemente nocivi per tutti quei devoti cattolici che finiscono spesso in buona fede col prendere sul serio certe loro affermazioni errate.

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la ormai storica rivista Playboy

Per questo invito i cattolici devoti che si stanno movendo con difficoltà sempre maggiori in questi nostri difficili scenari ecclesiali, cercando sempre più spesso conforto presso noi sacerdoti, sia nel confessionale sia nella direzione spirituale, a leggere gli ameni articoli di fondo che accompagnano le immagini delle conturbanti modelle di Playboy, non però i libri di Cristina Siccardi e di Carlo Manetti, evitando di abbeverarsi ad essi come fossero testi contenenti verità inconfutabili. Dico sul serio e senza pena di scandalo: perché facendo le debite proporzioni, una rivista a sfondo erotico risulterà in ogni caso meno dannosa delle fanta-ecclesiologie, delle fanta-teologie e delle fanta-storie della Chiesa diffuse da praticoni gravati da prevenzioni ideologiche e poveri di adeguate cognizioni teologiche.

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per ascoltare la conferenza integrale dell’Autrice che tenta di usare e manipolare la figura di Paolo VI per legittimare il vescovo  scismatico Marcel Lefebvre, dalla stessa paragonato ai Santi Padri della Chiesa, cliccare QUI

Per quanto il mio paradosso sia evidente, nell’invitare i buoni cattolici a non leggere le opere della Siccardi che strumentalizza San Pio X per tirare acqua al mulino dei lefebvriani e portare avanti un’ideologia dell’anti-concilio Vaticano II, resta del tutto pacifico che li invito al tempo stesso a non leggere neppure Playboy, perché al suo interno v’è poco di edificante. Analogo invito vale per le fuorvianti congetture “teologiche” di Maria Guarini, direttrice del seguito blog chiesa&postconcilio, che di recente ha conferito somma sacralità ad un accidente esterno, la lingua latina [vedere qui], usata per porre in immancabile discussione dietro le righe l’autorità del Concilio Vaticano II, la cui assisa era formata da tutti i vescovi dell’orbe cattolica privi però delle capacità analitiche della somma teologa Guarini, alla quale manderei volentieri in omaggio un celebre sermone di Sant’Alfonso Maria de Liguori sulla superbia. La Guarini è una persona amabile, moglie e madre esemplare, una vita di serio lavoro allcristina siccardi invernoe spalle nel corso della quale s’è cimentata anche negli studi teologici, io stesso le voglio bene ed anche per questo non mi lascio toccare dal fatto ch’ella sia caratterizzata da un elemento limitante e al contempo pericoloso: la incapacità di ascoltare al di là di se stessa i buoni maestri, fatta eccezione per quanti le dicono ciò ch’ella vuol sentirsi dire o coloro che essendo cattivi maestri e vivendo in errore le approvano ciò che di sbagliato spesso afferma. Una donna animata da serietà umana e dalle migliori intenzioni che della sacra liturgia ha fatto il proprio cavallo di battaglia, benché non le sia chiaro il concetto metafisico di sostanze immutabili e di accidenti esterni in sé e di per sé mutevoli, inclusa la lingua — che rimane un accidente esterno — usata per trasmettere l’eterna sostanza immutabile dall’ineffabile Sacrificio Eucaristico.

Disquisendo di liturgia e polemizzando sul Novus Ordo Missae la Guarini non afferma né ilmaria guarini vero né il verosimile ma solo l’ideologico ammantato da un improbabile teologico. Da certi suoi scritti emergono carenze sia riguardo la storia della Chiesa sia riguardo la dogmatica sacramentaria, specie quando si lascia andare ad affermazioni sicure — prese come tali da molti —, che a loro volta le fanno proprie diffondendole come fossero verbum Domini. Un solo esempio per far capire che cosa intendo dire quando parlo dei danni che possono derivare dall’ideologia supportata spesso da carenze di conoscenza: un cattolico mi scrive citandomi uno scritto della Guarini che facendo critiche al Novus Ordo Missae ed esaltando il Vetus Ordo, parla della de-sacralizzazione dell’Eucaristia legata anche al fatto che con la riforma liturgica il celebrante ha preso a recitare la “formula consacratoria” ad alta voce. Ho risposto al giovane: «Forse questa teologa non conosce a fondo la storia della liturgia, quindi il motivo per il quale fu imposta la recita sottovoce di quella e di altre parti della Santa Messa. Scelta affatto connessa a chissà quale arcana sacralità legata al tono non udibile delle parole in sé, visto e considerato che il Signore Gesù disse ad alta voce in modo udibile agli Apostoli: «Questo è il mio corpo … questo è il mio sangue»; e per quanto fosse stato chiaro nel pronunciare quelle parole, se non fosse disceso in seguito lo Spirito Santo nel cenacolo sopra agli Apostoli, questi non sarebbero riusciti neppure a percepire la portata del mistero che si era realizzato attraverso il Verbo di Dio fatto uomo. La voce sommessa non udibile dall’assemblea, o le cosiddette secrete, furono imposte per questioni di carattere pedagogico-pastorale, evitando in tal modo al Popolo, che aveva ormai imparate a memoria tutte le parti della Santa Messa, di recitare ad alta voce col celebrante l’intero Canone Eucaristico. Lungo sarebbe il discorso e numerose le rubriche liturgiche poste da certi “tradizionalisti” al di sopra degli stessi misteri della fede, che nascono solo per motivazioni e ragioni di pura opportunità pastorale, non per chissà quali arcani e sacri misteri; e queste motivazioni e ragioni si chiamano “accidenti esterni”, caratterizzati come tali da mutevolezza, quegli accidenti che la Guarini e il codazzo di “tradizionalisti” al seguito suo e di altri autori affini d’area lefebvriana rischiano di mutare non in elementi sacri, ma in veri e propri idoli: l’idolatria del rubricismo.

gnocchi e palmaroParticolare scalpore fece l’articolo «Questo Papa non ci piace» di Alessandro Gnocchi e del compianto Mario Palmaro [vedere qui] contenente opinioni e perplessità del tutto legittime, partendo dalle quali bisognerebbe non solo aprirsi alla discussione — sale della Chiesa e lievito della speculazione teologica — ma anche all’ascolto. Noto invece che queste persone sembrano troppo impegnate ad ascoltare se stesse per prestare ascolto ad altri. Gnocchi si è fatto anch’esso le proprie opinioni, rispettabili e legittime, che persegue in modo deciso senza curarsi di ascoltare teologi, ecclesiologi e pastori in cura d’anime che forse avrebbero da dirgli molto, in particolare certi miei confratelli anziani che in mezzo secolo di studi, ricerche, applicazione al ministero pastorale e vita di preghiera, forse potrebbero trasmettergli pure parecchio, se da parte sua vi fosse la disponibilità ad ascoltare ed eventualmente ad accogliere, anziché vivere ripiegato sulla sicurezza di “possedere” quella verità che proprio perché tale non si possiede, si ascolta docilmente ed altrettanto docilmente si serve.

E la Verità si serve nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa e dentro la Chiesa, non certo accusando la Chiesa di non essere fedele alla Verità. Ignari che certi pensieri ed atteggiamenti molto insidiosi nascono spesso a monte da una nostra idea di Chiesa, perché quando non si riesce a proiettarsi con speranza nel futuro, allora ci si rifugia nell’immobilismo di un passato reso statico che come tale non deve passare mai. A chi non riesce a vivere con serenità il presente ed a viverlo proiettato nella speranza futura, non resta quindi che il rifugio nel passato, negazione, questa, temibile e terribile, di chi rifiuta un elemento non proprio secondario della nostra fede: la Chiesa intesa come popolo in crescita ed in perenne cammino sino al ritorno del Cristo alla fine dei tempi.

cristina siccardi con Paolo VI e con lefebvre

Con Paolo VI … e con Lefebvre“, che equivale a dire: con il monarca e con l’anarchico … semmai non fossero chiare le idee confuse di questa autrice vedere qui

Visto poi che tutte queste persone attive nella difesa della Verità e dei valori non negoziabili, parlano sempre di coerenza, verrebbe da fare un discorso molto serio non tanto sui contenuti di certi loro scritti, ma pure sul contenitore privilegiato nel quale da tempo li raccolgono. Discorso nel quale andrebbe coinvolto anche lo storico Roberto de Mattei, oggetto della mia profonda stima ieri, oggi e domani. Questa la mia perplessità: è opportuno, per dei cattolici indefessi che si proclamano difensori di una vera Traditio sempre più insidiata da venti tempestosi, usare come contenitore il giornale di un ateo dichiarato come Giuliano Ferrara, uomo noto per la sua sagace intelligenza ma altrettanto noto per avere attraversato tutto quello che c’era da attraversare nel mondo della politica italiana, cambiando ripetutamente carro e cavaliere, bandiere e stendardi? Perché se a questi “maestri” della “cattolica coerenza” non fosse chiaro, allora provvederò a chiarirgli l’ovvio palese. Giuliano Ferrara ed Eugenio Scalfari sono entrambi accomunati da un elemento di unione: l’ateismo.

il foglio gnocchi e palmaro

Uno dei tanti articoli comparsi sul Foglio a firma di Alessandro Gnocchi e del compianto Mario Palmaro, basati su una non conoscenza del modo complesso e anche grave attraverso il quale si sono svolti realmente certi fatti che hanno imposto all’Autorità ecclesiastica di intervenire [vedere qui]

Questi paladini della autentica traditio che firmano articoli sul giornale di un ateo dichiarato e che gemono dalle sue colonne su quanto «questo Papa non ci piace», non hanno alcun ragionevole diritto di stracciarsi le vesti dinanzi ai colloqui del Santo Padre con l’ateo Eugenio Scalfari, al quale dobbiamo invece riconoscere quella lineare continuità di pensiero protratta nel tempo che pare un po’ carente in Giuliano Ferrara; il tutto precisando, a massimo beneficio ed a meritato onore di Ferrara, che solamente gli stolti non cambiano mai opinione e che spesso, mutare opinione, può essere segno di intelligenza ed anche di coerenza. Diversamente invece, quarant’anni fa, Eugenio Scalfari era esattamente quello che è oggi, cosa questa che potrebbe denotare sia coerenza nella continuità sia mancanza di apertura ad una evoluzione e trasformazione del pensiero umano. Dinanzi a tutte queste incongruenze — che non sono incongruenze di Ferrara ma di certi cattolici duri&puri che usano le colonne del suo giornale come vetrina — la chiave di lettura nella quale possiamo trovare adeguata risposta è ancora una volta tutta racchiusa in una parola: ideologia.

manifesto

I quotidiani comunisti non esistono più neppure in Russia, sopravvivono però in Italia, Francia, Spagna …

Io che non oserei mai presentarmi come difensore della autentica Verità e della pura Traditio che “la Chiesa sta dissipando” — posto che della Verità e della Traditio sono solo devoto servitore e nei modi in cui la Chiesa mi comanda di esserlo — non accetterei mai di pubblicare miei scritti su Il Manifesto Comunista, perché oltre ai contenuti è necessario valutare il contenitore, chi lo gestisce e chi lo dirige. Ciò detto mi domando: a tutto questo ci hanno mai pensato Roberto de Mattei, Alessandro Gnocchi e tutte le punte di spicco del loro battagliero e critico entourage?

giovane e vecchio

in certi ambienti della “Tradizione” dura&pura dove si fanno le pulci a tutti, dai Sommi Pontefici agli interi documenti dei concili ecumenici, circolano realmente coppie di questo genere e solitamente non si tratta mai di anziani pensionati che percepiscono 500 euro al mese di pensione; e quando i preti lefebvriani si recano presso questi circoli a celebrare, non prestano mai attenzione a certe “coppie originali”, forse perché troppo impegnati a predicare agli adolescenti che per gli “atti impuri” si va diritti all’Inferno?

Questo tipo di “tradizionalisti” che di recente ho paragonato ai comunisti italiani e francesi che dinanzi ai carri armati russi che invasero Praga tacquero, quando ad essere toccato è stato un loro beniamino, il Vescovo di Albenga Mario Oliveri [vedere qui], hanno reagito col silenzio, palesandosi come una riedizione della Fattoria degli animali di George Orwell: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». Mi duole dirlo, ma i disastri emersi nella Diocesi di Albenga, ed in specie sul versante morale, non si sono invece verificati con episodi di siffatta gravità nelle diocesi rette da certi vescovi cosiddetti iper-conciliaristi. Dobbiamo allora dare per scontato che per questi paladini della Traditio che accolgono senza particolari problemi morali nelle loro fondazioni e alle loro Sante Messe in rito antico piccoli eserciti di pluridivorziati; per questi difensori dei sacri valori della famiglia che non rimangono turbati, anzi fingono proprio di non vedere certi loro ricchi benefattori sessantenni che si presentano nei loro circoli traditional con la fidanzata di trent’anni Cop Francescani.indd… ebbene, per questi difensori dei sacri valori della famiglia, forse esistono anche due tipi di ateismo: l’ateismo di sinistra, quello di Scalfari, che è un ateismo cattivo perché di sinistra; e l’ateismo di destra, quello di Ferrara, che invece è un ateismo buono, perché è di destra. E detto questo resto in attesa di smentite, non di silenzi, come quando di recente ho accusato queste persone sulla pubblica piazza di avere usato i poveri Francescani dell’Immacolata per scopi ideologici recando loro un danno maggiore che poteva essere evitato, mandando a tal scopo alla carica il celebre “ecclesiologo” ed esperto “canonista” Carlo Manetti, autore di un libro avulso dalla realtà dei fatti, come a tempo e luogo sarà dimostrato dai competenti uffici della Santa Sede [vedere qui], posto che questo autore, fatta salva la mia ironia a dir poco dovuta, non sa neppure dove albergano, la ecclesiologia ed il diritto canonico; e ciò non perché lo dica io, ma perché lo dimostra il suo libro.

Masturbazione

” […] Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito” [Mt 23, 1-12]

Vorrei che queste persone dalla morale malleabile, capaci per un verso a minacciare coi loro catechismi gli adolescenti di abbrustolire tra le fiamme dell’inferno se oseranno masturbarsi, ma per altro verso così indulgenti, o meglio non vedenti quando si tratta delle vite allegre di certi loro ricchi finanziatori, ci rassicurassero di non avere mai preso un soldo dall’estrema destra americana, né da certi ricchi imprenditori brasiliani, o da europei che si sono arricchiti per incanto in Brasile, grazie ai quali e per causa dei quali in quel Paese ci sono da una parte le loro ville faraoniche — semmai con annessa cappella eretta nei pressi della piscina olimpica dove si celebra la Santa Messa col Messale di San Pio V — dall’altra le favelas ed i fanciulli abbandonati per le strade che non possono marciare per la vita, essendo troppo impegnati a cercare di salvarsi la vita. Inutile a dirsi: chi conosce i miei scritti ed i miei libri, sa bene che non sono un esponente della Teologia della Liberazione, sono un prete ed un teologo cattolico, apostolico romano con una certa vocazione a dare un po’ di filo da torcere ai farisei ipocriti, dicendo all’occorrenza ai buoni fedeli: fate attenzione, perché quelli «filtrano il moscerino e poi s’ingoiano il cammello […] puliscono l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza» [Cf. Mt 23, 24-25], ed in questo caso, oltre a non fare quel che fanno, i nostri buoni fedeli non devono fare soprattutto quello che di gravemente sbagliato essi dicono e diffondono.

de Mattei libro in portoghese

edizione brasiliana del libro di Roberto de Mattei: “Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta”

Negli anni Sessanta la Chiesa ha celebrato il suo XXI° concilio nel quale non tutto è andato bene, ma un fatto è certo: quel Concilio celebrato dai Padri della Chiesa sotto l’autorità di Pietro ha sancito delle nuove dottrine che sono vincolanti per tutto il corpo dei fedeli, soprattutto per i vescovi, i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose. Usare il concetto di pastoralità per giungere a dire sopra e sotto le righe che «in fondo è stato solo un concilio pastorale» e come tale lascia il tempo che trova, non è errato ma teologicamente aberrante. Tutti sappiamo che al Concilio ha fatto seguito un post concilio che in nome della interpretazione o della applicazione ha creato problemi, grazie a potenti cordate di modernisti e di teologi che a forza di ascoltare solo se stessi sono caduti anche in eresia, dopo avere creato il proprio concilio egomenico e le proprie dottrine. Una consapevolezza, questa, che non solo mi è chiara ma della quale sono ripieno, perché Dio ha avuto la bontà di farmi incontrare sul mio cammino grandi uomini e testimoni della fede come Divo Barsotti e Cornelio Fabro; perché da anni sono in relazione coi due teologi anziani assieme ai quali portiamo avanti questa rivista, entrambi esponenti ed eredi delle più insigni scuole di teologia, che hanno vissuto a stretto contatto con alcuni uomini per i quali non è escluso che domani la Chiesa possa proclamarli santi e confessori della fede, come nel caso del giovane e geniale teologo domenicano Tomas Tyn. E alla prova dei fatti, come uomo di cinquant’anni, ritengo di avere maturato una caratteristica utile a me ed ai fedeli che mi avvicinano come confessore, direttore spirituale e maestro di dottrina: i saggi maestri dotati di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, io li ascolto e li seguo rendendo lode a Dio per avermi benedetto facendomeli incontrare sul mio cammino umano e sacerdotale. Mi guardo bene dall’aggredirli o dal censurarli, meno che mai dal dimenticarli o dal negarli in nome del mio opinabile e arrogante “ti sbagli” perché “io dico che…”, ergo “è vero solo ciò che dico io”.

gherardini concilio equivoco

il celebre teologo Brunero Gherardini, ha di fatto finito col sostenere che il Concilio Vaticano II non è in linea di continuità con la precedente tradizione

Essere però consapevoli che all’interno della Chiesa stiamo vivendo una grande crisi di fede che genera una terribile crisi dottrinale e di conseguenza una crisi morale, non vuol dire affermare erroneamente, come fanno i lefebvriani e le persone vicine alla loro area, che il problema è il concilio e che il post concilio ne è la ovvia conseguenza, perché ciò equivale in tutto e per tutto ad affermare che siccome un giovane incapace ha preso di nascosto ad un pilota professionista la sua Ferrari, causando con essa un incidente e danneggiando l’autovettura stessa, la colpa è della fabbrica di Maranello e di Luca Cordero di Montezemolo che della società era amministratore delegato.

