Le Leghe Gay non sono libertà e progresso ma emblema di una società vecchia e decadente

LE LEGHE GAY NON SONO LIBERTÀ E PROGRESSO MA EMBLEMA DI UNA SOCIETÀ VECCHIA E DECADENTE

[…] nella società ellenica non ancora scivolata nella decadenza che ne marcò la fine, l’omosessualità era una fase che segnava un passaggio tra l’età dello sviluppo, l’adolescenza e la giovinezza, non era affatto considerata uno stato permanente; ed in certi luoghi e condizioni si collocava nei piani formativi del rapporto maestro-allievo […] era praticata con discrezione e nient’affatto ostentata con l’orgoglio narrato oggi dalle Leghe Gay, che oltre ai manuali scientifici sembrano voler riscrivere anche quelli della letteratura classica. L’ostentazione nasce nella società ellenica e in quella romana al massimo apice della decadenza, quando nel normale ordine sociale si collocano la pedofilia, le orge, i rapporti sessuali propiziatori con gli animali, le figlie vergini iniziate dal padre e le madri pompeiane che svezzavano i figli adolescenti.

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Molte riviste on-line cattoliche tendono a trattare il tema dell’omosessualismo e della cultura del gender in termini prettamente politici, buttando tutto in politica, cosa che a volte fanno persino alcuni vescovi. Ecco allora che la dottrina e la pastorale non è più il vero oggetto ed il centro dei loro discorsi,Levi tutt’altro diviene pretesto per suffragare idee politiche più o meno soggettive. Mentre per noi certe tematiche allarmanti non sono terreno per scontri politici né pretesti per fare politica o peggio per intrufolarsi nella politica e mescolare di manico nel suo pentolone. Il terreno della buona battaglia, per noi, dovrebbe giocarsi tutto sul piano metafisico e su quello dell’etica, della morale e della tutela della coscienza cristiana oggettiva, quindi del riconoscimento all’obiezione di coscienza verso certe leggi in aperto e netto contrasto con ciò che per noi cattolici è intangibile e inalterabile diritto divino. Questo il motivo per il quale affermo che certi drammi della società contemporanea non dovrebbero mutarsi per taluni cattolici, peggio per certi vescovi, in un pretesto per fare pura politica, pur di non adempiere al loro naturale compito: fare pastorale e dottrina sociale della Chiesa, passare più tempo, come vescovi, a formare il proprio clero, ad ascoltare i sacerdoti, a curare la porzione del Popolo di Dio a loro affidata, anziché trafficare con politici, politicanti e giornalisti dietro il pretesto di “buone battaglie” che celano non di rado solo forme di episcopale egocentrismo.

Non rileggo mai i miei libri pubblicati, giunti di prassi alla stampa anche dopo anni di letture e di revisioni. In questi giorni sono però ricaduto su alcune miei pagine scritte tra il 2008 ed il 2009, poi pubblicate in seguito in un mio libro edito nel 2011: E Satana si fece Trino. 

Vorrei proporre ai lettori uno stralcio tratto da quella mia opera nella quale analizzavo e discutevo, anni prima di certi eventi e leggi, sul pericoloso strapotere delle lobby gay. Delle Lobbyes che oggi hanno trovato un naturale “covo di vipere” velenose e agguerrite nel Parlamento di Strasburgo e che stanno tentando di instaurare una vera e propria dittatura del gender a colpi di leggi inique e moralmente inaccettabili sotto ogni profilo umano e cristiano.

Per leggere una parte tratta da questa opera, cliccare sotto

E SATANA SI FECE TRINO – pag. 268-276

card. Ratzinger

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Antonio Livi e Giuliano Ferrara: pastori, teologi ed atei devoti

ANTONIO LIVI E GIULIANO FERRARA:
PASTORI, TEOLOGI ED ATEI DEVOTI.
DUE MONDI E DUE LINGUAGGI DIVERSI

 

In risposta ad un articolo del quotidiano Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara:

Nella celebre intervista concessa a Eugenio Scalfari, Bergoglio arriva a sostenere che “il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza”. Quindi, per il Papa, che fa dell’antropocentrismo spinto e della “teologia dell’incontro” la cifra distintiva del suo pontificato, sparisce la finalità redentiva della kenosis del Figlio. Cristo si è incarnato per redimere l’uomo dalla schiavitù del peccato originale (anche questo sparito dal “magistero” bergogliano in luogo di un inaccettabile e pernicioso cainismo) e, attraverso la croce, farlo rinascere alla vita nuova della Risurrezione. Questo dice il cattolicesimo. Qui e solo qui è possibile la vera fratellanza in Cristo che non è quella umanitarista da ong e sentimentalista, tanto sbandierata quanto inaccettabile, di Papa Francesco [articolo integrale QUI].

 

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

ferrara de Mattei

il direttore del Foglio Giuliano Ferrara e lo storico Roberto de Mattei dell’Università Europea di Roma, durante una conferenza presso la Fondazione Lepanto

Il mio amico Giuliano Ferrara dice, anche in questa occasione, cose giustissime, ma come sempre le dice da un punto di vista che non mi coinvolge. Lui e tanti altri che analizzano e commentano le azioni pubbliche e le presunte intenzioni di Papa Francesco non parlano da credenti che si rivolgono ad altri credenti ma da intellettuali; da giornalisti, sociologi, uomini politici che si rivolgono a un’indeterminata “opinione pubblica” che dovrebbe, secondo loro, essere interessati a sapere che cosa avviene nella Chiesa “vista da fuori”. Pensano che tutti, anche i credenti, dovrebbero prendere posizione ogni giorno pro o contro le novità che si registrano all’interno del mondo ecclesiastico, approvando o disapprovando ogni apparente nuovo orientamento delle gerarchie ecclesiastiche in materia di dottrina, di morale, di liturgia. Per aiutare questa indeterminata “opinione pubblica” a prendere posizione, questi opinionisti ricorrono alle medesime categorie ermeneutiche che valgono per valutare la dialettica culturale, economica e politica, ossia la lotta per il potere, le rivendicazioni di diritti ancora non rispettati, le spinte riformatrici e le resistenze conservatrici. Insomma, sono notizie e commenti che non mi interessano più di tanto, perché a me della Chiesa interessa soltanto ciò che la Chiesa veramente è.

amo la mia chiesaIl mio punto di vista, quello per cui amo la Chiesa e da sempre mi adopero per servirla fedelmente, è il punto di vista teologale, mentre Ferrara e altri galantuomini come lui guardano sì con una certa ammirazione la Chiesa, hanno sì una buona conoscenza della sua dottrina, ma quando domandi loro se credono davvero che la Chiesa sia stata voluta da Cristo, il Verbo Incarnato, per annunciare a tutti gli uomini e in ogni tempo il Vangelo della salvezza e amministrare i sacramenti della grazia, loro onestamente riconoscono che non ci credono. Tutt’al più sono credenze che apprezzano intellettualmente, ma senza farle proprie.
Invece io mi ritengo credente proprio perché ho sempre creduto e continuo a credere la Chiesa come “sacramento universale di salvezza” e faccio mia la sua dottrina perché non dubito che essa sia la verità religiosa assoluta, rivelata da Dio stesso. E nella mia azione pastorale — l’insegnamento accademico, la catechesi, la direzione spirituale — mi rivolgo logicamente a chi vede la Chiesa dal medesimo punto di vista, perché questo è ciò che qualifica, nell’intelligenza, il vero credente, ciò che lo distingue dai simpatizzanti di ogni tipo, con i quali ci può essere la massima amicizia sul piano umano ma nemmeno un po’ di condivisione dei criteri con cui essi valutano gli eventi della Chiesa.

Indro Montanelli

Indro Montanelli [Fucecchio di Firenze 1909 – Milano 2001]

Giuseppe Prezzolini

Giuseppe Prezzolini [Perugia 1882 – Lugano 1982]

Io ricordo con stima e simpatia simpatizzanti della vecchia generazione, come lo scrittore Giuseppe Prezzolini o il giornalista Indro Montanelli — due toscani, ambedue amici di Paolo VI —, i quali somigliano tanto, per intelligenza e cultura, a quelli della generazione attuale, come il filosofo Marcello Pera, amico di Benedetto XVI; e lo stesso Giuliano Ferrara, estimatore di Benedetto XVI. Conosco bene e proprio per questo non posso dire che apprezzo i simpatizzanti dell’ultima ora, come Eugenio Scalfari e Marco Pannella, vecchi ideologi del radicalismo ateo e anticlericale e ora smaniosi di sembrare amici di Papa Francesco. La professionalità politica e giornalistica di tutti costoro e l’intenzione con la quale si interessano dei pontefici e della dottrina della Chiesa meritano, in maggiore o minor grado il rispetto da parte dei credenti, così come meritano di essere rispettate le decisioni dei Papi che stabiliscono e intrattengono rapporti personali di amicizia con questi cosiddetti “atei devoti”. Ma, allo stesso tempo io — ripeto — non condivido praticamente nulla di quello che dicono, e nemmeno cerco di simulare un consenso che non può esserci. Io la Chiesa e il Papa li vedo da un diverso punto di vista, che è quello della fede, e se ne parlo con altri credenti ne parlo con una diversa intenzione, che non è quella dell’informazione giornalistica, necessariamente legata alla superficialità dei rilevamenti sociologici e all’ipersensibilità — non intolleranza ma dipendenza — nei riguardi del potere temporale, sia civile che ecclesiastico. Io ripeto sempre, perché è assolutamente vero, che qualunque considerazione basata sui dati della sociologia religiosa non sfiora nemmeno la realtà effettiva della vita della Chiesa, la quale è un mistero soprannaturale del quale noi credenti abbiamo solo qualche indizio attraverso la fede nella rivelazione divina e poi qualche verifica sperimentale nell’esame della propria coscienza — esperienza mistica, ossia dell’azione della grazia in noi — e nell’azione apostolica rivolta alla salvezza del prossimo — esperienza pastorale —.

papi postconcilio 2Per essere fedeli a Gesù Cristo servono forse tante informazioni sulle decisioni pastorali o di governo di Papa Francesco? Servono tanti confronti con i suoi predecessori e tante analisi dei suoi discorsi? È davvero indispensabile per il singolo fedele cattolico riuscire a capire quale sia il trend dei mutamenti che si stanno verificando oggi nella vita della Chiesa da un punto di vista sociologico, come per esempio le statistiche relative alle presenze a Messa, ai nuovi battesimi e ai cosiddetti “sbattezzamenti”, alla crescita o alla diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose, sondaggi di opinione sulle norme di morale sessuale? Ai fini di una maggiore unione personale con Cristo è indispensabile essere al corrente di tutti i fatti di cronaca riguardanti le polemiche tra i teologi, le nomine e le destituzioni di alti prelati, insomma quelli che vengono presentati come interessanti retroscena della politica ecclesiastica?