Temo che taluni non vogliano capire che il problema ecclesiale attuale non è più il concilio o il postsostanze e accidenti concilio che spesso ha stravolto il concilio; il problema è che a distanza di mezzo secolo dalla celebrazione del concilio, dopo decenni di devastazioni operate dal meglio del peggio di molti teologi, oggi siamo giunti al radicale cambio di un’epoca nel corso del quale sarà sepolta la struttura ecclesiastica come sin oggi l’abbiamo intesa ed esteriormente vissuta, per proiettare nel divenire futuro la Chiesa Corpo Mistico di Cristo che vivrà sino al suo ritorno alla fine dei tempi. Gli accidenti esterni, metafisicamente parlando, prima sono mutati, poi hanno finito col risultare non più adeguati per preservare l’immutabile ed eterna sostanza del Verbo di Dio fatto uomo che si è rivelato nascendo dal ventre della Vergine Maria, morendo e risorgendo dalla morte; e che prima di offrire se stesso in sacrificio ha fondato la sua Chiesa sulla roccia di Pietro, donandoci la sua perenne presenza viva attraverso l’Eucaristia, suo memoriale vivo e santo, centro e cuore propulsore della vita ecclesiale.

Il pericolo e l’autentica aberrazione del mondo di una certa “Tradizione” è di avere smarrito questo concetto metafisico basilare finendo col credere che la sussistenza della sostanza dipenda dagli accidenti esterni, dal passato che non deve passare e che per questo va immobilizzato, mummificato, sino a considerare come elementi eterni ed immutabili gli accidenti esterni; proprio come se da essi dipendesse la sostanza eterna ed immutabile. Non a caso ho usato il termine di aberrazione teologica intesa nel senso etimologico del termine: vagare al di fuori della via della verità.

Nella cultura filippina questo gesto significa “vi amo”, adesso però cerchiamo di spiegarlo alla maggioranza assoluta degli abitanti di questo mondo costituita da non filippini, che non si tratta di una riedizione de Il Marchese del Grillo …

In questo tempo ecclesiale nel quale è in corso un radicale cambio d’epoca, la figura centrale e determinante è quella del Santo Padre Francesco, quel pontefice che a molti cattolici non piace ma che al tempo stesso piace a tutti coloro che hanno improntate le proprie esistenze su un vivere e un pensare non cattolico. Molti che si sentono disorientati o imbarazzati da certi suoi gesti finiscono con l’affermare «questo Papa non ci piace». Qualche esempio: il Sommo Pontefice che apre le mani giunte ad un piccolo chierichetto domandandogli «ti si sono incollate le mani?» [qui], che saluta col pollicione alzato come fosse il vecchio zio d’America, che si mette un naso da clown accanto ad una coppia di sposi con tanto di sposa introdotta alla presenza del Santo Padre un po’ troppo scoperta e scollacciata. Oppure l’ultima in ordine di serie: in visita apostolica nelle Filippine, il Santo Padre saluta facendo un paio di corna assieme ad un suo cardinale. Ovviamente è stato subito spiegato appresso che quel gesto, nella cultura filippina, non ha nulla a che fare col rock satanico al quale hanno fatto subito richiamo gli apocalittici ed i cacciatori di anticristi, si tratta di un gesto che significa: «Vi amo».

marchese del grillo 2

Paolo Stoppa nei panni di Pio VII e Alberto Sordi in quelli del Marchese del Grillo

Ovviamente sono il primo a discutere senza paure e falsi pudori clericali su quanto possa risultare inopportuno un gesto simile fatto dal Romano Pontefice ripreso dai fotografi e dalle televisioni di mezzo mondo, anche perché non è detto che sia semplice né agevole spiegare a molti non filippini — ossia la maggioranza degli abitanti di questo mondo — che quelle corna significano «Vi amo» e che non si tratta invece di un gesto uscito da una scena del film Il Marchese del Grillo, dove il grande Paolo Stoppa nei panni di Pio VII chiude la pièce comica facendo le corna, dopo che il nobiluomo romano impersonato da un altro grande, Alberto Sordi, aveva fatto traballare come suo solito uso il Sommo Pontefice sulla sedia gestatoria, che avvertita la scossa sbotta: «Vuoi farmi rompere l’osso del collo?». Replica il gentiluomo burlone: «Santità, morto un Papa se ne fa un altro!» [vedere qui]. Ma erano appunto Paolo Stoppa nei panni di Pio VII e Alberto Sordi in quelli del Marchese del Grillo, non era il Regnante Pontefice in visita apostolica in un paese asiatico in compagnia di un suo cardinale, circondati da fotografi e cineoperatori delle agenzie stampa e delle televisioni di mezzo mondo, mentre entrambi finivano immortalati sorridenti con un bel paio di corna stampato sulle loro mani destre.

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esempio di arcaica promessa solenne, in questo caso rivolta al Popolo Italiano

Nella tradizione ebraica arcaica, per sigillare una fedele promessa solenne gli uomini si mettevamo il palmo della mano aperta sopra l’organo genitale, sul quale era stato impresso con la circoncisione il Patto dell’Alleanza. Ebbene, poniamo che il Santo Padre, dopo avere mangiato peperoni la sera ed altri cibi pesanti decida il mattino seguente di crearmi cardinale, rischiando in tal modo di causare arresti cardiaci in tutti coloro che certi esempi paradossali non li fanno perché nella berretta rossa ci sperano per davvero. Dubito che durante il concistoro, ricevendo la berretta rossa, mi porterei la mano sull’organo genitale per manifestare attraverso un significativo gesto arcaico la mia fedele devozione al Romano Pontefice usque ad effusionem sanguinis, mi limiterei ad inginocchiarmi ed a baciargli la mano destra. Perché io sono io, non sono il Marchese del Grillo redivivo, perlomeno durante le pubbliche cerimonie ufficiali, poi, in privato con gli amici, posso essere anche peggiore del goliardico nobiluomo impersonato da Alberto Sordi.

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una delle tante satire sul Santo Padre che in numero sempre maggiore stanno circolando soprattutto sulla rete telematica ed attraverso le quali vengono trasmessi precisi messaggi ed a volte anche dei chiari moniti …

Altra lamentela che a volte udiamo è «questo Pontefice non è adeguato». Se ci pensiamo bene nessuno può dirsi adeguato ad essere sacerdote, vescovo, romano pontefice. A certi uffici, all’interno dei quali è racchiuso il mistero stesso della Chiesa ed il mistero dei Sacramenti di grazia, nessuno può dirsi adeguato. Neppure i santi erano degni di partecipare al sacerdozio ministeriale di Cristo o di divenire successore della roccia sulla quale Cristo in persona ha edificato la sua Chiesa. A riprova di quanto testé scritto sarebbe bastato andare da San Giovanni Maria Vianney o da San Pio da Pietrelcina e domandargli: «Tu ti senti degno, di partecipare per mistero di grazia al sacerdozio ministeriale di Cristo, vero?». Temo proprio che il secondo di questi due santi, in modo del tutto particolare, avrebbe potuto reagire anche in modo violento. Tra l’altro non bisogna mai dimenticare che Pietro stesso, scelto dal Signore in persona, era un uomo limitato che ha manifestato tutte le sue debolezze e fragilità. Proviamo allora a vedere la cosa per altro verso: e se il Santo Padre Francesco ci sbattesse in faccia in modo diretto e salutare quanto nessuno di noi, a partire da lui, sia adeguato, dinanzi al mistero di grazia del sacerdozio ministeriale? E se dietro le righe, al di là di certi suoi gesti talvolta sconcertanti, volesse infrangere la patina di tutti quegli elaborati accidenti esterni mutevoli per mezzo dei quali, attraverso strati e strati di solidificato clericalismo e di pappa&ciccia coi peggiori poteri mondani, abbiamo finito col sentirci persino adeguati a ciò per il quale nessun umano può dirsi adeguato e degno? E se il Santo Padre volesse dissipare tutte quelle strutture e quegli orpelli che hanno finito con l’essere usati non per rendere onore e dignità alla Santa Chiesa di Cristo — come dovrebbe essere — ma agli ecclesiastici che ricoprono se stessi di onori usando a proprio sommo pretesto l’onore che dobbiamo tributare sempre alla Santa Sposa di Cristo, verso la quale nessun palazzo, nessun metallo, nessuna pietra e nessuna stoffa può essere sufficientemente preziosa? Motivo per il quale la povertà dovrebbe finire sempre sotto i gradini dell’altare e dentro le chiese la parola sciatteria andrebbe bandita, perché a Dio si offre sempre l’ottimo e il massimo.

Tre mesi dopo la sua elezione, rispondendo ad un intervistatore, definii il Santo Padre Francesco un enigma. Del resto ogni uomo a suo modo lo è [vedere qui]. Oggi, a distanza di quasi due anni, confermo ciò che risposi all’epoca, con una certezza ulteriore maturata: dietro a questo enigma c’è lo Spirito Santo, che non sappiamo ancora come intende operare. Una cosa è certa: sta operando, siamo noi che ancora non siamo in grado di decifrare il suo operato; forse neppure il diretto interessato è in grado di capire i progetti che Dio intende compiere attraverso di lui.

dubbia autorità del concilio

questo testo che stilla autentica mancanza di conoscenza e rifiuto ad un ragionare ecclesiale è promosso sul sito della Fraternità Sacerdotale di San Pio X [vedere qui]

Sono amareggiato per il continuo aumento di riviste telematiche che dietro al tradizionalismo celano il sedevacantismo. È blasfemo che sedicenti cattolici mettano in rete dei blog titolati Acta Apostaticae Sedis [atti della sede apostatica], dove rendono il Romano Pontefice, indicato come apostata, oggetto d’insolenze e insulti. È desolante constatare l’alto numero di siti e di blog che inseguono catastrofismi apocalittici nella più adulterata accezione del termine, perché l’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni è il libro della speranza per antonomasia che narra la grande vittoria sull’antico nemico, l’Anticristo, la cui sconfitta è già scritta sin dall’inizio dei tempi. L’Apocalisse è il trionfo della fede, della speranza e della carità in chiave escatologica. E tutti i Gentili Signori e le Gentili Signore più o meno titolati e blasonati che ho citato uno a uno in questo mio articolo, sono direttamente colpevoli di tutto questo, perché per questa gente, loro ed i loro scritti, rappresentano un punto di riferimento, pertanto hanno poco da fare i falsi amanti della Chiesa che soffrono al suo interno, perché ben altra è la verità: con un piede stanno dentro di essa, con l’altro tra i lefebvriani che idolatrano il passato che non deve passare e con i sedevacantisti catatonici.

In uno dei numerosi siti di Vera&Pura Tradizione lessi tempo fa lo sproloquio di un prete della Fraternità chiesa santa 5Sacerdotale di San Pio X che mostrando lo squallore di una formazione teologica e di una formazione al sacerdozio forse improntata su quattro formule della neoscolastica decadente peraltro mal comprese, spiegava che il Regnante Pontefice era la giusta punizione data da Cristo alla Chiesa per le derive post conciliari. Che nel post concilio ci siano state delle gravi derive è indubitabile, i lettori che ci seguono su queste pagine telematiche sanno bene come e con quali ragionamenti articolati i padri dell’Isola di Patmos le hanno sempre indicate una ad una. Affermare però che Cristo, attraverso il Successore di Pietro, punisca la sua Chiesa, è una tale asineria che non merita neppure l’alto appellativo di eresia. Come possono esistere e trovare seguito menti a tal punto meschine da affermare che Cristo, attraverso Pietro sul quale ha edificato la sua Chiesa, ha deciso di punire … se stesso? Proprio così: se stesso! Perché la Chiesa è il corpo di cui Cristo è capo e noi membra vive. La Chiesa è di Cristo, non è dei Pontefici del periodo antecedente al Concilio Vaticano II né di quello successivo. La santità del Corpo della Chiesa di cui Cristo è capo, sta in quel potere di santificazione che Dio esercita malgrado la peccaminosità umana. Per questo la Chiesa è definita da sant’Ambrogio casta meretrix, santa e peccatrice, mentre il paragrafo VIII della costituzione dogmatica Lumen Gentium recita:

Cristo, “santo, innocente, immacolato” [cf. Eb 7, 26], non conobbe il peccato [cf. 2 Cor 5, 21] e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo [cf Eb 2, 17], la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento.

Affermare che la Chiesa è peccatrice è fuorviante, se il tutto è espresso fuori da un contesto chiaro come quello a cuichiesa santa 4 si riferisce Sant’Ambrogio o la Lumen Gentium; perché peccatori sono gli uomini che la compongono e che spesso la deturpano.

Non temo ad ammettere con dolore e onestà che da molti nostri seminari e da molte nostre facoltà teologiche escano preti infarciti delle peggiori eresie moderniste, o cresciuti coi venefici teologismi di Karl Rahner. Ma pure dal “santissimo” seminario di Ecône escono a quanto pare preti inquietanti capaci a parlare di Cristo che attraverso il successore di Pietro punisce la Chiesa. Per questo mi domando se ad Ecône, dove peraltro recitano o cantano la professio fidei in splendido latino “sacro”, non sono forse abituati a recitare parole che suonano più o meno così: Et unam sanctam cathólicam et apostólicam Ecclésiam. O dobbiamo dedurre che dopo il Vaticano II la Chiesa ha perduto la propria connaturata santità e indefettibilità, ha cessato di essere il corpo di cui Cristo è capo e che per questo è stata punita da Dio? Perché affermare che Cristo punisce la sua Chiesa è teologicamente coerente come lo sarebbe affermare che Dio Padre, attraverso il suo sacrificio sulla croce, ha castigato il Figlio e che lo Spirito Santo, dissentendo su siffatta scelta, ha finito a sua volta per arrabbiarsi e litigare con Lui.

papa naso clown

Ciò che il Sommo Pontefice dovrebbe evitare, visto che Jorge Mario Bergoglio è chiamato a lasciare spazio al Santo Padre Francesco che esprime la suprema dignità del Mistero della Chiesa in virtù del ministero affidato a Pietro da Cristo Signore.

A tutti coloro che si sentono a disagio per nasi da clown, corna di saluto ai filippini e via dicendo, ribadisco quel che spesso ripeto dentro il confessionale o durante le direzioni spirituali a non pochi fedeli sconcertati: andate al di là dell’uomo in sé e venerate la verità di fede del mistero della Chiesa eretta su Pietro che ricevuto mandato da Cristo ha trasmesso il proprio ministero d’autorità a tutti i suoi successori. La Chiesa non è del Santo Padre Francesco, come prima non lo è stata di Benedetto XVI, di Pio XII, di Pio X. Non lo è stata di Pietro stesso scelto come proprio vicario in terra dal Verbo di Dio in persona. La Chiesa è di Cristo, ed è comunque governata dallo Spirito Santo; e per quanto sia stata e possa essere ancora deturpata dagli uomini, rimarrà sempre la sposa santa e immacolata del Redentore.

Durante l’assisa del Concilio Vaticano I, il Beato Pio IX fece imprimere queste parole riguardo il rapporto tra fede e ragione:

[…] anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione. Lo stesso Dio, infatti, che rivela i misteri e infonde la fede, ha deposto anche il lume della ragione nell’animo umano […] non solo la fede e la ragione non possono mai essere in contrasto fra loro ma possono darsi un aiuto scambievole. La retta ragione, infatti, dimostra i fondamenti della fede, illuminata dalla sua luce può coltivare la scienza delle cose divine; la fede libera protegge la ragione dagli errori e l’arricchisce di molteplici cognizioni. Per ciò, la Chiesa, è ben lontana dall’opporsi allo studio delle arti e delle discipline umane, tutt’altro le favorisce e le promuove in ogni maniera [sessione III del 24 aprile 1870, capitolo IV: «Fede e ragione»]

Centoventi anni dopo, San Giovanni Paolo II, rifacendosi al magistero del suo Predecessore Pio IX, nella propria Enciclica Fides et Ratio scrisse:

«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso».

Fino a un certo punto abbiamo usato la ragione, con la quale siamo giunti alla grande porta aperta della fede, adesso, per varcare laaprite le porte 1 porta della speranza oltre la quale c’è Cristo, occorre procedere con un vero atto di fede, che non è un agire cieco, ma un agire con quella certezza interamente riassunta nel Credo. Nel Santo Padre Francesco noi dobbiamo vedere il mistero fondante della Chiesa, senza rimanere intrappolati davanti all’ingresso di questa porta spalancata, irretiti da un naso da clown e da un paio di corna. Perché lo Spirito Santo sta operando e Cristo salverà comunque la sua Chiesa. E in un futuro, forse vicino, quando ci saranno svelati quelli che erano i progetti di Dio, capiremo che anche questo Sommo Pontefice è stato frutto della grazia e della misericordia del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Per questo ritengo necessario sospendere il ragionevole giudizio umano e procedere sulle ali della fede, quindi credere, venerare e seguire la roccia sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa.

Possano certi “tradizionalisti”, apocalittici cosmici, scopritori di anticristi, cacciatori di presunte eresie papali, adoratori di rubriche e di un passato statico che non deve passare, indomiti difensori del moscerino dei loro valori non negoziabili tutti quanti soggettivi ma al tempo stesso ingoiatori professionisti di cammelli, abbandonare il cupo fascino omocentrico di Pelagio e seguire con fede il modello del santo vescovo e dottore della Chiesa Agostino d’Ippona, vedendo malgrado tutto e al di là di tutto l’opera di Dio anche nella povera e inadeguata persona del Santo Padre Francesco, servo dei servi di Dio, non all’altezza dinanzi al Mistero come da sempre lo siamo tutti quanti noi nati col peccato originale e soggetti alle insidie del male, ma potenziali e straordinari strumenti di grazia e di salvezza.

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Christus Vincit eseguito dai Regensburger Domspatzen

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La questione del monoteismo islamico

LA QUESTIONE DEL MOTOTEISMO ISLAMICO

Appena sorto, l’Islam si gettò con incredibile energia ed audacia alla conquista del mondo e cominciò ad apparire nei territori circonvicini all’Arabia, dalla Siria, alla Palestina, all’Egitto, alla Turchia, ai territori dell’Africa del Nord, già cristiani da secoli. La cristianità si trovò così aggredita da questi eserciti fanatizzati. I predicatori e i propagandisti islamici erano accompagnati dalle truppe. Davanti a un atteggiamento così aggressivo, la cristianità si impaurì e non vide soluzione migliore che reagire con la forza. Da qui le Crociate.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

corano la mecca

La Mecca, luogo sacro dell’Islam

L’attuale dibattito attorno alla religione islamica verte sul punto se il Dio del Corano è o non è il medesimo Dio dei cristiani. La risposta che si affaccia in molti nel modo più immediato è che non è il medesimo Dio, in quanto, mentre noi cristiani crediamo in un Dio Trinitario, il Corano lo respinge. In questa risposta apparentemente ovvia si nasconde in realtà un sottile equivoco, che occorre sfatare. Per essere corretti, dovremmo dire piuttosto che noi e i musulmani, come dice il Concilio Vaticano II, adoriamo «L’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (1). Quindi in realtà il nostro Dio e il loro è in se stesso il medesimo.

corano MeccaSi potrebbe parlare di “falso dio” per i Musulmani nel caso il Corano assegnasse a Dio attributi che non gli convengono. Ma questo, nell’insieme, non corrisponde alla realtà. Se confrontiamo i famosi 99 attributi di Allàh con quelli che San Tommaso d’Aquino assegna a Dio nella Summa Theologiae, noteremo una singolare concordanza. Se proprio devo pensare a un falso dio, preferisco pensare a quello di Hegel o di Rahner, piuttosto che a quello di Maometto. La differenza allora non sta nel fatto che esistano due Dèi: uno nostro, vero, e l’altro loro, falso. E neppure due dèi diversi. Questo sarebbe un assurdo politeismo, perchè in realtà Dio è uno solo. Tanto noi che loro crediamo in un solo Dio, il quale, da come risulta dagli attributi che il Concilio assegna al Dio coranico, è il vero Dio.

Il problema dunque del contrasto tra la teologia cristiana e quella coranica sta altrove. Che noi ecorano loro siamo monoteisti, credenti nel vero Dio, è fuori discussione. Il problema sta nel fatto che il Corano, in nome del Dio unico, respinge come politeismo ed empietà il dogma cristiano della Santissima Trinità e per conseguenza dell’Incarnazione e della Redenzione. Il Corano non concepisce come Dio possa avere un “Figlio”, perchè, per avere un figlio, dovrebbe avere una moglie. Si noti l’ingenuità di questa obiezione. Inoltre il Corano giudica assurdo pensare che Dio sia simultaneamente “uno e tre”. Dobbiamo tuttavia riconoscere che le obiezioni del Corano non sono prive di una loro apparente sensatezza, per cui devono essere prese in considerazione e ad esse si deve rispondere. La risposta decisiva, come sappiamo, è data dal Concilio di Calcedonia del 451, nel quale si distingue in Dio la natura divina una (fysis, dal greco Φύσις ) dalla persona trina (hypostasis, dal greco ὑπόστασις). Quanto al Figlio, è chiaro dalla rivelazione neotestamentaria, pensiamo soprattutto al Logos giovanneo, che non va inteso in relazione al sesso padre-madre, dato che Dio è purissimo Spirito senza sesso, ma ad una paternità divina asessuata, quindi non maschile, assimilabile alla Mente che produce l’Idea o il Pensiero, sicchè Cristo in questa visuale, è “Immagine del Padre ed Impronta della sua Sostanza” [Eb 1,3], è modello ideale ed archetipo in base al quale ed alla luce del quale il Padre ha pensato, progettato, voluto e creato il mondo.

La questione non tocca l’esistenza ma la conoscenza di Dio, ossia ciò che noi uomini sappiamo o possiamo sapere di Dio, ciò che Dio ci ha rivelato di Se stesso. Siamo tutti d’accordo che Dio esiste; il problema è di sapere nel modo migliore possibile chi è Dio, quali sono i suoi veri attributi, e che cosa Dio esattamente ci ha rivelato di Sè; inoltre sapere di quale o di quali profeti dobbiamo fidarci per avere quella sublime e desideratissima conoscenza. È qui che c’è lo scontro fra Cristiani e Musulmani: che per noi cristiani il massimo Rivelatore di Dio è Gesù Cristo nel Vangelo, mentre per loro è Maometto nel Corano, grazie alla rivelazione ricevuta dall’Arcangelo Gabriele. Già subito qui c’è un motivo di contrasto, perchè noi cristiani ci chiediamo come ha potuto il medesimo angelo da una parte annunciare a Maria la sua maternità divina e dall’altra annunciare a Maometto che Gesù è un semplice profeta: un angelo che si contraddice nell’annunciare a nome di Dio la rivelazione divina ordinata alla salvezza dell’umanità?

Resta il fatto che il Dio del Corano è il vero Dio, anche se si potrebbero fare alcune obiezioni su certi suoiHallah attributi. Egli è Dio, sì, ma conosciuto in modo misto ad errori ed assai meno perfetto di quanto lo conosciamo noi per mezzo di Cristo come Dio Trinitario. Inoltre, il guaio peggiore è che il Corano non si limita ad ignorare il mistero trinitario, ma pretende di confutarlo in base al Dio unico conosciuto dalla semplice ragione. Tuttavia ciò non ha impedito che nei secoli XI-XIII l’Islam in tema di monoteismo abbia prodotto metafisici e teologi di alto livello, come Averroè, al-Kindi, Avempace, Algazele, Alfarabi e Avicenna, i quali, per dare un fondamento filosofico al Dio creatore insegnato dal Corano, hanno opportunamente pensato di utilizzare Aristotele, enucleando la distinzione tra essenza ed esistenza, come caratterizzante metafisicamente la creatura, nonchè il concetto dell’assolutamente Necessario, come caratterizzante l’essenza divina. E, come è noto, furono gli Arabi ad introdurre nel Medioevo in Europa la conoscenza della metafisica e della teologia di Aristotele, che furono poi utilizzate dai dottori cristiani, come San Tommaso e il Beato Duns Scoto, per interpretare il dogma cristiano.

roveto ardente

Mosè dinanzi al roveto ardente

Il Dio del Corano ha evidenti agganci al Dio dell’Antico Testamento, maestoso e severo, un Dio più temibile che amabile, differente, come sappiamo, dal Dio del Nuovo Testamento, misericordioso e compassionevole, «lento all’ira e grande nell’amore», che vuole in Cristo essere amico dell’uomo ed abitare con la grazia nel suo cuore. Da qui la mistica cristiana, fenomeno raro nell’Islam e spesso guardato con sospetto, benchè esista anche lì la tradizione sufica, del resto probabilmente influenzata dal cristianesimo. Il Dio coranico, benchè sia presentato dal Corano come rivelato da Dio stesso, è il Dio della ragione, ossia quel Dio la cui esistenza e i cui attributi possono essere dimostrati dalla ragione applicando il principio di causalità e per analogia con le creature. Di fatti, quindi, tutti gli uomini ragionevoli conoscono almeno implicitamente questo Dio, quindi anche i Musulmani. A questo Dio tutti devono render conto del loro operato per ricevere il premio o il castigo eterno, come lo stesso Corano riconosce.

incarnazione

… e il Verbo si fece carne

Che poi Dio Figlio si sia incarnato, questo lo sappiamo solo noi cristiani, mentre, come è noto, i Musulmani lo rifiutano, se ne rendano o non se ne rendano conto, lo capiscano o non lo capiscano, ne abbiano o non ne abbiano colpa. Il Corano, laddove non erra su Dio, non insegna nulla che non corrisponda a quanto la stessa ragione naturale può dimostrare su Dio (2). La religione islamica è nata da un bisogno religioso e di unità politico-nazionale del popolo arabo, non soddisfatto dal contatto umiliante col potente impero bizantino, espressione di una civiltà superiore, cristiana, ma di tendenza imperialistica e divisa da tormentose e complicate polemiche di carattere teologico, vertenti soprattutto sul mistero trinitario e sui sacramenti.

maometto e gabriele

secondo la tradizione islamica l’Arcangelo Gabriele apparve a Maometto

Maometto, dal canto suo, animo religioso, energico e pratico, volle trovare una religiosità più semplice del complicato cristianesimo bizantino e credette di aver trovato la soluzione in un monoteismo privo del mistero trinitario e di tutte le conseguenze che da esso discendevano sul piano dottrinale, liturgico, morale e sociale. Dotato anche di grandi doti di organizzatore politico e di stratega militare, Maometto seppe dare a quei bisogni del suo popolo una soddisfazione così adatta, indovinata, convincente e feconda, da consentire alla sua opera di durare ancora oggi dopo quattordici secoli ed anzi di rafforzarsi immensamente con l’istillare nella religione del Corano una straordinaria forza di espansione, che dura a tutt’oggi in vari paesi del mondo, i quali appartengono ad altri popoli che nulla hanno a che vedere con gli arabi.

Il metodo dell’espansione islamica peraltro è molto diverso da quello cristiano. Mentre questo siarabi 1 fonda sulla fede in Cristo, uomo-Dio, che attira gli uomini a Sè e al Padre celeste con la forza dell’argomentazione e della persuasione, di una condotta integerrima, di una sapienza sublime, della testimonianza di un amore generoso, dei miracoli e delle profezie, Maometto, capo politico, religioso e militare ad un tempo, eccita e spinge i suoi fedeli alla conquista del mondo non solo e non tanto con la persuasività della parola, la sapienza delle sentenze e l’esempio di una condotta morale rigorosa, ma soprattutto con la forza delle armi, minacciando la divina vendetta a tutti coloro che non intendono accogliere il messaggio coranico. Come è noto, a chi muore nella guerra santa contro gli infedeli, è assicurato il paradiso.

arabi 2Appena sorto, l’Islam si gettò con incredibile energia ed audacia alla conquista del mondo e cominciò ad apparire nei territori circonvicini all’Arabia, dalla Siria, alla Palestina, all’Egitto, alla Turchia, ai territori dell’Africa del Nord, già cristiani da secoli. La cristianità si trovò così aggredita da questi eserciti fanatizzati. I predicatori e i propagandisti islamici erano accompagnati dalle truppe. Davanti a un atteggiamento così aggressivo, la cristianità si impaurì e non vide soluzione migliore che reagire con la forza. Da qui le Crociate. Oltre a ciò, il cristiano comune sentiva enorme sdegno e ripugnanza davanti a un attacco così radicale contro quanto la sua fede aveva di più sacro e quasi nessuno si accorse che in fin dei conti il Corano non predicava un’idolatria o un politeismo, ma un monoteismo, patrimonio di quella ragione che tutti gli uomini posseggono, Cristiani e Musulmani, tutti chiamati da Cristo alla salvezza. Che cosa dunque si sarebbe dovuto fare? Un’opera di discernimento nella dottrina coranica tra vero e falso (3). Il primo andava assunto; il secondo, confutato. Inoltre, in fatto di religione, occorreva dimostrare con buone prove la superiorità di Cristo su Maometto, senza misconoscerne i meriti, e non limitarsi alla sdegnata condanna, e possibilmente si doveva evitare il rifiuto totale e lo scontro frontale. L’ideale sarebbe stato che questo compito gravissimo se lo fosse assunto la Chiesa, magari dedicando al problema uno o due Concili ecumenici. E invece niente. La cosa fu lasciata nelle mani dei teologi, degli apologisti e dei Crociati. E così la reciproca incomprensione si è trascinata per secoli. Pareva che tutto il problema si risolvesse in come difendersi da un’epidemia. Ci si dimenticò che anche i Musulmani erano chiamati ad accogliere il Vangelo. Maometto, certo, era un grand’uomo; ma non poteva essere anteposto a Cristo. Si stenta a comprendere come quest’uomo sia pur grande quanto si vuole come Maometto, sia riuscito e tuttora riesca a polarizzare attorno a sè folle sterminate dei fedeli in netta competizione con quell’uomo ben più sublime, perchè è Dio, che è Nostro Signore Gesù Cristo.