Io ritengo, con fondati motivi pastorali, che per la vita di fede dei credenti sia indispensabile soltantolivi metafisica e senso comune possedere e incrementare una adeguata capacità di discernimento, quel sensus fidei che induce a dare poco ascolto al clamore dello scandalismo mediatico, ad evitare di essere attratti dalla vana curiositas. Mi interessa richiamare l’attenzione dei credenti ai documenti del Magistero solenne e ordinario e all’interpretazione autentica del Vangelo che essi e autorevolmente propongono. Solo così posso contribuire a evitare che la “fantateologia” dei Pastori irresponsabili e l’immagine mediatica della Chiesa, costruita sulla sola base delle sue vicende umane esteriori, si sovrapponga alla conoscenza di fede, ossia alla verità della Chiesa quale risulta dalla divina rivelazione.

Layout 1Come sacerdote, quando io parlo del Papa o degli sviluppi della dottrina cattolica ho a cuore le sorti della fede nel cuore delle singole persone, tenendo conto, necessariamente, del fatto che il racconto degli eventi ecclesiastici proposto dai media quotidianamente aumenta ogni giorno di più lo sconcerto e il disorientamento tra i fedeli. Ho collaborato l’anno scorso alla pubblicazione di un volume di vari autori — tra questi, il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli e lo storico Roberto de Mattei — che si intitola appunto Verità della fede: che cosa credere, e a chi [Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, vedere QUI]. In precedenza avevo pubblicato un vera e falsa teologiatrattato scientifico intitolato Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa” [Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012, vedere QUI]. Giuliano Ferrara ha dedicato a questo libro un intero paginone del suo giornale, Il Foglio, ma lo ha etichettato, già nel titolo redazionale come espressione del pensiero di una scuola teologica tradizionale, vicina all’establishment ecclesiastico. A parte che la verità dei fatti è proprio il contrario — all’establishment ecclesiastico, fatta eccezione per Papa Benedetto XVI, il mio libro non piacque affatto —, il disinteresse di Ferrara per gli argomenti propriamente teologici del testo era scontato. Dai giornalisti non credenti, anche se assai colti e sinceramente simpatizzanti com’è il valente direttore del Foglio, non mi aspetto alcun aiuto nella mia battaglia, che è squisitamente pastorale e si rivolge all’opinione pubblica cattolica con la speranza che qualcuno, tra quanti leggono e capiscono ciò che scrivo, possa essere ri-orientato all’essenziale della fede cattolica, smettendo di dare importanza alle cronache clericali e, peggio ancora, di dare credito alle dottrine dei falsi maestri della fede.

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Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuole approdare [Seneca, da Lettere a Lucilio, lettera 71]

Impresa ardua, direi una mission impossible, ma, oggi come ieri, ogni vera azione pastorale è come remare controcorrente, è come gettare la semenza nei solchi senza poter prevedere sapere se e in quale misura il seme germoglierà. Io so benissimo, perché vivo in mezzo alla gente, che l’opinione pubblica cattolica viene coinvolta da polemiche strumentali — suscitate cioè da interessi di potere — attorno ai discorsi del Papa e alle diverse interpretazioni che essi hanno avuto da parte di opinionisti che si dichiarano credenti ma in realtà professano, più che la fede cattolica, l’ideologia dei conservatori o dei progressisti, e che proprio per questo parlano, purtroppo, il medesimo linguaggio sociologico e politico che vien usato da quegli altri opinionisti che ho prima nominato, i quali si dichiarano non credenti e sono politicamente schierati o a destra o a sinistra e in quest’ottica osannano un papa ne criticano un altro, oppure passano dall’osannare a critica il medesimo quando le sue iniziative con sembrano andare più nel verso “giusto”. Per me, qualunque “verso” che a costoro sembri giusto a me non va bene comunque.

Io faccio un altro tipo di discorso. Ricordo ai credenti di ogni “tipo” gerarchico o cultuale, che un discorso o un gesto del Papa, chiunque egli sia, è da prendersi sul serio solo quando egli agisce presentandosi esplicitamente come supremo maestro della fede, cioè solo in quanto intende impegna formalmente l’autorità dottrinale che gli è propria. Non serve a niente stare ad analizzare l’opportunità o le intenzioni recondite delle sue quotidiane decisioni pastorali o di governo, e nemmeno è utile passare ogni giorno al setaccio i suoi discorsi occasionali, informali, omiletici, addirittura i colloqui privati.

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il finto monaco Enzo Bianchi vestito da abate in udienza dal Santo Padre Francesco. Questo sedicente priore della comunità multiconfessionale di Bose non ha mai ricevuto alcun ordine sacro né alcun ministero istituito, né mai ha professato i voti religiosi, è un laico auto elettosi suprema autorità di se stesso e presso il quale non pochi vescovi italiani mandano i propri seminaristi a fare esperienze di esotica spiritualità prima di ordinarli diaconi e presbiteri

Io ho criticato spesso — sulla Bussola Quotidiana e su L’Isola di Patmos alla quale Ariel S. Levi di Gualdo ha dato vita assieme a Giovanni Cavalcoli ed a me — la tendenza modernistica e in definitiva massonica di tanti loschi figuri che lavorano per una religione mondialistica umanitaria e attribuiscono al Papa le loro idee di riforma della Chiesa, per citarne alcuni tra i più celebri: il cardinale Walter Kasper, l’arcivescovo Bruno Forte, lo pseudo monaco Enzo Bianchi, il professor Melloni con la Scuola di Bologna che si arroga l’esclusiva dell’ interpretazione del Concilio eccetera. Ma io, rivolgendomi all’opinione pubblica cattolica, non posso azzardarmi a confermare che il Papa è davvero d’accordo con loro, perché ancora non ci sono atti ufficiali del magistero pontificio che documentino seriamente questo sospetto. Se ci fossero, saremmo di fronte a un vero e proprio scisma, ma sono convinto che ciò non accadrà. La Chiesa è di Cristo ed è indefettibile.

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Eugenio Scalfari, fondatore e direttore di un quotidiano che sulla Chiesa Cattolica ha lanciato per decenni intere vagonate di immondizie, oggi è un devoto ateo papolatra

Io, invece di fare il profeta di sventure per la Chiesa, come coloro che gridano: «ecco che siamo pieno scisma!», o invece di arruolarmi nell’esercito dei “papolatri” del momento che annunciano «ecco finalmente l’avvento della nuova Chiesa ecumenica e sinodale!», preferisco ricordare a tutti che le valutazioni del vaticanisti, la sociologia religiosa e la politica ecclesiastica hanno un interesse del tutto marginale nella vita cristiana, dove l’essenziale è la realtà concreta della vita di fede di ogni singola persona che deve accogliere nel suo cuore la verità divina che è la sola a garantire la salvezza. Per questo dico che la vita di fede del credente non può basarsi su sospetti o arrampicamenti sugli specchi nel commentare i discorsi non esplicitamente magisteriali del Papa attuale: si deve basare sempre e solo sul dogma, che si esprime in enunciati formali non suscettibili di interpretazioni contraddittorie, vale a dire delle formule dogmatiche.

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il sacerdote e teologo eretico Hans Küng

Per quanto possano essere o sembrare sconcertanti le azioni di Jorge Mario Begoglio, grazie a Dio tutti noi cattolici, ecclesiastici e laici, continuiamo ad avere come punto di riferimento certissimo e attualissimo il dogma, peraltro esposto e sintetizzato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che non è stato ancora abrogato né mai lo sarà; nessun papa e nessun concilio ecumenico o sinodo potrà infatti far propria la falsa teoria di Hans Küng secondo la quale il progresso dogmatico della Chiesa si attua mediante continue contraddizioni e superamenti dialettici, con una verità di oggi che nega quelle di ieri e così prepara il domani. Non siamo chiamati a rimpiangere Benedetto XVI od a rallegrarci che egli si sia dimesso e che al suo posto ci sia Francesco. Non possiamo pensare che quest’ultimo abbia beatificato Paolo VI e canonizzato Giovanni Paolo II per poi contraddire il loro magistero, ad esempio abolendo le norme morali della Humanae vitae e della Familiaris consortio. Nella vita e nell’opera di ogni romano pontefice ci sono sempre state ombre, oltre che tante luci, se sono poi stati canonizzati. Di loro, in ogni caso, si è servito Cristo per guidare la sua Chiesa, soprattutto con il ministero della dottrina della fede e l’efficacia soprannaturale dei sacramenti.

statua di pietro in cattedra

Statua di San Pietro sulla cattedra

Quello che il Papa fa e dice nell’esercizio del ministero petrino deve interessare tutti i fedeli — indipendentemente dalle diverse appartenenze all’interno della Chiesa, dal diverso feeling o da qualunque altra variabile sul piano umano — sempre e solo per un motivo di fede: perché Cristo stesso lo ha voluto come Pastore della Chiesa universale, ossia perché in modo eminente egli è davvero il “Vicario di Cristo”. Di conseguenza, so di poter dire e di dover dire a tutti i credenti che il Papa — chiunque egli sia in un dato momento della storia — non interessa, od interessa assai poco, come personalità umana o come “privato dottore”, cioè come semplice teologo, ma solo come supremo garante della verità divina affidata alla Chiesa dall’unico Maestro, che è Cristo. In questo senso dicevo prima che si può tranquillamente fare a meno di seguire le tante polemiche ecclesiastiche od ecclesiologiche e fidarsi dei documenti della vera fede, che sono a disposizione di tutti, ma non ovviamente sulle pagine del Foglio o della Repubblica o degli altri giornali.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

I precisi confini della infallibilità: il Sommo Pontefice come dottore privato

 — IN APPENDICE: INTERVISTA ALL’ARCIVESCOVO DI CHICAGO —

 

I PRECISI CONFINI DELLA

INFALLIBILITÀ:

IL SOMMO PONTEFICE COME

DOTTORE PRIVATO

 

Un problema delicato è dato dalle condizioni per le quali il Papa può entrare nel settore dottrinale senza essere infallibile. È allora il caso nel quale egli si esprime come dottore privato ovvero come semplice teologo. Qui egli non può valersi del carisma di Pietro, ma quello che dice dipende solo dalla sua sapienza umana, seppure fondata sulla fede. In questo campo egli può formulare opinioni o raggiungere certezze scientifiche, ma può anche errare, s’intende, teologicamente, ma non nella fede, perchè è protetto dal carisma di Pietro.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

statua di pietro

Papale Arcibasilica di San Pietro: la statua dedicata al Principe degli Apostoli

Sull’importanza e il senso da dare agli interventi, agli insegnamenti, alle affermazioni e dichiarazioni del Sommo Pontefice Francesco, si danno oggi notevoli dissensi in campo cattolico o fra gli stessi non-cattolici i quali, come è noto, sono frequentissimi e molto diversificati nella forma e nel contenuto, indirizzati al pubblico ed ai privati più diversi, cattolici e non-cattolici, facenti uso dei mezzi di comunicazione più diversi, frutti delle moderne tecnologie, insoliti rispetto agli usi dei Papi precedenti.