Nel XIII secolo nacquero i Domenicani e i Francescani. Sembrò che essi potessero far qualcosa per avvicinare l’Islam a Cristo. Partirono coraggiosamente per la Terra Santa, lasciarono dei martiri, ma nessuno dei due Ordini alla fine riuscì a trovare il metodo giusto: i Domenicani furono troppo drastici e nel 1291 vennero cacciati, per potervi tornare solo alla fine del XIX secolo, ma solo per dedicarsi agli studi biblici (4). Il domenicano San Raimondo di Peñafort spinse San Tommaso d’Aquino a scrivere il famoso trattato apologetico Summa contra Gentes, opera meravigliosa, ricca di argomentazioni razionali, ma che purtroppo non confuta punto per punto, come sarebbe stato utile, gli errori del Corano evidenziando quanto si poteva accogliere nella teologia cristiana, per cui alla fine non dette apprezzabili risultati. I Francescani, dal canto loro, dopo lo storico e commovente incontro di San Francesco col Sultano, hanno sempre potuto restare in Palestina fino ad oggi, ma solo per aver rinunciato a convertire i Musulmani, da questi tollerati come cittadini di second’ordine. Stando così le cose, il documento del Concilio sull’Islam è da considerarsi di un’importanza epocale ed incentivo di una speranza di riconciliazione e di conversione degli Islamici a Cristo. Non era mai finora accaduto che il Magistero della Chiesa riconoscesse in modo così solenne le verità teologiche contenute nel Corano. E poichè tali verità erano già state definite altrove come appartenenti al deposito della fede (5), è da ritenersi che qui ci troviamo di fronte a dottrina del Magistero infallibile, cosa che riempie l’animo di immensa speranza circa i futuri buoni risultati del dialogo con l’Islam.

La rivelazione coranica di Dio è certo ricca di insegnamenti teologici, cultuali, religiosi, ascetici, morali e sociali, ma soprattutto è un martellante susseguirsi e ripetersi quasi senza respiro di precetti categorici e avvertimenti perentori e minacciosi davanti ad un fedele muto, che non deve fare altro che ascoltare, credere, obbedire e combattere per la diffusione dell’Islam in tutto il mondo, perchè questa e non quella cristiana è la vera, assoluta ed universale via e regola del culto divino (“Islam”), della virtù e della salvezza dell’uomo. Quanto al testo del Corano, tradizionalmente esso è inteso come Parola di Dio in modo tale da non ammettere che essa sia formulata o incarnata in una modalità o forma umana, tale da offrire aspetti legati al tempo o alle contingenze storiche. Questa maniera fondamentalista di interpretare il Corano, che del resto non è propria di tutte le scuole, ha lo svantaggio che viene a intendere come Parola di Dio concezioni, usi o pratiche oggi inammissibili o disumane, come per esempio la pena del taglione o della lapidazione o una concezione degradante ed umiliante della donna.

72 vergini

il Paradiso secondo la promessa di Maometto, dove saranno concesse agli uomini giusti 72 vergini in premio

Un grande valore dell’umanesimo coranico è dato dalla chiara coscienza del destino eterno dell’uomo: o paradiso o inferno, anche se poi manca il dogma della visione beatifica, frutto supremo della grazia di Cristo, e ci si ferma a godimenti puramente umani, anche sessuali. A differenza dell’uomo biblico o cristiano, che dialoga confidenzialmente e liberamente con Dio come il figlio col padre o l’amico con l’amico in Cristo, il fedele musulmano sembra sempre un soldato sull’attenti, che non deve far altro che eseguire gli ordini. Esiste, certo, la preghiera, che chiede l’aiuto e il perdono divino; ma essa alla fine non è niente più che il chiedere a Dio il compimento inesorabile di una volontà fatalistica, che è completamente avulsa dai desideri, dal libero arbitrio o dalle iniziative personali del fedele. Così o per amore o per forza, magari con la conquista militare, il Corano deve affermarsi in tutto il mondo. Chi l’accoglie, bene, ma chi non l’accoglie od oppone resistenza e non si converte, merita la morte o quanto meno dev’essere schiavo del musulmano. E chi si converte all’Islam, è tenuto assolutamente a restare fedele, sotto sorveglianza dell’autorità civile-religiosa, e anche dello stesso ambiente sociale e familiare, perchè, se dovesse cambiare idea, come per esempio farsi cristiano, viene escluso dalla comunità e può essere anche giustiziato.

Ernesto Vecchi su Islam

S.E. Mons. Ernesto Vecchi, Vescovo ausiliare di Bologna, per ascoltare la sua intervista sul rapporto tra cultura islamica e Italia, [cliccare sopra la foto per avviare il video]

Nei regimi islamici, almeno in linea di principio non esiste il diritto alla libertà religiosa. Volendo usare una facezia, benchè la cosa sia molto seria, “o mangi la minestra o salti la finestra”. Oggi l’Islam usa, per penetrare in paesi cristiani, un metodo morbido e capillare, come per esempio il fenomeno degli immigrati. Ma questi, ben lungi dal convertirsi al cristianesimo, restano fermi nella loro religione ed esigono dalle pubbliche autorità con notevole tenacia che siano loro concesse le strutture atte all’esercizio della loro religione. Laddove infatti esiste il diritto alla libertà religiosa, i Musulmani sanno abilmente avvantaggiarsene per i loro interessi, ma non la concedono ai cristiani che vivono nei loro paesi.

assenza

“Assenza”, René Magritte, 1966

Una grave lacuna dell’umanesimo coranico è l’assenza di quella coscienza dell’umana fragilità e tendenza al peccato che sorge nel cristianesimo dal dogma del peccato originale. L’uomo coranico, non rendendosi conto fino in fondo della gravità delle cattive azioni umane, non è neppure in grado di porvi adeguato rimedio, tanto più che non conosce i sacramenti, la vita ecclesiale e la grazia sanante donataci da Cristo. Ciò non toglie che chi è in buona fede possa ricevere questa grazia senza saperlo. Inoltre può esistere un battesimo di desiderio. Con tutto ciò è presente nell’etica islamica l’amore per la virtù e l’odio per il vizio, ma, stanti quei presupposti, si comprende bene come la virtù evangelica debba essere assai superiore in linea di principio alla virtù coranica, senza con ciò voler far confronti di persone e tanto meno pretendere di scrutare nel sacrario delle coscienze. La religione islamica nei secoli è stata promotrice di civiltà, di scienza, di arte, di cultura, di virtù umane, di benessere economico, di organizzazione politica e statuale, ma non la si può neanche paragonare alla ricchezza sconfinata della civiltà nata in Europa col cristianesimo, la civiltà dai ricchissimi ed infiniti effetti e risultati in campo morale, giuridico, religioso, scientifico, tecnico, artistico, politico, sociale, economico, dei quali si avvale abbondantemente lo stesso mondo islamico magari per osteggiare e boicottare l’Occidente.

Il confronto tra Cristo e Maometto si impone oggi in modo sempre più smaccato ed inevitabile. Ilgesù per gli islamici guaio è che la teologia cattolica soffre oggi, soprattutto nel campo della cristologia, di una crisi mai vista in tutta la sua storia, mentre intellettuali e uomini di cultura sentono il fascino dell’esoterismo islamico, come è avvenuto per lo gnostico tradizionalista René Guénon, nonchè dello spirito comunitario islamico, come è avvenuto per il filosofo comunista Roger Garaudy, entrambi convertitisi all’Islam nel secolo scorso. In campo poi cattolico è deprimente vedere un cristologo peraltro dotto come uno Schillebeeckx, elaborare una cristologia nella quale è assente la divinità di Cristo, ridotto al livello di un semplice “profeta escatologico” e “persona umana” abitata da Dio. E’ un modo per accontentare Maometto.

 

david haines

esecuzione di David Haines per opera dei terroristi islamici [cliccare sopra la foto per avviare il video]

Nei regimi islamici, almeno in linea di principio non esiste il diritto alla libertà religiosa. Volendo usare una facezia, benchè la cosa sia molto seria, “o mangi la minestra o salti la finestra”. Oggi l’Islam usa, per penetrare in paesi cristiani, un metodo morbido e capillare, come per esempio il fenomeno degli immigrati. Ma questi, ben lungi dal convertirsi al cristianesimo, restano fermi nella loro religione ed esigono dalle pubbliche autorità con notevole tenacia che siano loro concesse le strutture atte all’esercizio della loro religione. Laddove infatti esiste il diritto alla libertà religiosa, i Musulmani sanno abilmente avvantaggiarsene per i loro interessi, ma non la concedono ai cristiani che vivono nei loro paesi.

La realtà islamica è estremamente composita e spesso contradditoria. Se l’Islam è da una parte oggetto di ammirazione per la sua disciplina e il suo fervore religiosi, d’altra parte suscita una comprensibile ondata di sdegno e di orrore quanto i terroristi islamici stanno perpetrando in paesi di minoranza cristiana. Ciò rischia di suscitare in certi ambienti delle reazioni scomposte, che non fanno altro che attizzare il fuoco di un odio che nulla ha di cristiano, ma che ci riporta ai tempi più bui delle interminabili guerre medioevali. Tuttavia, occorre anche tener conto di quella parte di Islam ragionevole e pacifica, che si adopera per risolvere il problema del terrorismo, in conformità alle accorate esortazioni del Papa. Occorre invece rinunciare assolutamente alle visioni unilaterali, risentite e passionali, ed alle contrapposizioni frontali, che spesso nascono dall’ignoranza e da un malinteso desiderio di reagire alla violenza e di difendere la civiltà cristiana. Esistono peraltro nei paesi occidentali moltissimi islamici pienamente integrati nella realtà sociale che li ha accolti e che contribuiscono lealmente col loro lavoro allo sviluppo e al benessere di quei paesi. Su questo punto delicato del dialogo con l’Islam resta valido l’insegnamento del Concilio e dei Papi del postconcilio fino al Pontefice presente. L’insegnamento conciliare andrebbe completato con una descrizione accurata degli errori dell’Islam, che bisogna confutare, onde illuminare i fedeli di Maometto con la luce di Cristo. Non bisogna disperare nella conversione dei Musulmani, anche se in quattordici secoli essi non ci hanno dato prova di essere interessati a Cristo. Ma anche noi cristiani dobbiamo fare un esame di coscienza e chiederci seriamente se nei loro confronti siamo stati sempre dei veri apostoli, dei veri testimoni, dei veri evangelizzatori. Indubbiamente, ciò di cui si sente la mancanza e che è urgente elaborare, è un piano sistematico di evangelizzazione dei Musulmani, confidando nel fatto che Cristo ci ha mandato ad annunciare il Vangelo a tutti gli uomini e che Egli avendo dato per tutti la propria vita, dà a tutti a possibilità della salvezza.

Fontanellato, 12 gennaio 2015

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(1) Nostra aetate, n.3.
(2) Questo insegnamento, che troviamo nel Concilio Vaticano I, si può considerare come fondamento del dialogo con l’Islam, promosso dal Concilio Vaticano II.
(3) Papa San Gregorio VII nel sec. XI scrisse bensì una saggia lettera conciliante ad Anazir, re della Mauritania, citata dal documento del Concilio; ma si tratta di un caso più unico che raro.
(4) Con la fondazione della famosa Scuola Biblica di Gerusalemme ad opera del Padre Joseph Lagrange
(5) Per esempio al Concilio Lateranense IV e al Concilio Vaticano I.

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Difendo Vittorio Messori contro i falsi dogmi di Leonardo Boff

DIFENDO VITTORIO MESSORI CONTRO I FALSI DOGMI DI LEONARDO BOFF

 

intervengo sulla vicenda di Messori non per approvare o disapprovare quello che ha scritto, ma per difenderlo doverosamente dalle critiche violente e dissennate di un religioso che si presenta come teologo e accusa il giornalista di malafede o di ignoranza in materia teologica. Si tratta di Leonardo Boff. La sua critica a Messori rappresenta, per così dire, la summa di tutte le sciocchezze che gli ideologi della “teologia della liberazione” hanno scritto, prima e dopo la condanna da parte della Santa Sede,  sul messaggio del Vangelo e sull’azione della Chiesa nel mondo.

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

vittorio messori

il giornalista e scrittore cattolico Vittorio Messori

Le considerazioni che Vittorio Messori ha pubblicato sul Corriere della Sera  sul pontificato di papa Bergoglio lo scorso 24 dicembre [vedere qui] hanno suscitato, come era prevedibile, tante diverse reazioni. Molti le hanno condivise, altri le hanno criticate aspramente. Non entro nel merito di quelle sue valutazioni, che comunque reputo legittime. Si tratta di un giornalista serio, di uno storico documentatissimo e soprattutto di un cattolico di fede sincera e illuminata. Lo conosco personalmente da tanti anni, ho letto tutti i suoi libri, a cominciare dal primo e più celebre, quelle Ipotesi su Gesù che davano troppo spazio a un’interpretazione fideistica di Pascal ma ebbero comunque un’efficacia apologetica notevole. In questi ultimi tempi leggo sempre con interesse e anche con piacere la sua rubrica sul Timone. Ce ne fossero di giornalisti cattolici così! Peccato, mi sono detto sempre, che non gli fosse stato consentito di continuare a scrivere su Avvenire… Sarebbe stato un bene per il “quotidiano dei cattolici”  (e anche per me, che da quel quotidiano sono stato letteralmente messo alla gogna).

Ma, ripeto, non entro nel merito delle sue considerazioni sul pontificato di papa Bergoglio, perché sono dell’opinione che per le vicende della Chiesa i giornalisti dovrebbero limitarsi all’informazione, che è il loro mestiere e la loro specifica mission, senza influenzare l’opinione pubblica cattolica con le loro opinioni personali, inevitabilmente parziali, nel senso che riescono a descrivere solo una parte della realtà ecclesiale ed esprimono su di essa solo il punto di vista di una parte del popolo di Dio.

Come ho già scritto anche sulla Bussola, preferisco che l’attualità ecclesiale sia trattata e con competenza autenticamente teologica e da un punto di vista esclusivamente pastorale. Io stesso, preoccupato come sacerdote del disorientamento dottrinale che percepisco tra i fedeli, sono intervenuto più volte sulla “questione Bergoglio” invitando i cattolici a disinteressarsi di ciò che è pane quotidiano dei “vaticanisti” (le frasi e i gesti che fanno pensare ad “aperture” o a “chiusure”, le nomine e le destituzioni di alti prelati), interessandosi invece intelligentemente di ciò che è propriamente magistero della Chiesa. Lì, nei documenti del  magistero della Chiesa (che è in determinati punti fondamentali immutabile e perenne, in altri procede storicamente con le opportune “riforme nella continuità”) i cattolici, oggi come sempre, trovano la guida sicura della loro coscienza, l’orientamento sicuro per professare e vivere la fede nella loro esistenza quotidiana.

leonard boff

Leonardo Boff, ex frate francescano e sacerdote dimesso dallo stato clericale, oggi convivente con la propria compagna e dedito alla diffusione di palesi eresie e di dottrine “dogmatiche” ecologiche e filo-marxiste

Ora però intervengo sulla vicenda di Messori, non per approvare o disapprovare quello che ha scritto, ma per difenderlo (è doveroso) dalle critiche violente e dissennate di un religioso che si presenta come teologo e accusa il giornalista di malafede o di ignoranza in materia teologica. Si tratta di Leonardo Boff. La sua critica a Messori (clicca qui) rappresenta, per così dire, la summa di tutte le sciocchezze che gli ideologi della “teologia della liberazione” hanno scritto, prima e dopo la condanna da parte della Santa Sede,  sul messaggio del Vangelo e sull’azione della Chiesa nel mondo.

boff Gesù liberatore

una delle pietre miliari della teologia della liberazione

Boff accusa Messori di disconoscere il ruolo dello “Spirito”, il quale, a sua detta, agirebbe anche e ancora meglio fuori della Chiesa cattolica, che non sa «imparare dagli altri». A questo proposito Boff, col tono del difensore d’ufficio di quello che egli chiama lo Spirito Santo, arriva a scrivere: «Significa essere blasfemi contro lo Spirito Santo pensare che gli altri hanno pensato solo in modo sbagliato. Per questo è sommamente importante una Chiesa aperta come la vuole Francesco di Roma. Bisogna che sia aperta alle irruzioni dello Spirito chiamato da alcuni teologi “la fantasia di Dio”, a motivo della sua creatività e novità, nelle società, nel mondo, nella storia dei popoli, negli individui, nelle Chiese e anche nella Chiesa Cattolica», la quale, prima di Francesco, sarebbe stata troppo legata a Cristo, troppo “cristocentrica”.

Secondo l’ex francescano, che quando gli interessa si atteggia ad amante della dottrina (la sua), Vittorio Messori è terribilmente carente in teologia: egli  «incorre nell’errore teologico del cristomonismo, cioè, solo Cristo conta. Non c’è propriamente un posto per lo Spirito Santo. Tutto nella Chiesa si risolve con il solo Cristo, cosa che il Gesù dei Vangeli esattamente non vuole».

Poi, tornando a vestire i panni dell’antidogmatico, aggiunge: «Senza lo Spirito Santo la Chiesa diventa un’istituzione pesante, noiosa, senza creatività e, ad un certo punto, non ha niente da dire al mondo che non siano sempre dottrine sopra dottrine, senza suscitare speranza e gioia di vivere». Ignorerebbe anche, il povero Messori, la sociologia religiosa: non avrebbe ancora capito che l’America Latina è il vero centro della Chiesa cattolica di oggi, anche se il numero dei latinoamericani che si dichiarano cattolici va diminuendo per effetto del proselitismo capillare delle sette protestanti (anzi forse proprio per questo Boff ritiene l’America Latina all’avanguardia).

Il cristianesimo e la teologia avrebbero fatto grandi passi avanti in America Latina (in Brasile che è la patria di Leonardo Boff, in Perù che è la patria di Gustavo Gutiérrez, e in Argentina che è la patria di Jorge Mario Bergoglio) per il fatto di aver dato ascolto allo “Spirito”, grazie anche alla cultura autoctona (precolombiana) che avrebbe liberato la Chiesa dall’astrattezza dottrinale della teologia europea, di quella tedesca in particolare (il bersaglio polemico è Benedetto XVI, ricordato con affetto da Messori), sapendo interpretare il Vangelo in sintonia con le istanze di liberazione delle masse  popolari. Sia detto tra parentesi, perché non è molto importante in questa sede, il mito della teologia latino-americana autoctona è subito smentito, involontariamente, da Boff stesso quando cita come sola autorità teologica il suo maestro Johan Baptist Metz, iniziatore in Germania di quella “teologia politica” dalla quale derivano i teologi della liberazione sudamericani, formatisi tutti in Belgio, Francia e Germania, a cominciare dal peruviano Gustavo Gutiérrez. E non è centro-europeo, anzi proprio tedesco, Karl Marx, l’ispiratore primo della “teologia della liberazione”?

boff arcobaleno

la religione della nuova Chiesa Ecologica …

Ma questa, dicevo, è solo una parentesi sarcastica. Il discorso serio è quello teologico, innanzitutto perché è l’approccio teologico l’unico che mi interessa quando di parla di attualità ecclesiale e di possibili cambiamenti della dottrina della Chiesa, e poi perché l’argomento principale del discorso di Boff è appunto la “voce dello Spirito”, che papa Bergoglio avrebbe ascoltato docilmente mentre i suoi predecessori, in particolare Benedetto XVI, avrebbero ignorato, chiusi come erano nel “cristocentrismo”, che per Boff significa dogmatismo, giuridicismo, tradizionalismo, centralismo vaticano.

Ora io mi domando: che senso ha, teologicamente parlando, arrogarsi l’esclusività nell’interpretazione di “ciò che lo Spirito dice alle chiese”?  E ancora. che senso ha, teologicamente parlando, opporre alla dottrina dogmatica e morale della Chiesa la propria interpretazione dei disegni dello Spirito Santo?  Discorsi del genere  sono comprensibili, anche se illogici, in bocca a eretici e scismatici, in bocca ai propagandisti di una delle tante sette che hanno invaso l’Occidente cristiano, vagamente imparentate con il cristianesimo o direttamente ispirate al buddismo, ma non in bocca a chi si presenta come cattolico e per di più teologo.

La norma fondamentale di un discorso autenticamente teologico, come ho spiegato chiaramente nel mio trattato su Vera e falsa teologia (dove Leonardo Boff non è citato, ma sono citati i suoi maestri). È l’intenzione di illustrare razionalmente la verità rivelata da Dio in Cristo Gesù, il quale ha affidato l’interpretazione autentica del suo Vangelo alla sua Chiesa, cioè agli Apostoli e ai loro legittimi successori, i vescovi in comunione con il Papa, il quale gode anche individualmente del carisma dell’infallibilità.

In termini pratici, ciò vuol dire che uno come Boff, che disprezza i dogmi e attribuisce a sé quell’infallibilità che non riconosce al magistero della Chiesa, non parla da teologo. Certo, io gli riconosco il diritto di avere le sue idee, anche le più pazze, sul cristianesimo, ma se parla in pubblico rivolgendosi ai cattolici,  ho il dovere di avvertire i credenti che costui non ha l’autorità che compete a un teologo nella Chiesa cattolica: come dico sempre i questi casi, si tratta di un falso profeta e di un cattivo maestro. L’ho detto varie volte a proposito di Vito Mancuso e di Enzo Bianchi, non mi sono peritato di dirlo anche a proposito di Bruno Forte e di Gianfranco Ravasi, che occupano posti di rilevo nella gerarchia ecclesiastica. Chi vuol dare retta alle loro teorie, sappia almeno che lo fa a suo rischio e pericolo (dell’anima, s’intende); io ho avvertito tutti quelli che ho potuto. 

boff teologia della liberazione

il manuela del piccolo incendiario …

Per terminare con Boff. Che cosa sa un cristiano dello Spirito Santo, che come Dio è assolutamente trascendente? La sua Persona, in seno alla “Trinità immanente”,  è particolarmente inaccessibile alla conoscenza umana, tanto che Egli viene chiamato “il Dio sconosciuto”, e anche la sua azione nel mondo (la cosiddetta “Trinità economica”) è del tutto invisibile, se non per rivelazione pubblica. Ma la rivelazione pubblica è quella del Figlio di Dio, il Verbo Incarnato, l’Emmanuele, il “Dio-con-noi”.

Quello che possiamo sapere dei misteri di Dio è solo quello che Cristo ci ha rivelato. Come si fa a contrapporre le proprie (pretese) conoscenze dell’azione dello Spirito a quello che dello Spirito medesimo ci ha rivelato Cristo? E Cristo ci ha rivelato che lo Spirito Santo ci è stato inviato da Lui stesso e dal Padre, il giorno della Pentecoste, per rendere efficace in tutto il mondo, per tuto il tempo della storia, l’azione salvifica della Chiesa di Cristo, mediante l’annuncio del Vangelo e la grazia dei sacramenti. Questo è quello che sappiamo dello Spirito Santo, e quindi solo questo si può dire teologicamente, cioè seriamente, con la pretesa di essere ascoltati dai credenti.

Il vero teologo  spiega e applica al suo tempo e alla gente cui si rivolge la verità contenuta nella rivelazione pubblica, cioè nella dottrina della Chiesa. Il vero teologo  non pretende, come fanno gli gnostici, di sapere di più di quanto possa sapere, dei misteri di Dio, un qualunque fedele, una persona che in qualsiasi tempo abbia accolto con fede sincera la rivelazione divina. Il vero teologo, soprattutto, non spaccia per verità divina quelle che sono le sue personali e arbitrarie congetture, quale che sia la sincerità con cui queste vengono propinate al popolo (qualora mentissero sapendo di mentire, i falsi profeti non sarebbero solo degli illusi ma proprio dei “seduttori”, come l’Anticristo del quale parla la Scrittura).

 

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Articolo Pubblicato il 2 gennaio 2015 su

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La cristologia della luce eucaristica ed il buio dei totalitarismi politici e religiosi

Theologica —

LA CRISTOLOGIA DELLA LUCE EUCARISTICA
ED IL BUIO DEI TOTALITARISMI POLITICI E RELIGIOSI

 

… può accadere che la cecità del marxismo e la cecità di certe espressioni di vita religiosa si incontrino, pur combattendosi duramente, accomunate da materialismo omocentrico ed eresia pelagiana

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

[…] talune correnti teologiche e religiose hanno modulato i propri movimenti di fede e di pensiero attingendomarx inconsapevolmente proprio dal nemico che si prefiggevano di combattere: quel Marxismo applicato nei regimi comunisti dove l’individuo era svuotato e mutato in un ingranaggio di quella personalità di massa chiamata Stato, una sorta di entità perfetta o per così dire pseudo-divina che assieme ai suoi leaders carismatici non poteva essere posta in discussione. Non bisogna infatti trascurare che il Marxismo è una “religione” atea e che il suo impianto strutturale “dogmatico” è costruito sugli schemi propri degli assolutismi religiosi.

Sul piano filosofico prima che teologico, essere ingranaggi spersonalizzati di un sistema marxista è cosa antitetica all’essere membra del Corpo Mistico. Così come l’essere ingranaggi spersonalizzati di correnti di pensiero teologico o di sistemi religiosi modulati non sull’assoluto teologico ma sull’assolutismo ideologico rappresenta un’antitesi all’essere membra del Corpo Mistico della Chiesa che è Cristo, anzi peggio, perché mentre il Marxismo attaccava la Chiesa da fuori queste correnti l’hanno colpita da dentro con l’aridità dei propri pensieri de-strutturanti e confondenti. E il caposcuola del Novecento di questa de-strutturazione confondente è Karl Rahner.

legionari di Cristo

Avere molte vocazioni, è veramente una prova della grazia dello Spirito Santo? Una delle nuove congregazioni religiose al cui interno sono confluite nel tempo molte vocazioni, inclusi ottimi e motivati giovani, assoggettati per mezzo secolo alla oscura figura del proprio fondatore in un regime di cieca obbedienza che non ammetteva senso critico alcuno. Ai membri di questa Congregazione era imposto anche il voto di “non critica” dei superiori, forse in cattolico ossequio ai migliori criteri di Fides et Ratio?

Sul piano strutturale le correnti religiose filo marxiste totalitarie fiorite in parallelo nella storia della Chiesa del Novecento che ritenevano giusto indirizzare e controllare la ragione dell’uomo al “cristiano” fine che questi non cadesse ragionando in peccati d’orgoglio, che limitavano la sua libertà di figlio di Dio per evitargli il potenziale rischio di cadere dalla libertà al libertinaggio, che giudicavano il senso critico una sorta di attentato di lesa maestà divina da curare prontamente con la panacea dell’obbedienza cieca … ebbene, questi totalitarismi religiosi d’impianto pseudo neoscolastico fondati sulla scolastica decadente del tardo Settecento anziché sul gran patrimonio scolastico il cui recupero fu auspicato dell’Enciclica Aeterni Patris, hanno mostrato la loro storica chiusura spirituale e teologica alla grazia, il loro modo di ristagnare non-pensando, di agire in spazi delimitati e circoscritti per impedire ogni autonomo agire al fine di evitare chissà quali insidie, la volontà di chiudere ogni quesito al dubbio perché per tutto avevano una risposta metafisica pronta. E tutto questo ha segnato varie esplosioni di pelagianesimo religioso moderno, semmai proprio mentre i propagatori di questi pensieri erano impegnati a insegnare il De Natura et Gratia di Sant’Agostino nel più profondo ossequio agli schemi formali della migliore ortodossia cattolica.

rigidità di pensiero

chiusura mentale

La loro impostazione di pensiero di prassi rigida, a tratti spietata nel suo formalismo concettuale esasperato ed esasperante ricalcava spesso ― inconsapevolmente ― la psicologia di Pelagio: la convinzione di poter giungere alla perfezione attraverso il rigore, l’auto-disciplina, la mancanza di qualunque cedimento a qualsiasi perplessità o dubbio; che espresso in termini più moderni equivale al Superuomo e alla Volontà di Potenza di Frederic Nietzsche modulate in versione religiosa. Alcune di queste correnti di pensiero del tardo Ottocento e del Novecento hanno inaugurato la stagione di quell’ateismo religioso tipico di chi chiude il cuore alla Grazia di Dio nella certezza di poter giungere alla santità col rigore della disciplina interiore ed esteriore, che troviamo appunto raffigurata negli schemi nietzschiani de La Volontà di Potenza.

Giovani Paolo II firma fides et ratio

S.S. Giovanni Paolo II firma la Enciclica Fides et Ratio, accanto a lui l’allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger

Oggi noi parliamo teologicamente con gran disinvoltura del tema Fides et Ratio; argomento non certo nuovo nella storia e nell’economia della salvezza se consideriamo che fu dibattuto dai grandi Padri della Chiesa: lo fu dai Padri Cappadoci, da Anselmo d’Aosta, da Tommaso d’Aquino, sino a giungere al Pontefice Pio IX che fece scrivere al Concilio Vaticano I queste parole:

[…] anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere vera divergenza tra fede e ragione. Lo stesso Dio, infatti, che rivela i misteri e infonde la fede, ha deposto anche il lume della ragione nell’animo umano […] non solo la fede e la ragione non possono mai essere in contrasto fra loro ma possono darsi un aiuto scambievole. La retta ragione, infatti, dimostra i fondamenti della fede, illuminata dalla sua luce può coltivare la scienza delle cose divine; la fede libera protegge la ragione dagli errori e l’arricchisce di molteplici cognizioni. Per ciò, la Chiesa, è ben lontana dall’opporsi allo studio delle arti e delle discipline umane, tutt’altro le favorisce e le promuove in ogni maniera.

[..] quale è il rapporto tra fede, ragione e libertà all’interno degli ordini religiosi e di certe nuove congregazioni religiose che nella stagione del Concilio Vaticano II riscriveranno tutte quante le loro costituzioni per uniformarle al pensiero teologico e pastorale conciliare, ad esempio cancellando ogni riferimento anche vago a vetuste forme di obbedienza cieca che non ammettevano umana ragione, anteriori per impostazione e tradizione allo stesso Concilio di Trento, oltre che in netta contraddizione col pensiero teologico dei più grandi Padri della Chiesa?

francescani immacolata

I Frati Francescani dell’Immacolata, caso doloroso di una congregazione commissariata dalla Santa Sede senza che molte altre, inclusi diversi ordini storici, abbiamo seguito le stesse sorti per motivazioni molto più gravi. A peggiorare la situazione ed a recare immane danno a questa Congregazione è subito accorso l’esercito di cosiddetti “tradizionalisti” che hanno usato questi religiosi per portare avanti il loro astio verso il Concilio Vaticano II e per legittimare l’uso puramente ideologico del vetus ordo missae

Questi quesiti, se li sono mai posti certi “tradizionalisti” ideologici solerti cacciatori di eresie — incluse presunte eresie papali — prima di partire all’attacco con patos liberal democratico e spirito referendario, quindi con tanto di “raccolta firme”, dopo che la legittima Autorità della Chiesa aveva deciso di intervenire su una giovane Congregazione in seno alla quale stavano emergendo anche problemi di teologia ecclesiale, di corretta disciplina e di adeguata formazione? E sotto vari aspetti l’Autorità ecclesiastica ha fatto bene, perché non è sano e nemmeno cattolico riportare indietro le lancette dell’orologio ed instaurare di nuovo criteri di formazione religiosa su modelli di fine Ottocento inizi Novecento. Ma siccome questa famiglia religiosa celebrava col vetus ordo Missae, dinanzi al latinorum ridotto da certi “tradizionalisti” ad un feticcio pelagiano, ecco che si sono subito mostrati talmente preoccupati della pagliuzza da non vedere la trave, vale a dire che proclamare “di fatto” il dogma di Maria Corredentrice e stabilirne relativa teologia e culto al proprio interno e massiccia campagna di diffusione esterna, è molto peggio della de-costruzione del dogma messa in atto dalle peggiori derive della Nouvelle Théologie; perché “proclamare” o “dare per esistente” un dogma mariano che sino ad oggi la Chiesa non ha mai inteso proclamare — cosa di cui personalmente sono felice — è molto peggio del de-costruire e distruggere i dogmi di fede proclamati dalla Chiesa. Il tutto per cantarla in modo onesto e veritiero a certi ideologi della “tradizione” ai quali per mesi ho inutilmente ripetuto nel corso di numerosi colloqui privati che il problema non era il Messale di San Pio V, che dunque la smettessero di usare quei poveri frati per ideologizzare un messale e per legittimare se stessi. A quante di queste persone ho spiegato in tono rasente la supplica che io stesso avevo cessato di fare riferimenti nei miei articoli alle vicende di questa Congregazione, dopo avere avuto prove e controprove che i problemi erano altri e non la Messa secondo il vecchio rito? Sui risultati ottenuti — o meglio: sui non risultati — sorvolo con amarezza, ritengo però che qualcuno dovrebbe interrogarsi seriamente per il modo strumentale in cui questi frati sono stati danneggiati dai “tradizionalisti” d’assalto, capaci a ricondurre tutto, persino l’arte pasticcera napolenata, ad una questione di vetus ordo missae … incapaci di capire, sebbene fosse stato a loro spiegato, che non sempre «Parigi val bene una Messa», com’ebbe a dire quel cinico ugonotto di Enrico IV di Borbone. E detto questo evito di entrare nel merito tutto quanto teologico della ostinata chiusura alla grazia di Dio tipica di coloro che sono certi di possedere la Verità ed esserne unici e fedeli propagatori, persino contro l’Autorità della Chiesa …

Giudico da sempre perniciosa la teologia di Karl Rahner, ma l’onesta intellettuale e la mia gherardinifede cattolica mi impongono di affermare che criticare giustamente e legittimamente questo teologo tedesco, per giungere attraverso di esso ad intaccare, se non peggio ad invalidare l’autorità del Concilio Vaticano II, è molto peggio del dare vita alla confusa, equivoca e ambigua teoria dei “cristiani anonimi”. Cosa questa che un nostro venerabile e saggio confratello della caratura di Brunero Gherardini dovrebbe insegnare a tutti quanti noi, anziché prestarsi nella vecchiaia a certi equivoci che ruotano attorno alla teoria di quel Concilio “solo pastorale” che da anni manda in sollucchero il meglio del peggio di un certo “tradizionalismo”, che sul concetto di “concilio pastorale”, ergo non dogmatico, ha finito col sentenziare: … “vale a dire che non conta niente”; abusando e spendendo a sostegno di siffatte tesi aberranti il nome di questo teologo illustre che mai sosterrebbe cose simili, semplicemente perché non le ha mai pensate, essendo un uomo di Dio devoto all’Autorità della Chiesa ed un autentico maestro di teologia.