Molti entusiasti di Papa Francesco, prendono tutto quello che dice con fanatismo o finta adesione, senza vaglio critico, salvo poi fare come pare a loro o strumentalizzando quanto egli dice ad usum delphini, soprattutto se accontenta le loro voglie e le loro ambizioni. Altri, attaccati allo stile dei Papi precedenti, seguono o, si potrebbe dire, lo pedinano ogni giorno passo dietro passo con sguardo occhiuto e fucile puntato, sospettandolo di essere un Papa invalido, per coglierlo in fallo alla prima sua parola insolita, scorgendo in essa con acuta dietrologia oscure trame massoniche o segrete eresie luterane, comunque idee che risentono di quel Concilio criptoereticale tale fu a dire di costoro il Concilio Vaticano II. Essi ignorano che, come accennerò più avanti, il Papa non insegna la verità di fede, ossia, come si dice, non è “infallibile” solo quando proclama o definisce solennemente o da sè o attraverso un Concilio un nuovo dogma, ma, seppure a gradi inferiori e meno autorevoli, tutte le volte che egli ci istruisce come maestro della fede.

La condizione essenziale per il valore di questi livelli inferiori è che il Papa insegni la Parola di Dio, la dottrina e il mistero di Cristo e della Chiesa, il dato rivelato (Scrittura e Tradizione), i sacramenti, le virtù cristiane, la via del Vangelo e della salvezza, le verità o i dogmi della fede, gli articoli del Credo, ci si esprima come ci si vuol esprimere, non interessa. E non interessano neppure le circostanze, le modalità e i mezzi di queste comunicazioni, dalla l’enciclica, alla lettera pastorale, al motu proprio, all’udienza generale, all’omelia della Messa, al discorso, alla intervista giornalistica o alla telefonata. L’importante è che si tratti di queste materie, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente.

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Il Sommo Pontefice Francesco, immagini di repertorio

Un problema delicato, ed è il tema di questo articolo, è dato dalle condizioni per le quali il Papa può entrare nel settore dottrinale senza essere infallibile. È allora il caso nel quale egli si esprime come dottore privato ovvero come semplice teologo. Qui egli non può valersi del carisma di Pietro, ma quello che dice dipende solo dalla sua sapienza umana, seppure fondata sulla fede. In questo campo egli può formulare opinioni o raggiungere certezze scientifiche, ma può anche errare, s’intende, teologicamente, ma non nella fede, perchè è protetto dal carisma di Pietro.
Nel passato i Papi non ci hanno lasciato documenti che non fossero espressione del carisma di Pietro. Se prima di salire al soglio pontificio col nome di Pio II, Enea Silvio Piccolomini, come altri pontefici, avevano pubblicato loro scritti, una volta eletti Papi il loro insegnamento non fu generalmente che espressione del loro ufficio di Successori di Pietro e maestri della fede. Essi vollero cancellare l’aspetto umano del loro pensiero e non essere altro che tramiti dell’insegnamento del Vangelo.
Questo racchiudere tutta la propria attività di pensiero e di insegnamento nei limiti dell’ufficialità era probabilmente motivata nei Papi del passato dal timore che la manifestazione delle loro idee personali potesse essere scambiata per insegnamento pontificio, cosa che per la verità può effettivamente accadere nei credenti non sufficientemente preparati a distinguere pensiero teologico ed insegnamento di fede, ossia il Sommo Pontefice Francesco.

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Il Sommo Pontefice Francesco in uno dei suoi saluti spontanei informali

Diversamente invece, col secolo scorso, e precisamente con San Giovanni Paolo II, prende avvio l’uso del Papa che non si limita al suo ufficio pontificio, ma produce anche opere letterarie o teologiche sotto un profilo meramente umano. Da questo punto di vista è notevole è la trilogia cristologica di Benedetto XVI, circa la quale egli stesso invitò gli studiosi a discutere con lui. Segno evidente che egli con questi scritti non intendeva presentarsi come dottore universale ed infallibile della fede, ma semplicemente ed anche modestamente, come teologo tra i teologi, sebbene egli sia grandissimo teologo.
Credo che questo mutamento nell’attività intellettuale dei Papi sia stato motivato dal fatto che oggi la formazione culturale cattolica è maggiormente in grado di un tempo di chiarire al comune fedele la differenza tra il Papa come Papa e il Papa come dottore privato, benchè tuttavia il Papa attuale, con la varietà e l’aspetto insolito dei suoi numerosi e frequenti interventi, metta seriamente alla prova chi desidera distinguere in lui Simone – ossia Jorge Mario Bergoglio – che manifesta le proprie idee a volte discutibili, da Pietro maestro infallibile della fede.

Papa Francesco è arrivato in Brasile

Il Sommo Pontefice Francesco durante un colloquio informale con un giornalista brasiliano

Oggi appare più che mai urgente il problema di come possiamo distinguere in modo certo, adeguato e chiaro l’insegnamento di un Papa come Papa da un suo discorso o scritto teologico o letterario occasionale, improvvisato o estemporaneo. La distinzione è molto importante, poichè è evidente che mentre la parola di Pietro è vincolante e sempre vera, quanto invece pensa o dice Simone, ossia l’uomo Bergoglio, benché sempre degno di rispetto, non è detto che sia sempre indiscutibile, univoco e necessario alla salvezza. Al riguardo, possiamo rispondere innanzitutto che lo stesso Papa Francesco si premura solitamente di farcelo capire manifestando le sue intenzioni e a seconda delle circostanze. Siccome il suo ufficio ordinario è quello petrino, ordinariamente dobbiamo pensare che quanto egli esprime sia manifestazione di tale ufficio, soprattutto se si tratta di quelle materie di fede alle quali ho accennato sopra. Ma il livello di autorità del suo insegnamento lo possiamo dedurre anche dai suoi stessi contenuti e dal modo di esprimerli. Esistono infatti dottrine notoriamente teologiche e non magisteriali, dottrine che, se troviamo sulla bocca o negli scritti del Papa, sarà evidente che esprimono il suo pensiero semplicemente come dottore privato.

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Il Sommo Pontefice Francesco in un momento informale con dei giovani

Mettiamo per esempio che il Papa desse a Maria il titolo di “corredentrice” o che sostenesse con Sant’ Agostino che i dannati sono più numerosi dei beati o che la Sindone è veramente l’impronta del corpo di Cristo o che la Madonna appare veramente a Medjugorje o che Giuda è all’inferno o che alla resurrezione esisteranno gli animali o che gli angeli siano stati sottoposti da Dio all’inizio del mondo ad una prova di fedeltà o che il passaggio degli Ebrei dal Mar Rosso sia stato semplicemente un fenomeno miracoloso di marea favorevole o che Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre avevano un aspetto scimmiesco o che anche gli embrioni sono battezzati da Cristo o che ci sono state delle cose che Cristo non sapeva o che l’Anticristo è una singola persona o che i due “testimoni” dei quali parla l’Apocalisse sono i Santi Pietro e Paolo e così via. Tutte queste ipotesi sono indubbiamente compatibili con i dati di fede. Si tratta certo di dottrine rispettabili e probabili, ma che tuttavia non corrispondono in se stesse a delle vere e proprie verità di fede, in quanto non è possibile trovarle direttamente nè nella Scrittura nè nella Tradizione. Le fonti della Rivelazione potrebbero avallarle ma anche non avallarle. Al momento non è possibile saperlo con certezza e per questo il Magistero pontificio come tale non si pronuncia.

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Nel mese di febbraio 2014 il Sommo Pontefice Francesco ha voluto formalmente rinnovare il passaporto della Repubblica Argentina con il nome di Jorge Mario Bergoglio

Queste dottrine, tuttavia, grazie ad un ulteriore approfondimento teologico, potrebbero acquistare un domani un tale grado di probabilità, da divenire certezza. Per questo, è del tutto lecito sostenerle con la dovuta modestia ed è altrettanto lecito dissentire da esse con la dovuta prudenza, in attesa di un eventuale chiarimento. In tal caso il dibattito e il confronto tra le opposte opinioni, condotto nel rispetto reciproco e con metodi scientifici, aiuta a scoprire la verità, che forse però non verrà mai scoperta sino alla parusia.
Può anzi accadere che una tesi teologica ben dimostrata sia così bene accolta dalla Chiesa, tanto da salire al grado di dogma di fede definito, come è avvenuto per la tesi tomistica dell’anima unica forma corporis nel Concilio di Viennes del 1312 o dell’immortalità dell’anima nel Concilio Lateranense V del 1513.
Nulla e nessuno pertanto impedisce al Papa, come dottore privato, di inserirsi in questa ricerca e di partecipare alla discussione con gli altri teologi su di un piede di parità ed a suo rischio e pericolo, avanzando un suo modo proprio di vedere le cose e lasciandosi contestare nel caso i suoi argomenti si rivelino sbagliati o discutibili.
Può accadere inoltre che la sua opinione diventi particolarmente autorevole e persuasiva tra i teologi, ma opinione resta; per cui, benchè espressa dal Papa, non può assolutamente assurgere al livello di insegnamento pontificio ufficiale ed infallibile, si tratti di dogma definito o non definito.

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Il Sommo Pontefice Francesco in un momento informale in Piazza San Pietro con una coppia di sposi

Da notare che nel corso della storia i fedeli sono sempre andati soggetti ad un duplice rischio nei confronti delle idee espresse dal Papa. O quello di sottovalutarle e di diminuirne o restringerne l’autorità, con vari pretesti, o al contrario il rischio di quel fanatismo e di quella sudditanza supina, indiscreta, poco illuminata e anche interessata, che prende come indiscutibili anche le posizioni del Papa come dottore privato.
Tra i primi da tempi recenti ci sono quelli che restringono le note dell’infallibilità del magistero pontificio alle specialissime e rarissime condizioni stabilite dal Concilio Vaticano I, onde sentirsi autorizzati a negare l’infallibilità e quindi quanto meno a sospettare di falso o di falsificabilità le dottrine del Concilio Vaticano II, che sarebbero secondo loro solo “pastorali”, nonchè tutti gli insegnamenti ed interventi dei Papi postconciliari a qualunque livello o in qualunque forma, chiaramente non segnati da quelle caratteristiche.
Costoro credono all’immutabilità del dogma; ma quanto all’infallibilità del Papa e del Concilio, respingono la già citata Istruzione della Congregazione della Dottrina della Fede, aggiunta alla Lettera apostolica Ad tuendam fidem di San Giovanni Paolo II del 1998, nella quale si insegna, precisando la dottrina del Vaticano I, che il Magistero della Chiesa (Papa o Concilio), al di sotto dell’infallibilità eccezionale e solennemente definita, si esprime secondo altri due gradi inferiori di autorità, circa i quali il cattolico è certo che la Chiesa dice il vero autenticamente, definitivamente, irreformabilmente ed immutabilmente. Ora, il livello di autorità delle dottrine conciliari e dell’insegnamento dei Papi successivi fino all’attuale, appartiene a uno di questi due livelli.

General audience in Saint Peter's Square

Il Sommo Pontefice Francesco durante un momento informale in Piazza San Pietro

Altri invece, è un caso del nostro tempo, infetti da gnoseologie relativiste, soggettiviste o evoluzioniste, non credono all’infallibilità del Papa, per cui, se a loro pare che il Papa si ponga in contrasto o in rottura con dottrine precedentemente definite o tradizionali, ed il nuovo, così come lo intendono, è di loro gradimento, non si fanno scrupolo ad esaltare un Papa Francesco, che finalmente si è aggiornato, un papa “rivoluzionario”, che finalmente ha abbracciato la “modernità”, un Papa che sa “dialogare” con tutti.
Da questi fatti comprendiamo come sia facile per il fedele ed è possibile anche per un teologo imprudente, si tratti di un tradizionalista o di un progressista, giudicare non in base a criteri obbiettivi, ma ai propri gusti, per cui si nega l’infallibilità o la verità alle dottrine pontificie che non piacciono, anche se assolutamente vere; e per converso si considerano indiscutibili o “avanzate” o addirittura “rivoluzionarie” idee del Papa, fraintese e mal digerite, che il Papa ha espresso magari en passant e senza l’intenzione di insegnare verità di fede o solo per esprimere un’opinione o un’impressione personale.

Costoro, il lettore avrà già capito che sono i modernisti, in realtà, imbevuti di storicismo, non credono all’infallibilità pontificia, perchè non credono all’immutabilità della verità. Ma ciò non impedisce loro di assolutizzare come fossero dogmi certe affermazioni del Papa puramente contingenti ed occasionali, interpretate peraltro come se il Papa desse spazio alle idee moderniste.
Infatti lo storicista, come per esempio l’hegeliano, crede a suo modo nell’assoluto, solo che per lui l’assoluto non trascende la storia in un’immutabilità metafisica, ma non è altro che l’assolutizzazione dell’evento storico presente che lo interessa. Così per esempio, per la Scuola di Bologna, le dottrine del Concilio non fanno riferimento a nulla di immutabile e di sovrastorico, ma rappresentano l’evento epocale, rivoluzionario, escatologico e profetico del tempo presente. In tal senso per lo storicista, l’Assoluto stesso diviene col divenire storico. Nulla resta, nulla permane, ma tutto evolve nella storia, come storia e come Assoluto nella storia. Niente storia senza Assoluto, ma anche niente Assoluto senza storia.

papa bacia la mano

Il Sommo Pontefice Francesco durante un gesto spontaneo verso un gruppo di anziani ebrei reduci dai campi di sterminio

I modernisti non hanno rispetto del Papa come maestro della fede, per cui tendono a risolvere tutti i suoi insegnamenti in semplici opinioni teologiche, che essi quindi si permettono ora di accogliere, ora di contestare, come loro garba, come se fossero quelle di qualunque altro teologo. E questo perchè, come già faceva notare acutamente San Pio X nella Pascendi dominici gregis, essi sono dei “fenomenisti”, che sostituiscono l’apparire all’essere, ciò che sembra a ciò che è. Per loro non si danno quindi certezze oggettive, universali ed immutabili, ma tutto è opinabile, mutevole dipendente dai tempi, dai luoghi e dai punti di vista.
I modernisti si fingono discepoli ed ammiratori del Papa per qualche sua frase o gesto che sembrerebbe andar loro incontro. E purtroppo il Papa non sembra attualmente far molto per sfatare questa interpretazione e prender le distanze da questi falsi amici. Ma l’equivoco non può durare all’infinito. Presto il Papa, stanco dei loro approcci sempre più indiscreti, parlerà con voce franca e chiara. C’è da temere che a questo punto la loro finta ammirazione si muterà in odio. Questo voltafaccia del resto sarà in linea con i loro stessi camaleontici princìpi morali. E sono dell’idea che il Papa potrebbe correre pericolo per la sua stessa vita. Così, a quanto sembra, riuscirono a far morire di dolore Papa Giovanni Paolo I.
Se si tratta invece di altri argomenti, di carattere pratico o morale, a cominciare dagli atti più importanti del governo papale, alle direttive liturgiche, alle disposizioni pastorali, giuridiche, amministrative o disciplinari, qui il Papa è fallibile e può anzi mancare di virtù, di coraggio, di carità e di prudenza. Ma è sempre doveroso, se lo si ritiene utile o necessario, svolgere una critica garbata, modesta e rispettosa, come di figli verso il padre.

papa maradona

Il Sommo Pontefice Francesco durante un saluto informale al pibe de oro Diego Armando Maradona

Osserviamo a questo punto che, come emerge anche dai dotti studi di Antonio Livi ai quali rimando, la teologia è una scienza che, come tale, si accompagna all’opinione. Per questo, il Papa come dottore privato, può giungere a conclusioni teologiche scientifiche, ossia accertate e dimostrate, così come può limitarsi al campo dell’opinabile, del probabile, dell’ipotetico, dell’incerto.
La scienza ci dà l’evidenza mediata, riconducile a princìpi primi di ragione, di senso comune o di fede; ci mostra inconfutabilmente ciò che è vero. L’opinione, invece, senza potersi rifare a quei princìpi, ma basata solo sull’apparenza (δόξα, doxa), avanza argomenti probabili o, come dice Aristotele, “dialettici”, ossia che occorre verificare con ulteriori ricerche. Essi infatti hanno solo l’apparenza del vero e quindi l’opinione giunge conclusioni non certe, ma solo probabili.
La scienza è l’apparizione o la manifestazione (ϕαινόμενον fainòmenon) mediata del vero. L’opinione (δόξα) invece ci dà ciò che sembra vero (videtur). Ad un’ulteriore indagine si può scoprire o che è vero o che è falso. L’opinione si ferma all’apparenza. Solo la scienza ci fa distinguere con certezza il vero dal falso.

papa ranja

Il Sommo Pontefice Francesco saluta la Regina Ranja di Giordania durante un incontro ufficiale

La scienza è una, perchè una cosa o è o non è; non possono convivere due scienze contrapposte circa la medesima cosa. Le opinioni invece sono molte e possono legittimamente coesistere ed opporsi tra di loro, perchè di due opinioni opposte si suppone che non si sappia qual è quella vera, ma entrambe hanno l’apparenza della verità.
Da princìpi di fede è possibile ricavare in teologia l’opinione o la scienza: l’opinione, se il teologo non riesce a fare una deduzione rigorosa; la conclusione scientifica, invece, se riesce far tale deduzione. Un Papa può essere teologo nell’uno come nell’altro senso. L’infallibilità del suo carisma di maestro della fede non lo soccorre per nulla in queste indagini e in queste conclusioni, che sono rimesse invece totalmente alla sua sapienza umana, alla sua preparazione scientifica e al rigore logico del suo metodo.

Petrusgrab im Petersdom in Rom

Papale Arcibasilica di San Pietro: la Tomba del Principe degli Apostoli sotto l’Altare della Confessione

Papa Francesco non è un teologo accademico, come lo è stato Benedetto XVI, che ci ha lasciato come teologo privato preziosi libri di cristologia, ai quali ho già accennato. Papa Francesco invece è un teologo kerygmatico, un instancabile predicatore di quel Dio Incarnato, Gesù Cristo e del suo Spirito, che alimenta la sua vita intellettuale, il suo cuore, la sua passione di apostolo e di pastore, protesi alla salvezza di tutti gli uomini. Egli mi ricorda il Fondatore del mio Ordine, San Domenico di Guzmàn, del quale si diceva che “parlava o a Dio o di Dio”.
Anche per Papa Francesco, come per i Papi precedenti, occorre saper discernere il momento del suo approccio personale a Cristo, la sua sensibilità teologica, la sua devozione privata, il suo punto di vista umano particolare — che potremo anche accettare o non accettare, potremo discutere o approfondire liberamente di nostra scelta — dal maestro della fede, dal pastore e dottore universale della Chiesa, dal Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, il Testimone della Parola di Dio, della Scrittura e della Tradizione, che infallibilmente assistito dallo Spirito Santo, predica ufficialmente e pubblicamente per mandato di Cristo richiamando tutti gli uomini alla salvezza.

Fontanellato, 23 novembre 2014

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Autore REDAZIONE

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REDAZIONE

 

L’ARCIVESCOVO EMERITO DI  CHICAGO:

«IL SANTO PADRE HA CREATO DELLE ASPETTATIVE CHE NON PUÒ SODDISFARE»

 

cardinale georgeA distanza di un paio di giorni dalla pubblicazione di questo articolo del Padre Giovanni Cavalcoli, è stata pubblicata una intervista rilasciata dal Cardinale Francis George, arcivescovo metropolita di Chicago, da poco dimesso dalla cattedra di quella arcidiocesi per gravi motivi di salute; il porporato, ammalato di cancro, si trova infatti a vivere la fase culminante della sua malattia.