Serafino Lanzetta

Padre Serafino Lanzetta, giovane uomo di profonda pietà cristiana, acuto teologo dotato di autentico talento, ha ricevuto la propria formazione all’interno della Congregazione dei Francescani dell’Immacolata. Neppure una punta di diamante può però costituire patente di merito per una intera istituzione religiosa, così come una rondine non può fare primavera. Padre Serafino è una patente di merito per la Chiesa e per il mondo teologico, che malgrado i duri tempi odierni riesce a partorire pensatori come lui.

Sorvolo sulla totale mancanza di coerenza da parte di questi ideologi della “tradizione” che da anni hanno preso a tirare Brunero Gherardini per i bordi della veste. Soggetti che da una parte sono capaci — e lo hanno fatto, scritto e più volte pubblicato — ad esaltare la enciclica Mirari Vos di Gregorio XVI, nella quale vengono espresse nel lontano 1832, ovvero in tutt’altro mondo, società e contesti politici, anche parole di dura condanna verso la libertà di pensiero e di stampa, o verso il concetto di separazione tra Stato e Chiesa … e chiedendo infine di essa l’applicazione salutifera nella Chiesa d’oggi. Fatto questo, esaltano e mettono però in pratica forme di liberal democrazia referendaria contro l’Autorità ecclesiastica all’interno della Chiesa (!?). Mi domando: mi sono perduto qualche cosa, sono io ad essere incoerente, o forse sono questi ideologi della “tradizione” ad avere problemi seri nei loro insani rapporti con la presunta traditio catholica, la ecclesiologia e soprattutto la legittima Autorità della Chiesa?

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Riguardo quanti si ostinano a fare un mestiere che non è il loro, rimando all’ articolo del Padre Giovanni Cavalcoli sulla fantateologia dei giornalisti, quindi degli ecclesiologi e dei canonisti variamente improvvisati … QUI

A questa Congregazione alla quale un esercito di praeficae “tradizionaliste” digiune di teologia e di ecclesiologia hanno finito purtroppo col peggiorare la situazione usandola per i propri scopi ideologici, forse dedicherò un apposito scritto, se avrò tempo; non è detto però che di tempo ne abbia e che lo faccia, desiderando occuparmi di cose più interessanti nel corso dei decenni di vita che mi separano dalla mia morte, fissata all’incirca attorno ai 120 anni d’età, avendomi affidato la Persona Santissima dello Spirito Santo l’apostolica missione di far rodere diversi fegati.

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LA CRISTOLOGIA DELLA LUCE EUCARISTICA ED IL BUIO DEI TOTALITARISMI POLITICI E RELIGIOSI

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

“2001 Odissea nello spazio”, ovverosia: la fantateologia di alcuni giornalisti

«2001 ODISSEA NELLO SPAZIO », OVVEROSIA: LA FANTATEOLOGIA DI ALCUNI GIORNALISTI

 

[…] alcuni, magari con titoli, sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate.

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

alberto sordi vigile urbano

il compianto Alberto Sordi nel ruolo del vigile urbano

Nella vita è importante saper intraprendere la carriera giusta, conforme alle proprie capacità, sulla base di sani criteri di discernimento, senza ambizioni e senza remore. Capita invece che ci sia chi, per vari motivi, intraprende una strada che non è la sua, confondendo la sua autentica con un’altra, che è ciò che ha scelto, ma che avrebbe fatto meglio a non scegliere, perchè così, anche se può avere qualche successo, in realtà fa danno a sè e agli altri. Certo, alcuni — magari con titoli — sono costretti a fare mestieri inferiori per il fatto di non trovar lavoro, e questi sono scusabili, se non proprio da compassionare. Ma capita che facciano bene il loro dovere, anche perchè chi sa fare il più, sa fare anche il meno. Un laureato in medicina può fare il portalettere. Ma un portalettere non può curare una polmonite o una cirrosi epatica. Quelli che invece sono da riprovare e che fanno maggior danno, sono gli ambiziosi e i presuntuosi, i quali danno ad intendere di saper fare o pensare al di là di quelle che sono le loro reali capacità, spesso assai limitate. Ma capita disgraziatamente che coloro che aspirano a farsi giudici o guide degli altri, usano, come criterio per valutare se stessi e gli altri, non la saggezza, ma l’invidia e la presunzione.

Eugenio Scalfari

un esempio eccellente: Eugenio Scalfari, liberamente e legittimamente ateo dichiarato, con gloriosa carriera di militante anticlericale nonché fondatore di un quotidiano che spesso ha aggredito in modo anche molto duro il magistero pontificio degli ultimi quattro decenni, oggi divenuto a suo modo esperto ecclesiologo

Gli esempi che si potrebbero fare sono moltissimi e toccano ogni genere di scelta, di vocazione, di professione, di mestiere, di carriera. Voglio qui fermarmi su di un fenomeno oggi diffuso, del quale hanno parlato su questa nostra rivista telematica anche i miei amici e confratelli sacerdoti Ariel S. Levi di Gualdo e Antonio Livi: la pretesa di certi giornalisti di discutere o di sentenziare categoricamente, senza appello e senza la dovuta preparazione e competenza e quindi senza il dovuto criterio di giudizio, di teologia, di questioni di fede, di ministeri e compiti ecclesiali — per esempio quello del Papa — o di affari della Chiesa. Certo non è male che grandi organi di stampa facciano tanta attenzione al Papa, alla Chiesa, a temi di dottrina e di morale, alla questione dei progressisti e dei conservatori, a nomi di teologi o Cardinali famosi, alle sorti del cristianesimo in rapporto ad altre religioni, al rapporto del Concilio Vaticano II col Magistero precedente. Ma la questione è con quanta preparazione, obbiettività e competenza e con quanta esattezza di informazioni prese da quali fonti essi formano i loro giudizi, danno i loro pareri, conoscono, riferiscono ed interpretano i fatti. Quanto, per esempio, soprattutto quelli che si dicono o sono considerati cattolici, conoscono la vera natura della Chiesa così come la Chiesa cattolica la intende? Quanto sanno distinguere, nelle attività o nel pensiero del Papa il Maestro della fede dalla guida pastorale della Chiesa dal dottore privato, secondo quei princìpi e criteri che di recente noi tre abbiamo esposto più volte su questo sito attraverso i nostri scritti? Quanto sanno distinguere la dottrina della fede dalle varie e contraddittorie opinioni dei teologi? Quanto sanno distinguere ciò che è autenticamente cattolico da ciò che non lo è? Quanto sanno distinguere ciò che è teologia nel senso scientifico da ciò che è soltanto un discorso religioso più o meno letterario o mitologico?

Melloni presso il Grande Oriente

Lo storico cattolico della Scuola di Bologna, Alberto Melloni, ad una quanto meno inopportuna conferenza presso la loggia massonica del Grande Oriente d’Italia [vedere QUI]

Diffuso per esempio è il parlare delle vicende, delle iniziative, delle opere o delle imprese della Chiesa credendo di dire l’ultima parola col considerare la Chiesa da un punto di vista puramente terreno o solo sociologico, ed ignorando la sua essenza e le sue finalità soprannaturali, come si può parlare di una società multinazionale o come se si avesse a che fare con una semplice società filantropica o umanitaria, tipo Amnesty International o Green Peace, o un partito politico immerso negli affari di questo mondo.

giornalisti cattoliciÈ urgente chiarire una volta per tutte quale dev’essere il rapporto del giornalista cattolico col teologo nel trattare degli affari della fede e della Chiesa in modo conveniente al fine di comunicare col numero più grande possibile di persone. Innanzitutto occorre che il giornalista stesso sia teologo, data la materia che deve trattare, seppur non in termini scientifici, ma comprensibili dal grande pubblico. La prima cosa che il giornalista cattolico deve fare è quindi di capire esattamente di cosa si tratta, attingere con cura a fonti sicure e attendibili, operare un discernimento alla luce del Magistero della Chiesa, dare a questa luce e sotto questa guida una valutazione obbiettiva, intelligente, spassionata ed imparziale degli avvenimenti, esporre in termini semplici e popolari le dottrine, le novità, le discussioni, le linee di condotta, le attività pastorali, e i problemi ad esse annessi, senza escludere una critica costruttiva e prudente, distinguendo l’opinabile dal certo, in modo da svolgere un’opera informativa e formativa ad un tempo, un’azione educativa e uno stimolo culturale, che possano aiutare i lettori a viver meglio la loro fede e la loro appartenenza ecclesiale, in modo costruttivo, con spirito di collaborazione, sano ottimismo, ben difesi dall’insidia dell’errore, nell’esercizio delle virtù civili e cristiane, desiderosi di perfezione evangelica.

giornali

rassegna stampa

Se esistono giornalisti che improvvisandosi teologi vanno oltre la loro competenza e invadono a volte con arroganza e vana sicumera il campo del teologo, ciò può avvenire anche perchè purtroppo esistono teologi che non hanno sufficiente stima della elevatezza della loro disciplina, ma la riducono o risolvono al livello di semplice pastorale, per giunta con coloriture sociopolitiche, a volte estremamente parziali e soggettive, fino a privare il discorso teologico della sua indipendenza, libertà ed universalità e a trasformarlo, umiliarlo ed incastrarlo come in un letto di Procuste, quasi nei limiti di una tesi o programma di partito. Non che da una teologia non possa nascere un partito politico. Basti guardare l’opera di certi grandi uomini come Ozanam, Acquaderni, Don Sturzo, Mounier, De Gasperi o Aldo Moro. Tuttavia essi per primi, nella nobiltà delle loro idee, rifiutavano di ridurre il principio teologico trascendente ed immutabile alla contingenza di una semplice opinione politica, per quanto su di esso fondata. Non che inoltre naturalmente non sia lecito e normale per il teologo esprimere opinioni, preferenze o ipotesi personali o scegliere una corrente o tendenza o scuola teologica piuttosto che un’altra o un maestro piuttosto che un altro. E d’altra parte è evidente che la teologia morale, per aver efficacia pratica, deve tradursi in teologia pastorale e la stessa teologia dogmatica o speculativa può essere efficacemente insegnata solo se il docente tien conto della pastorale dell’insegnamento di quella disciplina. Solo la teologia speculativa è fine a se stessa e va cercata per se stessa come sommo godimento dello spirito. La teologia morale e quella pastorale sono ordinate alla teologia speculativa. Il bene pratico da fare è ordinato al Bene divino da amare e contemplare. Chi non ha interessi speculativi può fare il gradasso possedendo potere e ricchezze, godendo prestigio e affermandosi sugli altri; ma in realtà è un infelice. Può anche guadagnare il mondo, direbbe Cristo, ma perde la sua anima fatta per Dio e non per affermare se stessa.

EGO

monumento all’Ego

La felicità dell’uomo non sta nel cercare un Dio che salva l’io umano alla maniera di Lutero, un Dio funzionale e subordinato all’uomo. In questo Lutero fu vittima inconsapevole di quell’ antropocentrismo egocentrico rinascimentale, che egli pure allo stato cosciente rifiutava, ma piuttosto nel cercare Dio per Dio, come diceva Santa Caterina da Siena. Il ripiegamento luterano dell’uomo su se stesso sotto pretesto del bisogno di salvezza e di umiltà nel lasciar operare Dio, è un egocentrismo più sottile ma non meno reale di quello rifiutato da Lutero consistente nel vantarsi delle proprie opere davanti a Dio. Tuttavia è sbagliato, come fa Rahner, col pretesto che la ricerca teologica e l’insegnamento della teologia richiedono una prassi, ridurre tutta la teologia a teologia pastorale, sopprimendo la caratteristica propria, la trascendenza e l’autonomia della teologia speculativa, che la distinguono dalla teologia pastorale. Una simile visione sottende la concezione rahneriana della conoscenza, la quale è ad un tempo prassi, secondo il modulo idealista fichtiano, di origine cartesiana, per il quale lo spirito produce o pone (“setzt“) l’essere stesso che conosce, identificandosi l’essere con l’idea immanente al pensiero e prodotta dal pensiero. In realtà, se la teologia morale deve avere uno sbocco nella prassi, poichè è logico che occorre mettere in pratica il bene preconosciuto dalla teoria, occorre anche ricordare il primato della teoresi sulla prassi, ovvero della speculazione sull’azione in rapporto al fine ultimo dell’uomo, che è la contemplazione della somma Verità. Per cui, se è vero che occorre sapere che cosa si deve fare per metterlo in pratica e si deve, come si suol dire, “passare dalle parole ai fatti”, è altrettanto vero che l’azione umana è finalizzata in ultima analisi, alla divina contemplazione. In tal senso la teologia speculativa è irriducibile alla pastorale. Una vita umana faccendiera orientata solo al fare, manca al suo anelito fondamentale e supremo, che è l’interesse per il fine ultimo e la conquista del sommo Bene, che è appunto la visione di Dio.

Da una teologia politicizzata e secolarizzata come quella modernista o liberazionista non c’è da meravigliarsi seDagospia esce fuori un giornalismo che tratta la teologia come fosse un pettegolezzo di corridoio o una manovra di partito o una trama reazionaria o un movimento rivoluzionario o una coalizione di arrivisti o un’espressione del potere o una sfilata di moda o lo sfogo di un dente avvelenato o una sparata pubblicitaria del matto di turno: pare, in questi casi disgraziati, che la cosa importante non sia, come invece dev’essere, illuminare, far conoscere, porre quesiti e spunti di ricerca, informare sulle nuove conquiste, ribadir valori della tradizione, aiutare a capire il Magistero, approfondire, suscitare dibattiti, incoraggiare, consolare, confortare, educare il senso critico, aprire il cuore alla speranza, far amare la Chiesa e la verità di fede, alimentare la carità e la virtù, favorire il dialogo e la concordia, risolvere i contrasti.

papalepapaleIndubbiamente, qualcuno mi dirà: ma questo è compito del vescovo! Non ci stiamo aspettando troppo da un povero giornalista? Certo; ma io non sto dicendo che tutto ciò dovrebbe essere farina del suo sacco o scaturire dalla sua mente come Minerva dalla testa di Giove. Basterebbe che il giornalista si tenesse sistematicamente a contatto con ambienti buoni della gerarchia, dei teologi o della stessa Santa Sede, senza raccogliere maldicenze, basse insinuazioni, rivelazione di segreti, accuse non verificate, chiacchiere, malignità, mormorazioni, che purtroppo possono venire anche da prelati e Cardinali. Dovrebbe avere la prudenza e il fiuto da attingere a sorgenti d’acqua salutare, zampillante per la vita eterna, lasciando stare le paludi, gli acquitrini, le sabbie mobili, il fango, le sorgenti avvelenate, anche a costo di rinunciare eventualmente a qualche buon compenso o a qualche favore.