L’articolo integrale in lingua originale è consultabile QUI

Riportiamo sotto, tratta dal celebre blog di Sandro Magister, la traduzione italiana dell’intervista del Cardinale che abbiamo ritenuto opportuno inserire in appendice a questo nostro articolo.


di  +Francis George, omi

Posso capire l’ansia di certe persone.  A un primo sguardo non ravvicinato, ti può sembrare che Francesco metta in discussione l’insegnamento dottrinale consolidato. Ma se guardi di nuovo, soprattutto quando ascolti le sue omelie, vedi che non è così. Molto spesso, quando lui dice certe cose, la sua intenzione è di entrare nel contesto pastorale di qualcuno che si trova preso, per così dire, in una trappola. Forse questa sua simpatia la esprime in un modo che induce la gente a chiedersi se egli sostenga ancora la dottrina. Non ho nessun motivo di credere che non lo faccia. […]

Si pone allora la domanda: perché Francesco non chiarisce queste cose lui stesso? Perché è necessario che gli apologeti sopportino il peso di dover fare ogni volta buon viso? Si rende conto delle conseguenze di alcune sue affermazioni, o anche di alcune sue azioni? Si rende conto delle ripercussioni? Forse no. Io non so se lui è consapevole di tutte le conseguenze di quelle parole e di quei gesti che sollevano tali dubbi nella mente delle persone.

Questa è una delle cose che mi piacerebbe avere la possibilità di domandargli, se mi capitasse di essere lì da lui: “Si rende conto di ciò che è successo solo con quella frase ‘Chi sono io per giudicare?’, di come è stata usata e abusata?”. Essa è stata davvero abusata, perché lui stava parlando della situazione di qualcuno che aveva già chiesto pietà e ricevuto l’assoluzione, di qualcuno da lui ben conosciuto. È una cosa completamente diversa dal parlare di qualcuno che pretende di essere approvato senza chiedere perdono. È costantemente abusata, quella frase.

Ha creato delle aspettative attorno a lui che egli non può assolutamente soddisfare. Questo è ciò che mi preoccupa. A un certo punto, coloro che lo hanno dipinto come una pedina nei loro scenari sui cambiamenti nella Chiesa scopriranno che lui non è quello che credono. Che non va in quella direzione. E allora forse diventerà il bersaglio non solo di una delusione, ma anche di un’opposizione che potrebbe essere dannosa per l’efficacia del suo magistero. […]

Personalmente, trovo interessante che questo papa citi quel romanzo: “Il padrone del mondo”. È una cosa che vorrei domandargli: “Come fa a mettere assieme quello che lei fa con quello che lei dice che sia l’interpretazione ermeneutica del suo ministero, cioè questa visione escatologica secondo cui l’Anticristo è in mezzo a noi? È questo che lei crede?”. Mi piacerebbe fare questa domanda al Santo Padre. In un certo senso, ciò potrebbe forse spiegare perché egli sembra avere tanta fretta. […] Che cosa crede il papa circa la fine dei tempi? […]

Io non lo conoscevo bene prima della sua elezione. Ho saputo di lui tramite i vescovi brasiliani, che lo conoscevano di più, e a loro ho fatto molte domande. […] Non sono andato a trovarlo da quando è stato eletto. […] Papa Francesco non lo conosco abbastanza. Certamente lo rispetto come papa, ma mi manca ancora una comprensione di che cosa intenda fare.

traduzione a cura di Sandro Magister [vedere qui]

Servizio vigili del fuoco. Il Santo Padre Francesco ed il nuovo incendio mediatico: le offerte ai preti

«SERVIZIO VIGILI DEL FUOCO». IL SANTO PADRE FRANCESCO ED IL NUOVO INCENDIO MEDIATICO: LE OFFERTE AI PRETI

 

[…] a tutti i non pochi sacerdoti con funzione di parroci che vivono certe situazioni di disagio economico, vorrei lanciare sia un’idea sia un appello: quando vi arriva una bolletta della luce o del gas che non riuscite a pagare, mandatela alla Domus Sanctae Martae, indirizzata direttamente a Sua Santità il Sommo Pontefice Francesco, Città del Vaticano, accompagnata da questo biglietto: «Siamo i preti della Chiesa povera per i poveri e non abbiamo i soldi per pagare la bolletta della luce e del gas della chiesa parrocchiale, quindi rimettiamo il pagamento direttamente alla Sede Apostolica».

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

vigili del fuoco vaticano logo

stemma dei Vigili del Fuoco della Città del Vaticano

Nella sua omelia mattutina il Santo Padre ha detto: «Quante volte vediamo che entrando in una chiesa ancora oggi c’è lì la lista dei prezzi: per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa. E il popolo si scandalizza».

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Chi desidera leggere tutto il resoconto può collegarsi direttamente al sito de La Repubblica [vedere qui] divenuta ormai organo ufficioso della Santa Sede, non ultimo anche per avere un saggio di come certi discorsi finiscono poi riportati dalla grande stampa.

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Pare che il Santo Padre tenda ad una certa parzialità che lo induce a vedere le cose da destra ma non da sinistra. A questo si aggiunga che appena l’audience tende a calare, il Santo Padre se ne esce fuori con qualche frase ad effetto che fa subito il giro del mondo; e per giorni e giorni sono garantite le prime pagine dei giornali, che delle sue parole espresse non di rado con scarsa chiarezza prendono di prassi ciò che vogliono e con tutto il possibile beneficio d’inventario, specie quando il Santo Padre dice cose sacrosante e giuste, ma espresse però in modo sbagliato, creando così non pochi problemi di comunicazione e di recezione dei suoi stessi messaggi, perché i media finiscono col fargli dire ciò che lui non ha neppure mai pensato.

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I Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano montano il comignolo sul tetto della Cappella Sistina prima del conclave dei cardinali

Siccome ciò non può essere casuale, c’è da chiedersi: chi è il regista di certe strategie pubblicitarie, visto che di tali si tratta?

E “spara” oggi che ti “sparo” domani, se le sparate non dovessero più sortire effetto nei media assuefatti a tutte le peggiori droghe, tanto da richiedere dosi sempre maggiori di stupefacenti sempre più potenti, a che cosa dobbiamo prepararci?

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Il Santo Padre ha detto una cosa giusta espressa però nel modo sbagliato, puntando ancora una volta lo sguardo a destra senza però cogliere minimamente tutti i risvolti che si trovano a sinistra. Proprio come quel famoso «Chi sono io per giudicare?» lasciato tronco a metà, grazie al quale abbiamo potuto assistere per la prima volta nel corso della storia all’esaltazione di un pontefice sulle copertine delle riviste gay di tutto il mondo, mentre sacerdoti e teologi, presto costretti a calarsi nel ruolo di pompieri, spiegavano ciò che di giusto il Santo Padre intendesse dire con quella frase; e ciò spiegandolo non solo ai devoti fedeli, ma soprattutto ad un esercito di tracotanti ed aggressivi sodomiti impenitenti fieri ed orgogliosi d’essere tali, che su quella frase male compresa ci venivano a fare lezioni di ecclesiologia e di nuova morale cattolica [solo un esempio tra i tanti, qui] E lo abbiamo spiegato, il tutto, procacciandoci in risposta gli sberleffi dei laicisti e le aggressioni verbali di certi cattolici intransigenti o presunti tali che ci accusavano invece di «arrampicarci sugli specchi», di «difendere l’indifendibile» o di giocare ai «sofismi».

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Vigili del fuoco dello Stato della Città del Vaticano

Questo nuovo sport pontificio di prendersela periodicamente con i preti, stride parecchio col fatto che poi, al tempo stesso, egli parta senza esitare da Roma per andare a Caserta ad abbracciare gli eretici pentecostali, meritevoli peraltro del progressivo svuotamento delle chiese cattoliche nei paesi del Latino America, dove in alcune regioni, Argentina inclusa, si sono registrati cali di fedeli che sfiorano anche la percentuale del 30% …
… mi verrebbe voglia di affermare in tono grave che tutto questo grida quasi vendetta al cospetto di Dio, specie se consideriamo che per traghettare la barca di Pietro il Romano Pontefice Vescovo di Roma ha bisogno di noi preti brutti, sporchi e cattivi, non certo dei pastori pentecostali verso i quali è corso sorridente con l’abbraccio aperto ed il sorriso stampato in faccia, tra l’altro soprassedendo del tutto sul fatto che i membri di questa sètta sono degli straordinari procacciatori di quattrini e di ricchi creduloni da spennare come tacchini americani prima della grande Festa del Ringraziamento.

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Non so con qual genere di angelici fedeli il Santo Padre abbia avuto pastoralmente a che fare prima come sacerdote poi come vescovo; potrei presumere che non abbia avuto a che fare con quelli della Gerusalemme Terrena ma piuttosto con quelli della Gerusalemme Celeste, dove non c’è bisogno di pane, visto che in essa si vive di solo spirito nella beatifica contemplazione della eterna gloria di Dio.

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Io che invece ho sempre svolto il sacro ministero con gli uomini e le donne della Gerusalemme Terrena, mi sono ritrovano di fronte a tali forme di ingratitudine e di insensibilità verso la figura del sacerdote che benedico tutt’oggi Dio per avermi colmato dei necessari doni di grazia in virtù dei quali, se devo correre, mi prodigo a farlo soprattutto per ingrati, avari, egoisti … che dopo avere spremuto il prete come un limone ne gettano via la buccia, perché come ci insegna il Signore: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» [Mc 2, 17]. E per un pastore in cura d’anime, tentare di curare certi malati comporta spesso dolori, amarezze e delusioni che lasciano talvolta dolorosi segni addosso come marchi a fuoco, perché non pochi sono i malati che rifiutano il medico e qualsiasi cura, o che sfruttano il medico solo quando hanno bisogno.

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Vigili del Fuoco Vaticano 2

un mezzo dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano

Ho trascorso ore ad ascoltare e raccattare da terra delle mogli in pezzi umiliate e abbandonate da mariti sulla via dei sessant’anni che fatti quattro soldi hanno preso il largo con la segretaria di venticinque; a raccogliere i pianti di genitori con figli ingestibili dediti ai peggiori vizi; a confortare famiglie colpite dalla grave malattia di un loro congiunto ed a visitare e confortare il malato periodicamente in ospedale. Ho fatto alcune centinaia di chilometri per andare a visitare qualche ergastolano in un carcere di massima sicurezza, dopo avere impiegato tempo ed energie a chiedere il permesso di visita al magistrato di sorveglianza, non essendo cappellano di quel carcere e non avendo quindi per legge diritto di accesso. Ho dedicato giorni e giorni alla preparazione di certe omelie e catechesi per il conforto e la edificazione del Popolo di Dio. Sono sceso dal letto in piena notte per portare i Sacramenti ad un morente, ho fatto cinquanta chilometri all’andata e cinquanta al ritorno per andare a celebrare una Messa — senza che alcun buon fedele si domandasse se forse non era il caso di pagare le spese della benzina al prete — trascorrendo poi gran parte della giornata ad amministrare le confessioni ed infine, quasi di prassi, tornando a casa mi sono messo a lavorare fino alle due della notte, per poi alzarmi il mattino alle 7 e non certo a mezzogiorno. Non ho mai detto di no a nessuno che mi abbia cercato per un suo problema impellente, ed a quanto mi è dato sapere non sono poche le persone che —  grazie a Dio e bontà loro — vanno dicendo in giro che sono un buon prete affermando in tal senso di averlo sperimentato per loro esperienza personale …

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… c’è però un dato di fatto triste: quando nel bisogno mi ci trovo io, quando devo pagare delle bollette per dei costi di fornitura che non riesco a pagare, quando devo provvedere alle mie dignitose necessità e non certo ai miei vizi e lussi, due sole sono le porte alle quali posso andare a battere cassa: quella di mia madre e quella di mio fratello. Mi domando e vi domando: è giusto che una madre di 75 anni che riesce a vedere il figlio prete due o tre volte all’anno di sfuggita, debba arrotondare tutti i mesi le mie entrate consentendomi così di dedicarmi pastoralmente a persone che a fronte di qualsiasi bisogno umano e spirituale ritengono che per loro sia tutto quanto un diritto dovuto, ma che verso il cosiddetto “prete-limone” da spremitura ritengono però di non avere alcun genere di dovere? Penso che solo per questo mia madre — donna dura e dal carattere non facile — si guadagnerà il paradiso, avendomi dato tutto senza mai chiedermi niente; ma gli altri, quelli che dal prete pretendono tutto senza mai nulla dare in cambio, beneficeranno della stessa sorte felice, in quel loro sommo egoismo che genera una incorreggibile mancanza di generosità? O per dirla in altre parole: è giusto che io assista dei veri e propri eserciti di ingrati privi di riconoscenza verso il sacerdote, grazie ai soldi dell’onesto lavoro dei miei familiari che me lo permettono? Questo il motivo per il quale mi piacerebbe tanto chiedere al predicatore di Santa Marta — sempre ammesso che non sia troppo impegnato a parlare con l’ateo Eugenio Scalfari o con gli eretici della sètta pentecostale — se per caso sono diventato prete per risultare una tassa a vita per mia madre e per mio fratello, anziché per servire con i necessari mezzi la Chiesa universale e il Popolo che Dio le ha affidato; quel popolo che da sempre servo senza alcun risparmio di me stesso, ed il tutto fino a non facile prova contraria. O, più semplicemente, al Predicatore di Santa Marta vorrei chiedere: in che modo si può vivere nel 2014 con 800 euro al mese di stipendio percepiti dall’Ente Sostentamento Clero, con tutte le spese vive da pagare per il proprio mantenimento e con i cosiddetti fedeli sempre a mano tesa per i loro bisogni umani e spirituali, che però non hanno la minima bontà di remunarare il gravoso servizio pastorale del sacerdote, sempre sulla base del principio che a loro tutto è dovuto mentre invece al prete non è dovuto niente? Perchè, casomai non fosse chiaro, il fatto che io non abbia mai tempo per visitare o per dedicarmi ad una madre ormai anziana che pure mi mantiene, pur avendo sempre tempo per dedicarmi invece ad un fitto esercito formato anche e soprattutto di devoti fedeli ingrati, per me è stato ed è un problema oggettivo che più volte si è mutato in gravoso e doloroso quesito per la mia coscienza soggettiva, io che una coscienza ce l’ho e che la mia vita di prete la vivo sulla mia pelle e sul mio sangue e non certo sulle frasi popolari ad effetto pronunciate da un Sommo Pontefice che ha scelto di vivere dentro un albergo per essere più a contatto con la realtà, ma che dal rapporto con la realtà — stando fedelmente a certi suoi discorsi — sembra essere più distaccato di quanto invece non lo sono mai stati i suoi recenti predecessori che vivevano nel tradizionale appartamento a loro riservato nel Palazzo Apostolico.

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incendio

Vigili del fuoco all’opera

E siccome esercito da sempre anche il delicato ministero di confessore e direttore spirituale di numerosi sacerdoti sparsi per l’Italia, lo so bene io, nel segreto inviolabile del foro interno e nella segretezza del foro esterno, i dolori a volte lancinanti che vivono molti miei confratelli che oggi si sentono sempre di più bastonati e trascurati da chi invece dovrebbe seguirli e sostenerli … lo so io, quel che mi hanno detto molti di loro, quanto appunto il Santo Padre correva ad abbracciare gli eretici pentecostali, dopo avere ripetutamente bacchettato il proprio clero e dato ai preti degli untuosi. Cosa vera ma come sempre vera solo parzialmente, perché ormai la parzialità sembra divenuta un presupposto della pastorale di questo pontificato [vedere qui]. Anche in questo caso una domanda al Santo Padre sarebbe di rigore: posto che i peggiori untuosi sono da sempre a bivaccare dentro la curia romana e sino al più alto livello dentro il Vicariato di Roma, in un anno e mezzo, lui che ha potere di legare e di scogliere, quanti ne ha sbattuti fuori da casa sua, di untuosi? Perchè prima di dire ai preti sparsi per il mondo che certi preti sono untuosi, buon gusto ed equilibrio pastorale vorrebbero che fossero eliminati anzitutto gli untuosi di lusso che lui stesso si ritrova in casa propria e che ad oggi non sono stati ancora toccati. Anzi, sotto il suo pontificato, non pochi dei più untuosi in assoluto hanno fatto anche strepitose carriere, altri si sono invece affacciati direttamente con lui alla loggia centrale di San Pietro divenendo per questo dei veri intoccabili per un semplice affaccio in mondovisione.

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E non tocchiamo il tasto dolente dei “poveri” tanto cari alla omiletica del Santo Padre, perché sono convinto che egli ignori totalmente di quanto spesso, alla fine delle Sante Messe, appena giunti in sacrestia, siamo presi d’assalto e molestati con pianti da attori professionisti da parte di “poveri” che vengono a chiederci danaro con in tasca i telefoni cellulari che noi non abbiamo, che nelle proprie case hanno mega maxi schermi che noi non abbiamo, che fumano le sigarette di marca che noi non fumiamo, che ci vengono a chiedere di pagargli la bolletta della luce mentre nelle loro case trionfano tutti gli strumenti elettronici di ultima generazione che noi non possediamo, o che perlomeno, sia io sia molti miei confratelli, non abbiamo, perché non possiamo assolutamente permetterci. E vuole sapere, il Santo Padre, questo genere di arroganti accattoni che rivendicano il diritto ad avere tutto il superfluo, che si acquistano il voluttuario e che poi vanno alla Caritas ad esigere rifornimenti di generi di prima necessità, in che modo ci bacchettano quando giustamente gli diciamo di no? Sbattendoci in faccia che … «Papa Francesco non è una bestia come voi preti, lui ama i poveri!». E da me, più di uno, si è sentito rispondere: «Bene, allora vai in Vaticano ed i soldi per comprarti le sigarette e per rifarti la carica del tuo nuovo telefono cellulare da 500 euro, chiedili al Santo Padre, perché io uso da due anni un telefono cellulare che a suo tempo ho comprato in un discount al prezzo di 48 euro».

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Tutt’altra cosa i veri poveri che vivono invece con tale disagio la propria situazione che dobbiamo essere noi a capire che hanno bisogno, perché non sono neppure capaci a chiedere aiuto; e dinanzi a quelle persone, ripetutamente, mi onoro in sacerdotale coscienza di essere rimasto io senza i soldi per poter poi provvedere al mio necessario, nella ferma convinzione di non avere compiuto nulla di eroico ma fatto solo il mio dovere di prete.

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Un mezzo dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano in Piazza San Pietro

In fede e verità posso e debbo dire che purtroppo, non una sola delle numerose persone che ho aiutato nel corso degli anni, si è mai premurata di domandarmi se avevo bisogno di qualche cosa.

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Il Santo Padre, così toccato dalla sensibilità di un popolo riguardo il quale andrebbe anzitutto stabilito se è veramente il Popolo di Dio oppure se è semplicemente popolo e basta, se non peggio popolo giacobino, è informato di quanto alto sia il numero di preti che hanno trascorso la propria vita a servire gli altri, spesso privando se stessi pure del necessario, ma che nella vecchiaia si sono ritrovati ammalati, soli e totalmente abbandonati? E quale popolo ha gridato allo scandalo, dinanzi a vecchi preti morti senza che fosse neppure tutelata la loro umana dignità?

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Qualcuno ha spiegato al Santo Padre come mai la Conferenza Episcopale Italiana ha destinato una parte del cospicuo importo dell’Otto per Mille che percepisce dallo Stato attraverso il gettito fiscale dei contribuenti, per coprire tutti i preti con una polizza sanitaria stipulata con la Cattolica Assicurazione? La Conferenza Episcopale lo ha fatto per un motivo molto semplice: perché nel tempo sono stati non pochi i preti che navigando in situazioni economiche tutt’altro che floride, sono morti prima di riuscire ad avere una visita specialistica o prima di fare delle analisi cliniche. E coloro che non avevano fratelli o sorelle di buon cuore che li hanno assistiti, sono andati incontro ad una brutta morte dimenticati nella corsia di un reparto di geriatria dall’esercito di persone che per tutta la vita loro hanno assistito come dei veri padri premurosi.

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Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano nel cortile di San Damaso

Ma veniamo ai “tariffari” per i quali si è levato solenne da Santa Marta l’ennesimo grido di disappunto che ha sortito l’effetto di far passare il Santo Padre per giusto castigatore dei cattivi costumi del clero, ed i suoi preti per degli irredimibili sporcaccioni. È vero: molte diocesi hanno stabilito non dei prezzari, ma delle offerte minime da lasciare alle parrocchie in occasione di certe celebrazioni, ad esempio per i matrimoni. E sulla parola “matrimoni” apriamo adesso il capitolo dolente …

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… il Santo Padre lo sa che cosa è, specie da Roma in giù, un matrimonio? Il Santo Padre, così preoccupato di un non meglio precisato popolo che si scandalizza, è informato che nessuno si scandalizza invece dinanzi a spose che spendono di media non meno di 1.000 euro solo per l’acconciatura del parrucchiere, che il servizio del fotografo costa di media sui 1.500 euro, stampa delle foto ed album del matrimonio escluse le quali a parte a parte costano migliaia e migliaia di euro; che la ripresa filmica del matrimonio ammonta a circa 3.000 euro? È informato, il Santo Padre, che certe spose entrano in chiesa con un vestito che costa 10.000 euro che sarà indossato solo quella volta e poi mai più? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono tra i 5.000 ed i 10.000 euro per le sole bomboniere da regalare a invitati ed amici e che organizzano pranzi di nozze per una media di 150/250 invitati al costo di 80/100 euro a persona, ammontanti all’incirca a 15.000/25.000 euro per il solo pranzo di nozze? È informato il Santo Padre che certi sposi spendono 5.000 euro solo per tre minuti di fuochi artificiali?