Un grave vizio frequente nel mondo giornalistico, effetto e ad un tempo stimolo di una diffusa sfiducia nella verità, è il fattoDestra sinistra di ricondurre questioni di dottrina e di morale non alle categorie del vero e del falso, nelle quali non si crede e che vengono relativizzate, per cui non si cerca di chiarire dov’è la verità e dov’è l’errore, alla luce della ragione o della scienza o della storia o della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero della Chiesa. Tutto invece sembra far capo a due categorie tratte dalla politica: “progressisti” e “conservatori”, dove il “progresso” è approvato, ammirato, glorificato, esaltato e magnificato con lode e stima, proposto come modello da imitare; mentre il “conservare” pare oggetto di disprezzo, di ripugnanza, di condanna, di disapprovazione, di derisione e di rifiuto. È evidente che tali appellativi sostituiscono rispettivamente le nozioni del vero e del falso, del bene e del male. Ma ciò vuol dire navigare continuamente nell’incerto, nel dubbio, nell’equivoco, nell’ambiguità, nella nebbia, nell’opinabile, nel soggettivo, nelle apparenze, nel “si dice”, nel relativo, nel discutibile, nell’arbitrario, nel torbido, nel precario, nell’effimero, nel mutevole, senza venire mai a capo di nulla. Non c’è dubbio che l’opinabile, il sembrare, il videtur, l’apparenza, il fenomeno, il relativo, il mutevole hanno una dignità. Ce lo ha già insegnato Platone. Ma il medesimo grande saggio ci ha anche insegnato la suprema dignità del vero, dell’eterno e dell’immutabile, valori che sono stati pienamente assunti dalla concezione cristiana della conoscenza, come appare all’evidenza per esempio nel realismo di un San Tommaso d’Aquino.

creazionismo evoluzionismoL’accanirsi modernista ed evoluzionista contro il conservare è una grande stoltezza. Probabilmente sono proprio quei medesimi modernisti che conservano con cura i loro capitali in banca, i ricchi mobili di casa o le foto dei nobili antenati. E allora? Perchè non dovrebbe esser lodevole e doveroso conservare il depositum fidei? Con quale stoltezza si accusa il Cardinale Raymond Leonard Burke di essere “conservatore” per il semplice fatto che vuol conservare le verità di fede? Sia questo uno dei tanti esempi di una certa teologia giornalistica da strapazzo. Gli appellativi di “progressista” e “conservatore” sono di per sè del tutto innocenti e normali, giacchè nella Chiesa chiunque, entro i limiti dell’ortodossia e della disciplina ecclesiastica, è libero di preferire una tendenza conservatrice o una progressista. Ma la slealtà, per non dire la perfidia dei modernisti consiste nel dare a “conservatore” un senso spregiativo, mentre riservano a se stessi tronfiamente il titolo onorifico di “progressista”.

Bisogna dunque che i giornalisti teologi si diano una regolata, proprio al fine di svolgere meglio la loro preziosissimamessa in latino professione, che è un vera missione. Sarebbe bene pertanto che il giornalista che tratta di teologia nella stampa cattolica e non cattolica, di cose della Chiesa, di dottrine di fede e di morale, del ministero del Papa, della Santa Sede e dei vescovi, delle opere dei teologi e scrittori ecclesiastici, dei rapporti della Chiesa con la politica e con le altre religioni, di sinodi e di Concili, di sacramenti o di liturgia, di agiografia e di storia della Chiesa e diritto canonico, fossero in possesso di qualche titolo accademico in teologia, magari diocesano, e pertanto soggetti all’autorizzazione ed al controllo dell’autorità ecclesiastica.  In tal modo i giornalisti teologi, non più battitori liberi, che per ora possono inventarne ogni giorno una nuova, ma profondamente consci della loro grave responsabilità, veramente liberi sotto l’impulso dello Spirito Santo, potranno svolgere meglio il loro utilissimo servizio per il popolo di Dio e per tutti gli uomini di buona volontà, come veri membri della Chiesa, in collaborazione con la gerarchia e il Santo Padre, con i buoni teologi e tutti i fedeli impegnati nella nuova opera di evangelizzazione indetta dal Sommo Pontefice. In questa battaglia per il Regno occorre smetterla con l’armata Brancaleone e decidersi finalmente ad essere uniti e concordi sotto la guida del Vicario di Cristo per l’espansione del Regno di Dio e il trionfo di Cristo sulle potenze del male.

Fontanellato, 2 gennaio 2015

In ricordo di Vincenzo Maria Calvo

IN RICORDO DI VINCENZO MARIA CALVO

 « … una volta i padri accompagnavano i figli a prendere il treno per andare a fare il servizio militare, oggi io accompagno il figlio della mia vecchiaia a prendere la via del sacerdozio ».

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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divo barsotti - vecchiaia

Padre Divo Barsotti, in una immagine della vecchiaia

Un giorno visitai Padre Divo Barsotti presso la Casa dei Figli di Dio a Settignano di Firenze, desideroso di approfondire temi di ecclesiologia e di storia della Chiesa che si legavano ad una mia pubblicazione data poi alle stampe anni dopo. Eravamo agli inizi dell’anno Duemila, avevo 38 anni. Il Padre Divo mi ascoltò con attenzione e m’indicò vari testi; poi mi guardò negli occhi in un modo che parve trapassarmi l’anima dicendomi in modo inaspettato: «Tu diventerai prete». Dinanzi a quel venerato sacerdote evitai di replicare con una battuta di spirito, ed in modo serio risposi: «Padre, o lei mi confonde con un’altra persona, o forse non le è chiaro che soggetto sono io». Sorrise, ed in tono quasi beffardo ribatté: «Puoi fuggire ancora, ma per poco, perché se il Signore ha deciso di prenderti, ti prenderà».

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Padre Divo Barsotti

Per una questione di discrezione avevo lasciata la mia fidanzata — se però devo essere sincero dovrei dire “la mia convivente” del momento — fuori da quella casa religiosa, evitando in tal modo potenziali imbarazzi legati a domande del tutto legittime, tipo ad esempio se eravamo sposati, vista la nostra età: io in cammino verso i quarant’anni lei splendida ragazza di venticinque. Uscito fuori da quella casa la mia — diciamo — fidanzata, mi domandò che impressione mi avesse fatto quell’uomo: risposi che era una persona al di sopra di tutte le righe, sicuramente un mistico, ma forse un vero e proprio visionario …

Questo accenno è già sufficiente a spiegare che fare una cronistoria del mio percorso vocazionale sarebbe cosa complessa e lunga, perché non stiamo a parlare di un soggetto entrato fanciullo in un seminario minore e consacrato sacerdote a ventiquattro anni, ma di un soggetto che — come direbbe mia madre — « … ne ha combinate più di Carlo in Francia» (1).

D’improvviso irruppe nella mia vita la grazia di Dio, prima atterrandomi poi risollevandomi; e nel risollevarmi trasformò il mio spirito ed il mio pensiero, quindi la mia esistenza. Le vocazioni degli adulti in particolare e quelle di tutti in generale, si riconoscono a prescindere dall’età da vari elementi, il principale dei quali resta per me la trasformazione: solo la grazia di Dio, liberamente accolta e lasciata operare, può infatti modificare la nostra struttura caratteriale per prepararci ad accogliere un carattere indelebile ed eterno: il sacerdozio.

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ricordi …

Nato in Toscana e poi vissuto nella gaudente Emilia Romagna, poche settimane dopo quel mio incontro col Padre Divo Barsotti decisi di spostarmi per un periodo indeterminato a Siracusa, dove di tanto in tanto mi recavo nel corso dell’estate e non solo. Avendo all’epoca mezzi economici ed entrate che potevano consentirmi un certo tenore di vita mi acquistai una casa nel cuore della Città greca, a pochi passi dall’antico Tempio di Apollo, dedicandomi ad attività editoriali, al giornalismo specialistico e ad alcuni lavori di consulenza in merito ai quali non entro poiché parte di una vita ormai morta e sepolta. Non nego che seguitai anche la mia vita da giovanotto spensierato, fino al giorno in cui, correndo con la mia moto sul tratto Catania-Siracusa, accadde qualche cosa che nello spazio di pochi secondi sovvertì completamente in mio essere ed esistere, ma soprattutto, da lì a breve, il mio divenire futuro. Non è però questa la sede per entrare in certi particolari, forse ne scriverò tra svariati anni, quando sarò un vecchio prete, analizzando me stesso come uno spettatore esterno, non certo per parlare di me, ma del mistero della grazia, del mistero della vocazione al sacerdozio e del miracolo da sempre più difficile: il miracolo della fede e della conversione, perché per poterlo realizzare Dio ha bisogno di incontrare la piena libertà dell’uomo.

Mons. Vincenzo Calvo

Vincenzo Maria Calvo

Entra così nella mia vita la particolare figura di Vincenzo Maria Calvo, presbitero siracusano, uomo di grande esperienza umana, anch’egli vocazione adulta al sacerdozio. Molti sarebbero gli aneddoti da narrare su quest’uomo dotato di grande sagacia e profondo umorismo, mi limito per ciò a narrare l’episodio legato alla sua nomina a rettore del seminario arcivescovile. L’allora arcivescovo, dopo averlo accolto come candidato al sacerdozio, lo inviò a studiare a Roma, non potendo inserire nel seminario un adulto che stava per compiere trent’anni. Lo fece iscrivere all’Università Gregoriana, all’epoca ancora cattolica, facendolo alloggiare presso una casa sacerdotale. Ovviamente stiamo parlando di quasi mezzo secolo fa, perché oggi nessuno chiamerebbe “vocazione adulta” uno che inizia il percorso formativo per il sacerdozio a 29 anni compiuti. Dopo averlo consacrato sacerdote tre anni e mezzo dopo, alle soglie dei 34 anni l’arcivescovo gli fece questa proposta: «Devo nominare il vice rettore del seminario, te la senti di accettare? In fondo, non hai mai fatti un giorno di seminario, potrebbe essere un’esperienza interessante». Il giovane Padre Vincenzo rispose: «Eccellenza, non ho forse promesso, pochi giorni fa, obbedienza a lei ed a tutti i suoi successori?». Quella proposta era di fatto una nomina a rettore del seminario, perché il rettore dell’epoca era già avanti con l’età, tanto che nel giro di breve tempo il Padre Vincenzo lo sostituì. Non avere mai fatto il seminario gli “costò” così venti lunghi e felici anni di seminario, perché per due decenni fu rettore di quella casa di formazione, che lasciò 24 anni fa, dopo essere stato colpito da un ictus cerebrale, divenendo penitenziere del Santuario della Madonna delle Lacrime.

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Vincenzo Maria Calvo nel giardino del santuario mariano di Siracusa

Dopo alcuni anni di percorso svolti col Padre Vincenzo fui accolto come candidato ai sacri ordini dall’allora Vescovo di San Marino-Montefeltro. Lasciai così Siracusa, amata città adottiva nella quale avevo ricevuto il dono della vocazione al sacerdozio, per recarmi a Roma, dove per alcuni anni si sarebbe svolta la mia formazione. Prima di partire feci una solenne promessa al Padre Vincenzo: «Se Dio mi darà la grazia di diventare sacerdote, celebrerò la prima Messa all’altare di Santa Lucia, vergine e martire siracusana». Mentre eravamo in viaggio verso l’areoporto di Catania telefonammo al Vescovo, al quale Padre Vincenzo disse: « … siamo in viaggio. Una volta i padri accompagnavano i figli a prendere il treno per andare a fare il servizio militare, oggi io accompagno il figlio della mia vecchiaia a prendere la via del sacerdozio». A Roma il vescovo mi inviò presso un pontificio ateneo dove fui ammesso ai corsi specialistici in teologia dogmatica; e non potendo mettere un quarantenne in un seminario, mi affidò ad una casa sacerdotale. E così, la storia del padre, si ripeteva di nuovo attraverso il figlio …

Mons. Calvo e Ariel

Ricordi …

La Chiesa universale festeggia la martire siracusana il 13 dicembre, giorno del suo martirio, la Chiesa particolare di Siracusa la festeggia anche la prima domenica di maggio, detta anche Santa Lucia delle quaglie (2). Io ricevetti la sacra ordinazione a Roma per la festa di San Giuseppe lavoratore, il 1° maggio. La sera stessa presi l’aereo assieme a mia madre per recarmi a Siracusa ad adempiere al mio felice voto, perché quell’anno la festa di Santa Lucia delle quaglie cadeva il giorno 2. Il mattino alle 11 concelebrai l’Eucaristia con l’Arcivescovo Metropolita di Siracusa Salvatore Pappalardo, con l’Arcivescovo emerito Giuseppe Costanzo ed il Vescovo di Caltagirone Calogero Peri che aveva ricevuto la consacrazione episcopale un mese prima, ed i presbiteri presenti nella chiesa cattedrale. La sera alle ore 19 celebrai la mia prima Santa Messa nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia, presentato dal Padre Vincenzo all’assemblea che gremiva la chiesa.

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ricordi …

Durante questa Ottava di Natale il Padre Vincenzo mi ha chiesto di amministrargli la confessione e pochi giorni dopo, prima dell’Epifania, mi ha chiesto se potevo amministrargli l’unzione degli infermi; non perché stesse male, ma perché … «un tocco d’olio santo» — disse in tono scherzoso — «alla mia età non fa mai male a nessuno».

I ricordi delle nostre uscite mi accompagneranno nel corso della vita, incluse le nostre discussioni. L’uno con l’altro riuscivamo a dirci squisitezze colorite che non è necessario ripetere, caratterizzati entrambi da una qualità: la totale assenza di quello spirito clericale che non ci ha mai sfiorati e per il quale abbiamo sempre provato entrambi santo sprezzo cristiano.

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ricordi …

All’età di 78 anni, nella notte tra la vigilia e il giorno dell’epifania, Vincenzo Maria Calvo è passato dal sonno alla morte. Lo ha trovato al mattino il rettore del Santuario, che non vedendolo giungere per la celebrazione della Messa delle 8.30 è andato a cercarlo nella sua camera, dove ha trovato il suo corpo senza vita. Ciò che il Padre Vincenzo ed io ci siamo detti un paio di giorni prima rimane sigillato nel mio cuore. Se n’è andato tanto sereno quanto consapevole che la situazione ecclesiale odierna è di fatto intrisa di risvolti drammatici. Appena sabato sera, andando a cena presso dei cari amici che hanno un agriturismo nella riserva naturale della necropoli di Pantalica, gli dissi: «Tu hai già 78 anni, io ne ho appena compiuti 51. Visti i tempi a volte mi domando: se giungerò alla tua età, che cosa dovrò vedere?». Mi ha replicato: «Speriamo di fare il grande botto prima possibile, così che si possa ripartire quanto prima a costruire da capo sopra le macerie». Su una cosa abbiamo però sempre concordato al termine dei nostri battibecchi: sulla speranza. Quando infatti tempo fa lesse un mio articolo dedicato proprio alla teologia della speranza [vedere qui], mi disse: «Solo per questo sono felice di averti guidato verso il sacerdozio».

talare romanaQuesta sera sono andato alla veglia di preghiera, ed anche se l’aria era fresca non ho indossato la veste talale invernale ma quella da mezza stagione; la talare che lui mi regalò prima della mia ordinazione diaconale, all’interno della quale è ricamata una piccola scritta nel risvolto interno del taschino: «Dono di Padre Vincenzo». Oggi presso il Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa saranno celebrate le sue esequie funebri. Assieme a me ci sarà il mio caro allievo, colui di cui oggi io sono padre, mentre il Padre Vincenzo, che era il padre del padre, era suo nonno; perché la storia si ripete per mistero di grazia, attraverso noi sacerdoti che ci trasmettiamo gli uni con gli altri il divino dono della paternità pastorale, in cammino verso il Suo Regno che non avrà fine.