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Un mezzo dei Vigili del Fuoco dello Stato della Città del Vaticano davanti al Palazzo del Governatorato

Il Santo Padre, è mai stato informato da qualche esponente di questo popolo scandalizzato dai preti, che le persone che fanno queste spese folli, che dentro le chiese facevano attaccare ai cineoperatori fari a giorno che succhiavano corrente a vortice, al povero parroco sottoposto tra l’altro a spese e consumi, non dicevano neppure «grazie!»? E lo sa, il Santo Padre, perché molti degli esponenti di questo popolo scandalizzato dai preti, che pure per un matrimonio hanno speso l’equivalente del costo d’acquisto di un appartamento, non dicevano neppure «grazie!»? Semplice il motivo: ma perché … «la Chiese deve!» e «i preti non devono chiedere niente», anzi «dovrebbero essere poveri».

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Ecco perché, giustamente, molte diocesi hanno stabilito delle quote minime di offerta da lasciare alla parrocchia in occasione della celebrazione di certi Sacramenti, soprattutto per i battesimi ed i matrimoni. E non l’hanno fatto perché i preti sono assatanati di soldi ma per evitare che certi parroci, dinanzi a persone che per un matrimonio hanno bruciato 100.000 euro di spese, non riconoscessero al prete neppure la dignità riconosciuta anche all’ultimo parrucchiere di provincia che gioca a fare il grande stilista acconciatore, lasciando al primo anche la mancia per il ragazzo di bottega, ed al secondo, ossia al brutto e sporco prete, cattivo e affamato di soldi, la bolletta della luce della chiesa da pagare, ed ancora ripeto: senza neppure un «grazie», perché «la Chiesa deve» e perché «i preti dovrebbero essere poveri».

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Domandi il Santo Padre a molti parroci, quante volte è accaduto che gli sposi abbiano dato 1.000 euro in compenso a organista, violinista e soprano, mentre al parroco o al rettore della chiesa che ha osato dirgli: «Ma una piccola offerta per le spese di mantenimento della chiesa, la volete lasciare?», hanno risposto andando a dire in giro per mezzo mondo che «il prete ha osato chiedere persino i soldi». E chiudiamo qua il discorso, senza toccare neppure la voce spese dei fioristi per l’addobbo della chiesa.

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Il Santo Padre Benedetto riceve in omaggio e indossa un casco dei Pompieri dello Stato della Città del Vaticano

Queste le persone, questo il popolo che si scandalizza e che ancora una volta ha trovato autorevole voce di protesta e di condanna verso i preti da parte del Santo Padre che pare davvero intenzionato a piacere a tutti, soprattutto ai non cattolici, meno che ai suoi devoti e fedeli servitori, ai quali dispensa periodiche frustate che non hanno né la profondità, né l’amore, né lo spessore pastorale di una enciclica scritta in toni decisi e duri, ma veramente e profondamente amorevoli, come la Ad catholici sacerdotii del Sommo Pontefice Pio XI [vedere qui].

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Certe pastorali del Santo Padre Francesco sembrano fatte più per piacere a tutti gli irriducibili anticlericali di questo mondo, anziché risultare preziose ed efficaci per la correzione del clero, che specie di questi tempi non è affatto esente da inadeguatezze, errori e vizi d’ogni mala sorta, avarizia e attaccamento al danaro inclusi.

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poste vaticane

Cari Parroci, indirizzate le bollette della luce e del gas delle vostre chiese al Sommo Pontefice Francesco, Domus Sanctae Martae, Città del Vaticano

Alla fine dello scorso inverno un mio confratello, parroco di una chiesa del nord dell’Italia, dove il clima invernale è particolarmente duro, mi disse con grande preoccupazione: «… ad aprile ho chiesto un prestito alla banca per pagare il gas del riscaldamento». Questo santo uomo di Dio, con una temperatura spesso al di sotto dello zero, nella propria canonica teneva il riscaldamento spento ed aveva messo una brandina nella grande cucina dove c’era una vecchia stufa a legna; e lì in pratica viveva d’inverno, bruciando la legna da lui stesso raccolta in giro con le sue mani. Però teneva acceso il riscaldamento della chiesa per riscaldare i fedeli e quello delle due sale parrocchiali dove facevano il catechismo i bambini. Anche i genitori di quei bambini che andavano al catechismo facevano parte del popolo scandalizzato di cui parla il Santo Padre nella sua omelia ad effetto; ed anche loro, per festeggiare la Prima Comunione dei loro bimbi, hanno speso tanto e quanto hanno voluto, ma nessuno si è però domandato se il parroco aveva o no i soldi per pagare la bolletta del gas, sempre sulla base del solito principio: «La Chiesa non deve chiedere ma solo dare» … «i preti devono essere poveri» … e poi, è lo stesso Santo Padre che animato da grande anelito ha detto subito: «Ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri» [vedere qui] …

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… e lo stesso Santo Padre concedeva poco tempo dopo “in affitto” la Cappella Sistina in uso alla Porsche per un evento di beneficienza a favore dei poveri [vedere qui]. Anche in questo caso sorge però una domanda: i parroci delle parrocchie povere che non hanno a loro disposizione una Cappella Sistina da dare in affitto a ricchi privati per scopi benefici al fine di ricavarne danaro per le mense dei poveri, potrebbero ricavare qualche cosa affittando le loro chiese, per esempio a …

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A questo mio confratello che domandò un prestito alla banca per pagare il gas usato in inverno per riscaldare i fedeli ed i loro figli ed a tutti i non pochi sacerdoti che vivono certe situazioni di disagio economico, vorrei lanciare sia un’idea pertinente sia un appello: quando vi arriva una bolletta della luce o del gas che non riuscite a pagare, mandatela alla Domus Sanctae Martae indirizzata a Sua Santità il Sommo Pontefice Francesco accompagnata da questo biglietto: «Siamo i preti della Chiesa povera per i poveri e non abbiamo i soldi per pagare la bolletta della luce e del gas della chiesa, quindi rimettiamo il pagamento direttamente alla Sede Apostolica».

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Copertina - Ariel S. Levi di Gualdo - prete disoccupato

Prete disoccupato, omelie sul Vangelo [chi lo desidera può anche richiederlo scrivendo a isoladipatmos@gmail.com]

Chi legge certi miei scritti e certi miei libri, vi troverà indicato e spiegato, ed in modo anche molto severo, quanto sia per sua natura devastante un prete attaccato al danaro, un prete avido e avaro, un prete non generoso, un prete nato in una famiglia povera entrato in seminario con le pezze attaccate addosso e mantenuto agli studi dal buon cuore della diocesi e dei benefattori, che alla sua morte lascia eredità milionarie agli amati nipoti; e chi vuole approfondire questo discorso può procurarsi il mio libro «Prete disoccupato, omelie sul Vangelo» [vedere qui], ed andare a leggere l’omelia nella quale parlo dell’obolo della vedova e nella quale le mie critiche a certi malcostumi economici e finanziari del clero sono precise e severe, ma con una differenza: sono fatte con spirito pastorale e mirate a indurre certi miei confratelli alla riflessione ed alla salvezza delle proprie anime, non sono mirate a far sì che la anticlericale Repubblica o che la massonica Stampa esaltino certe sparate a zero fini purtroppo a se stesse.

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Detto questo devo però vedere, analizzare e parlare di tutti i risvolti della situazione, senza sorvolare sulla mancanza di generosità da parte di certi fedeli o presunti tali, che per organizzare le feste che seguono alla celebrazione di certi Sacramenti spendono somme di danaro davvero scandalose e che al tempo stesso, se non sono richiamati od obbligati a farlo, non lasciano neppure un centesimo alla chiese parrocchiale per le molte spese che questa deve sostenere, anzi, come già ho detto: con rara strafottenza non ti dicono neppure grazie …
… ebbene mi domando e domando, a questi fedeli o pseudo tali, il Santo Padre non intende proprio tirare le orecchie, impegnato com’è a tagliarle invece direttamente i suoi preti?

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Esercitando la libertà riconosciuta ai figli di Dio e concessa anche ai sacerdoti, in questo mio articolo ho sollevato tutte le perplessità del caso sul Sommo Pontefice che si esprime per mezze frasi ad effetto mediatico od attraverso espressioni non sempre felici pronunciate come dottore privato; e che come tale è criticabile con tutto il più profondo e devoto rispetto, senza che mai la sua apostolica autorità sia messa minimamente in discussione, ed in specie quando parla come supremo custode del deposito della fede, che è naturalmente tutt’altra cosa, rispetto ai predicozzi mattutini confezionati alla Domus Sactae Martae per la gioia ed il gaudio della stampa laicista, anticlericale e massonica, forse per la presumibile opera ed il devastante suggerimento di qualche “stratega” gesuita populista che lo consiglia a dir poco male come esperto di immagine e di comunicazione?

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cliccare sotto per ascoltare il corale Tu es Petrus – di  Marco Frisina

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La verità assoluta. Il Santo Padre Francesco ed Eugenio Scalfari

LA VERITÀ ASSOLUTA.

IL SANTO PADRE FRANCESCO ED

EUGENIO SCALFARI

 

[…] Scalfari sembra chiedere al Papa se si può ammettere un certo relativismo delle verità. Il Pontefice avrebbe potuto polemizzare col relativismo, come ha fatto Papa Benedetto, e invece riconosce che in Dio stesso c’è un relazionarsi. Naturalmente queste parole del Papa non vanno intese in contrasto con Papa Benedetto e come approvazione del relativismo, che è un grave difetto del pensiero e della condotta morale, per il quale si “relativizza” l’assoluto non nel senso legittimo detto dal Papa, ma nel senso di fare di Dio un idolo a servizio delle proprie voglie o comunque di relativizzarlo all’uomo, quasi che l’uomo stia al di sopra di Dio […].