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(1) L’espressione “farne più di Carlo in Francia”, vuol dire combinarne di tutti i colori e trae origine dalla vita di Carlo Magno che ebbe tra l’altro almeno 6 mogli e 20 figli.
(2) La festa di Santa Lucia delle quaglie si svolge ogni anno, la prima domenica di maggio. L’evento vuole ricordare un miracolo avvenuto durante la terribile carestia che colpì Siracusa nel 1646. Il popolo, stremato dalla mancanza di cibo, si raccolse in preghiera attorno alla sua Santa Patrona. In seguito alle preghiere arrivò poco dopo un flotta di navi cariche di grano, che venne preannunciato dal volo di uno stormo di quaglie.

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Vincenzo Calvo 1

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Padre Tomas Tyn, un tradizionalista post-conciliare ed un modello attuale oggi più che mai

PADRE TOMAS TYN, UN TRADIZIONALISTA POST-CONCILIARE ED UN MODELLO ATTUALE OGGI PIÚ CHE MAI

 

Padre Tomas corregge il tormentato e presuntuoso rapporto luterano con Dio mostrando come nel processo della giustificazione armonizzino l’opera della grazia e della fede con quella della ragione, delle opere e del libero arbitrio e come quindi il timore deve moderare la confidenza, considerando il peccato e la divina giustizia, mentre la confidenza deve moderare il timore considerando la divina misericordia. Temere senza confidare porta alla disperazione. Confidare senza temere porta alla superbia. 

 

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

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Una immagine del Servo di Dio Tomas Tyn

Il 1 gennaio abbiamo ricordato la ricorrenza del 25° anniversario della pia morte del Servo di Dio Padre Tomas Tyn, teologo domenicano di origine cecoslovacca nato a Brno nel 1950 e sepolto a Neckargemünd in Germania presso la casa dei suoi genitori, dove la madre, Dott.ssa Ludmila, è tuttora vivente. Di Padre Tomas è in corso la Causa di Beatificazione promossa dalla Provincia domenicana Boema ed aperta a Bologna nel 2006 dal Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo della Città [vedere qui e qui]. Infatti, Padre Tomas abitò dal 1972 al 1989 nel convento domenicano di Bologna, insegnando teologia morale e storia della filosofia nel locale Studio Teologico, oggi Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.

AITT_logoLe pagine di questa nostra rivista telematica hanno già avuto modo di occuparsi di questo Servo di Dio, soprattutto a cura di Gianni T. Battisti, avvocato di Rieti, fondatore e presidente dell’Associazione Internazionale Tomas Tyn (AITT vedere qui), che raccoglie devoti, ammiratori e studiosi da varie parti d’Italia e del mondo. In questi venticinque anni la fama di santità del Servo di Dio si è diffusa nella sua Patria, la Repubblica Ceca, in Italia e nel mondo grazie all’opera dei suoi devoti ed al lavoro della Causa di Beatificazione, che ha raccolto numerose testimonianze e documenti. In particolare la teologia di Padre Tyn ha suscitato l’interesse degli studiosi, i quali hanno trattato alcuni aspetti del suo pensiero, tra l’altro in un congresso internazionale, che si tenne su di lui a Bologna nel 2011.

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Il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, presso il patriarcale convento di San Domenico durante l’apertura del processo di beatificazione di Padre Tomas Tyn

Padre Tomas è stato ad un tempo grande filosofo e grande teologo, come affermò il Cardinale Caffarra nella lettera di apertura della Causa [vedere qui, qui]. Benchè sia morto in giovane età, la sua produzione scientifica, considerando anche i molti impegni pastorali dai quali era preso, è sorprendentemente abbondante e di alto livello. Essa esprime non solo il pensiero personale dell’Autore, ma anche una gran quantità di dottrine tratte da altre fonti ed altri Autori, a cominciare dall’insegnamento biblico, per passare al Magistero della Chiesa, a San Tommaso e a molti altri teologi e non solo teologi, antichi e moderni, cattolici e non cattolici, spesso conosciuti nei testi originali, considerando che Padre Tyn possedeva otto lingue.

La missione precipua che la divina Sapienza affidò a Padre Tomas è stata quella di ricordare ed illustrare le verità della dottrina cattolica tradizionale, la quale, nell’agitato periodo dell’immediato postconcilio, rischiava di essere dimenticata a causa di un fraintendimento modernistico delle nuove dottrine del Concilio. Il Servo di Dio, che, grazie al suo acuto discernimento, seppe riconoscere il valore di quelle dottrine nella loro continuità con la tradizione, non si lasciò gabbare da queste imposture e da quei teologi che concepivano il progresso teologico sul modello della Rivoluzione francese, ma espresse, da buon cattolico, la sua piena e compiaciuta adesione agli insegnamenti conciliari.

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immagine del Padre Tomas Tyn

A soli vent’anni, giovane frate già dotato di un’eccezionale maturità umana, culturale e teologica, mentre era ancora studente nello Studio Teologico domenicano di Walberberg in Germania, con estrema perspicacia si accorse della pericolosità di Karl Rahner in un ambiente suggestionato dalle sue fascinose imposture. E allora compose in latino, nel 1970, come tesi annuale, una acuta critica in 104 pagine della concezione rahneriana della morale, dal titolo “Praesupposita philosophica Rahnerianae doctrinae de ethica existentiali. Aliquae notitiae spectantes ad articulum Caroli Rahneris SJ. qui intitulatur “De Quaestione ethicae existentialis formalis“, dimostrandone l’impostazione esistenzialistico-situazionista già a suo tempo condannata dal Sommo Pontefice Pio XII, e tutto ciò, si noti bene, in un ambiente infetto da modernismo e luteranesimo.

La limpidezza e la lealtà di tale comportamento intellettuale e morale ovviamente procurò a Fra Tomas, da parte dell’ambiente, invidie ed ostilità, che ben presto lo consigliarono di lasciare quell’ambiente, seppure con dolore e non senza riconoscenza per quanto aveva ricevuto, per approdare alla comunità ed allo Studio Teologico bolognese. Qui Fra Tomas, per la sua intelligenza, per la bontà e cordialità del suo carattere, per la sua umiltà e per tutte le sue virtù, si attirò subito la stima e l’affetto dei confratelli e di moltissime altre persone, alle quali offriva il suo ministero di dotto, pio e zelante sacerdote e guida di anime alla perfezione del Vangelo.

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l’ex domenicano Otto Hermann Pesch

Ancora in Germania Fra Tomas rifiutò energicamente anche la tesi esposta da un suo docente che poi uscì dall’Ordine, il Padre Otto Pesch, il quale, nel clima irenistico e falsamente ecumenico del postconcilio, aveva pubblicato un voluminosissimo ed eruditissimo libro nel quale sosteneva che Tommaso e Lutero si accordavano nella dottrina della giustificazione, proprio quella invece circa la quale in realtà si trova la maggiore opposizione di Lutero alla dottrina cattolica.
Tuttavia, nella concezione luterana della giustificazione non tutto è sbagliato. In Lutero resta l’insegnamento biblico per il quale la grazia inizia l’opera della giustificazione rendendo giuste le opere dell’uomo. I Domenicani hanno sempre riconosciuto questa verità tanto che alla fine del secolo XVI, nelle infuocate polemiche con i Gesuiti nella famosa controversia De auxiliis, i Gesuiti accusavano i Domenicani di filo luteranesimo per la loro dottrina della premozione fisica sostenuta da Domingo Bañez.

sulla giustificazioneQuesto punto importante è ribadito nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Federazione Luterana Mondiale del 1999 [vedere qui]. Non si tratta di un documento del Magistero, perchè non porta la firma del Papa, ma, come dice la parola, di un semplice “Consiglio”, benchè indubbiamente della Santa Sede, ma che non ha l’autorità di dichiarazioni simili a livello superiore, come per esempio quella del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo Unitatis redintegratio [vedere qui]. Qui c’è l’infallibilità del Magistero, che invece non è presente nel precedente documento. E del resto, nel documento conciliare non si fa parola del tema della giustificazione.

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Martin Luther, ritratto d’epoca

Padre Tomas non ha difficoltà a riconoscere il suddetto punto di contatto della Chiesa con i luterani. Ma a lui sta a cuore ricordare l’erroneità della dottrina luterana della giustificazione. E per questo, giunto a Bologna, fece la sua tesi di licenza presso lo Studio Teologico domenicano nel 1976 sotto la direzione del Padre Alberto Galli col titolo De gratia divina et iustificatione. Oppositio inter theologiam Sancti Thomae et Lutheri. Infatti, quello che manca nella concezione luterana della giustificazione è la dottrina del merito delle buone opere in grazia, in ordine al premio della vita eterna. E questa assenza è presente anche nel citato documento congiunto. Per questo Padre Tyn si dedica con particolare cura in questa tesi e in quella di dottorato all’Angelicum di Roma del 1978, dal titolo L’azione divina e la libertà umana nel processo della giustificazione secondo la dottrina di San Tommaso d’Aquino, ad illustrare l’essenza, le cause e le funzioni del merito soprannaturale, dono di Dio, col quale, unendoci ai meriti infiniti di Cristo, operiamo la nostra salvezza.

Lutero confonde la natura umana come tale con la natura decaduta a causa del peccato e tendente al peccato. Identifica il peccato con la tendenza al peccato. Ecco che allora per Lutero non esiste una sana ragione, una metafisica, una teologia naturale, una buona volontà, una legge naturale, un merito, un fine ultimo naturale dell’uomo. Per lui tutto ciò è paganesimo, pelagianesimo, incredulità, ipocrisia e superbia. Per questo, la grazia in Lutero non cancella il peccato, ma coesiste con esso. Il perdono divino è lo sguardo col quale Dio guarda alla giustizia di Cristo e la imputa dall’esterno al peccatore. La grazia non è una qualità creata inerente all’anima del giusto, ma è la giustizia di Cristo al di fuori del giusto ma riferita al giustificato. Dio giustifica, in quanto non guarda al peccatore, ma guarda a Cristo giusto, ovvero guarda al peccatore, che non è giusto in se stesso, ma in rapporto a Cristo. Il giusto pertanto è ad un tempo peccatore, non semplicemente prono al peccato, bensì perennemente in stato di peccato. Per questo non si danno opere meritorie della salvezza, se non la fede di essere salvi nonostante si resti peccatori.

lutero dottrinaNel suo rapporto con Dio Lutero non riuscì mai a realizzare l’equilibrio caratteristico del cattolicesimo. Partito da giovane da un sentimento di terrore e di disperazione nei confronti di Dio, cosa che egli divenne insopportabile e che credeva erroneamente essere la concezione cattolica, col famoso episodio della Torre, credette di trovare la soluzione in una presuntuosa certezza di salvarsi senza le opere e senza meriti. Non ha mai capito che cosa è il timor di Dio e lo ha sempre confuso con un’irrazionale terrore ed esagerato scrupolo. Per questo, non è mai riuscito ad armonizzare il timore con la confidenza, per cui, eliminando il timore, è caduto nella presunzione e nella sicumera, senza peraltro mai riuscire, come testimoniano molti episodi della sua vita, ad eliminare del tutto la disperazione e il senso di colpa. Da qui la sua dialettica paradossale di coesistenza di peccato e di grazia, di innocenza e di colpa, di pace e di tormento, che pare in qualche modo preannunciare la tenebrosa mistica di Jakob Böhme e la dialettica hegeliana.

Si aggiunga l’eccessiva, ben nota, preoccupazione di Lutero per il proprio io, che lo portò alutero dottrina 2 riassumere tutto il cristianesimo nel problema della giustificazione e della propria salvezza, quando invece la mira ultima del cristianesimo è la contemplazione e la visione di Dio. Il cristianesimo non porta al ripiegamento su se stessi, quasi fossimo il centro della realtà, ma all’apertura umile e generosa a Dio e al prossimo. Al fine di correggere questi errori di Lutero, Padre Tyn ha indagato a fondo sulla natura, l’azione, i princìpi, i fini e le specie della grazia divina e sulla natura, i princìpi, il funzionamento e i fini del libero arbitrio. Ciò lo ha condotto anche ad illustrare la natura, i princìpi e i fini dell’abito, della legge e dell’atto morale, come docente di teologia morale, nonchè sulle virtù naturali e soprannaturali, sulla vita spirituale e sulla beatitudine. Approfondendo il discorso, Padre Tyn è arrivato alle radici metafisiche della morale con interessanti studi sull’intelletto, sulla conoscenza con acute confutazioni dell’idealismo e sulla volontà, dimostrando i fondamenti razionali della libertà.

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La monumentale opera del Servo di Dio Tomas Tyn sulla metafisica della sostanza

Da qui all’indagine sulla natura umana e sulla persona il passo è stato breve, ed ecco il suo magistrale trattato di circa 1000 pagine Metafisica della sostanza. Partecipazione ed analogia entis, grandiosa e minuziosa indagine che conduce il teologo ad approfondire il rapporto fra l’essere per partecipazione e l’essere per essenza, nonchè ai gradi analogici metafisici della persona. Col che abbiamo uno sguardo amplissimo ed articolato sul rapporto dell’uomo con Dio. Padre Tomas oppone così alla visione luterana del rapporto di Dio con l’uomo la giusta concezione cattolica fondata su di una nozione analogica della causalità efficiente, per la quale la causa prima divina, nella fattispecie la grazia, causa l’atto libero dell’uomo come causa dei suoi atti — la premozione fisica — e quindi come causa meritoria non di dignità (de condigno), come la causalità divina di Cristo, ma di congruità (de congruo), sicchè la grazia come dono creato non toglie la tendenza al peccato, ma toglie il peccato mortale, incompatibile con la grazia, mentre essa può coesistere col peccato veniale.

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Martin Luther affigge le sue tesi sul portale della cattedrale, immagine tratta dall’omonimo film [vedere qui ]

Padre Tomas corregge il tormentato e presuntuoso rapporto luterano con Dio mostrando come nel processo della giustificazione armonizzino l’opera della grazia e della fede con quella della ragione, delle opere e del libero arbitrio e come quindi il timore deve moderare la confidenza, considerando il peccato e la divina giustizia, mentre la confidenza deve moderare il timore considerando la divina misericordia. Temere senza confidare porta alla disperazione. Confidare senza temere porta alla superbia.  Col suo rispetto sia per la Scrittura che per la Tradizione, sia per Cristo che per la Chiesa, Padre Tomas mostra come il cristianesimo di Lutero del sola Scriptura e di un Cristo senza Chiesa è un cristianesimo dimidiato e quindi falso, oggi pericolosamente rappresentato dal modernismo esistenzialista ed idealista, falso interprete delle dottrine del Concilio. Così il teologo domenicano ci indica inoltre il vero cammino dell’ecumenismo con i protestanti: riconoscimento delle verità comuni, ma anche grande franchezza nel richiamare i fratelli separati dalla strada dell’errore verso la via della verità.

Padre Tomas Tyn ci fa capire che è falsa l’idea oggi diffusa che essere protestanti sia semplicemente un modo diverso di essere cristiani, e non piuttosto un modo difettoso ed incompleto. Essa è contraria all’ecumenismo insegnatoci dallo stesso Concilio, il quale proprio nel documento sull’ecumenismo esprime il dovere dei non-cattolici di cercare la piena comunione con la Chiesa.

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Tomba del Padre Tomas Tyn nella città tedesca di Neckargemünd

Concludendo questo breve ritratto, possiamo dire che la figura luminosa e santa di Padre Tomas, ricca di doni dello Spirito Santo, si impone in una situazione ecclesiale di interni conflitti come quella attuale, per l’imparzialità e il superiore equilibrio della sua visione cattolica, che sintetizza l’istanza della tradizione con quella del progresso, il rispetto per i valori immutabili con la sincera adesione al messaggio evangelizzatore del Concilio Vaticano II, la fedeltà a San Tommaso d’Aquino Doctor Communis Ecclesiae con un’ampia conoscenza critica del pensiero moderno, un amore adamantino per la verità con la pratica della più generosa carità, che lo ha condotto all’esercizio di quelle virtù eroiche, testimoniato da tutti coloro che lo hanno conosciuto ed hanno beneficato del suo sapiente e dotto ministero di sacerdote di Gesù Cristo.

Fontanellato, 22 dicembre 2014

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Introibo ad altare Dei

 

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