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

bocca aperta

quando dalle bocche fuoriesce di tutto e di più ancora …

Quando il Papa parla, occorre tenere il tono alto, al di sopra del gracchiare degli uccelli. L’Editrice Vaticana, come sappiamo, ha pubblicato il contenuto di alcuni colloqui avuti dal Papa con Eugenio Scalfari. Alcune espressioni del Pontefice in questa circostanza provocarono sul momento in una parte del mondo cattolico perplessità, apprensioni e meraviglia, mentre il mondo laicista gongolante ne approfittò per presentare slealmente un Pontefice vicino alle sue posizioni. Vorrei quindi limitarmi solo ad esprimere come, a mio modo di vedere, si debbono interpretare in realtà alcune parole del Papa, in modo da scorgerne la continuità col perenne insegnamento della sana ragione, della Chiesa e della fede.

Può sorprendere, innanzitutto, nelle lettera che il Papa ha scritto a Scalfari, la sua dichiarazione: «Io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”», quando sappiamo bene come questa espressione è tradizionale non solo nella filosofia ma anche nel linguaggio del Magistero, per indicare Dio o la verità divina; ma per capire che cosa intende dire il Papa, dobbiamo leggere le parole seguenti: no alla verità «assoluta», “nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione!”.
Da notare che qui il Papa non sta parlando della verità in generale o della verità come tale, ma della verità divina, la quale in Dio è identica all’amore (1). Dobbiamo quindi fugare un sospetto di volontarismo che potrebbe emergere da una lettura superficiale delle parole del Pontefice.

Udienza generale di Papa Francesco

Il Santo Padre durante l’udienza generale

Ciò che in questo contesto sta cuore a Papa Francesco è ricordarci che Dio è in relazione col mondo, con quel mondo che Egli ha creato liberamente per amore e ciò soprattutto mediante il mistero dell’Incarnazione. Così pure il nostro relazionarci con Lui, diverso in ciascuno di noi, fa sì che la stessa verità divina si relazioni con noi in modi diversi per ciascuno di noi.
Per questo e in tal senso la verità divina è una relazione di Dio col mondo: Dio conosce il mondo; la verità è relazione intenzionale di un soggetto con un oggetto: adaequatio intellectus et rei, come dice San Tommaso, anche se nel caso di Dio non è Lui che deve adeguarsi alle cose, ma sono le cose che sono adeguate al pensiero progettatore e creatore che Dio ha di esse.

Ma la relazione di Dio col mondo è anche amore, perché Dio ama il mondo e in Dio verità ed amore, come si è detto, s’identificano nella semplicità assoluta dell’essenza divina. Il Papa vuol concentrare l’attenzione su questo punto ed in tal senso respinge qui l’espressione “verità assoluta”.
Non possiamo immaginare infatti che il Papa non continui a considerare col linguaggio tradizionale Dio in se stesso come l’Assoluto e la Verità assoluta, perché il termine “assoluto”, entrato da alcuni secoli nel linguaggio filosofico e teologico, può essere sinonimo di “divino”, anche se è vero che non tutto ciò che è assoluto è divino, perché un ente finito può essere assoluto per un aspetto e relativo per un altro. Invece Dio è assoluto sotto ogni punto di vista: è assolutamente assoluto (2).

È ragionevole e necessario distinguere verità relative da verità assolute e dalla verità assoluta. Errato sarebbe, come sembra supporre Eugenio Scalfari, che esistano solo verità relative. È questo l’errore del relativismo, riscontrabile per esempio nella filosofia di Auguste Comte (sec. XIX), che dice: «Tutto è relativo, e questo è il solo principio assoluto» (3). Verità relativa può dirsi o in rapporto all’oggetto o in rapporto al soggetto. Se dico “oggi è mercoledì” ed è effettivamente mercoledì, questa verità è relativa all’attuale giornata di mercoledì, passata la quale quell’affermazione, in rapporto all’oggetto (che giorno è?), cessa di esistere. Infatti se dico “oggi è mercoledì”, mentre è giovedì, sono nel falso. Se invece si considera il soggetto che fa l’affermazione, questa può essere o apparire vera solo in rapporto al soggetto, ma essere falsa da un punto di vista oggettivo, o perché il soggetto è in buona fede, sbaglia senza saperlo (la cosiddetta “verità soggettiva”, “ignoranza invincibile”) o perché è in mala fede, cioè si oppone volontariamente alla verità (“ignoranza affettata o colpevole”). Da notare che, dal punto di vista morale, nel primo caso il soggetto che pecca resta innocente davanti a Dio, mentre è colpevole nel secondo caso.

Gay-pride

“signorine” in rosa confetto al gay pride … a Sodoma e Gomorra avevano più buon gusto

Così, per esempio, non è difficile dimostrare che dal punto di vista della legge morale la sodomia è oggettivamente peccato; tuttavia, data l’attuale indegna campagna di esaltazione di questo peccato, non è facile sapere se quel dato omosessuale sappia o non sappia di peccare. In tal senso il Papa pronunciò quella famosa frase: «Chi sono io per giudicare?». Siccome però la verità si regola sull’oggetto, tutti siamo obbligati a cercare la verità oggettiva, ossia il reale come è in se stesso, ma può accadere che sembri vero ciò che non lo è, per cui restiamo ingannati o ci inganniamo. E ciò o perché erriamo involontariamente o perché ci chiudiamo colpevolmente alla verità. Nel primo caso siamo scusati, nel secondo meritiamo di essere redarguiti.

Qui ha molta importanza il principio della coscienza. Quando il Papa dice che anche l’ateo deve seguire la propria coscienza, il Papa non per questo approva l’ateismo (ve lo immaginate un Papa ateo?). Papa Francesco non insegna che la coscienza individuale o soggettiva è fonte assoluta della verità, ma evidentemente si riferisce al principio della libertà di coscienza (o di religione) proclamato dal Concilio, il quale ci ricorda che anche chi erra in buona fede, tuttavia deve seguire la propria coscienza ed è innocente davanti a Dio [si veda su questo tema il precedente articolo di Ariel S. Levi di Gualdo, qui].

Per questo lo Stato e la Chiesa devono consentire all’errante uno spazio di libertà, salve naturalmente le esigenze fondamentali del bene comune. Esistono infatti valori fondamentali per la convivenza umana, la cui contravvenzione è inescusabile e che pertanto comunque deve essere impedita o riparata, sia o non sia in buona fede l’errante o il criminale. Si tratta di un principio già insegnato da San Tommaso d’Aquino, quando dice che la coscienza erronea obbliga (4), ma nel contempo è chiaro che anche il buon Aquinate ammette alla tolleranza dei limiti invalicabili.
La coscienza soggettiva della propria innocenza o del proprio buon diritto, anche se oggettivamente ed involontariamente infondata, è di grande consolazione e conforto, quando si resta isolati ed incompresi in un ambiente ostile, perseguitati da leggi ingiuste, traditi dagli amici, oppressi dai superiori, disprezzati dai sudditi, calunniati dai bugiardi, diffamati dai malevoli o maltrattati dai prepotenti a causa della verità e della giustizia.

Urna di Santa Lucia

urna contenente le spoglie di Santa Lucia vergine e martire siracusana

Questa coscienza che in tali prove sa rinunciare ai consensi ed all’appoggio umani, è quella che caratterizza la fortezza e la libertà degli eroi, dei santi e dei martiri, sia nella storia civile che in quella della Chiesa. In tal senso Cristo proclama beati i perseguitati a causa della giustizia ed annuncia ai suoi discepoli: “sarete odiati da tutti a causa del mio nome” [Mt 10.22]. Invece, chi evita accuratamente o furbescamente di non esser odiato dal mondo per amore del mondo, per non far brutta figura davanti a lui o per non avere noie, ha una coscienza sporca e farisaica o quanto meno è un vile e non è degno discepolo di Cristo, come dice il divino Maestro: “Chi si vergognerà di me e della mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, si vergognerà di lui il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” [Mc 8,38].

È utile in questa questione dell’oggettività (assolutezza) – soggettività (relatività) della verità ricordare anche la corrispondente distinzione fra verità gnoseologica o relazione di verità come atto dell’intelletto e verità ontologia come cosa vera oggetto del conoscere. La relazione di verità, che fa riferimento al soggetto – la verità come relazione, per dirla col Papa – è di per sé assoluta e immutabile, anche se l’oggetto è mutevole: se è vero che oggi è mercoledì, e dico che oggi è mercoledì, questa proposizione, in relazione al mercoledì che è passato, resterà vera in eterno (giudizio vero), ossia in assoluto, anche se il mercoledì (oggetto del giudizio) è passato. Invece, se l’oggetto è mutevole, anche l’affermazione, proprio per essere vera, deve mutare in conformità al mutare dell’oggetto, per cui in rapporto all’oggetto la verità muta ed è relativa al mutare dell’oggetto. Se giunge il giovedì e continuo a dire che oggi è mercoledì, evidentemente sono nel falso.

Cop_SanTommaso

l’opera di Gilbert Keith Chesterton dedicata al Doctor Angelicus

Le verità relative quindi sono mutevoli, invece la verità assoluta – umana o divina – è immutabile, perché per definizione è quella verità che non prevede mutamento né nell’oggetto, né per conseguenza nel soggetto o giudizio: sono le verità oggettive, fondamentali ed universali proprie della ragione e della fede. In tal senso si dice che la verità è “una sola”, pena la negazione del principio di non-contraddizione.
Parlando di verità relativa, il Papa precisa però che non intende sostenere alcun soggettivismo. Infatti dire verità “soggettiva” (come l’abbiamo definita sopra) non significa necessariamente soggettivismo. Il soggettivismo infatti è la pretesa arbitraria ed individualistica del singolo soggetto di essere la regola della verità, quando invece, come ho detto, la regola della verità è l’oggetto (che può esser qualcosa del proprio io, questo non vuol dir nulla). Nel soggettivismo la verità non è più una sola, ma ciascuno si costruisce la propria “verità” come crede e come gli fa comodo. Le verità possono essere molte nel senso di molte cose vere, ma non come si è detto, dal punto di vista della relazione di verità.
Per capire questo, bisogna ricordare le distinzioni che ho fatto sopra. Infatti, dalla definizione che ho appena dato, risulta che soggettivismo si dà, quando il soggetto singolo pretende di essere la regola assoluta della verità, cosa evidentemente alienissima dalle intenzioni e dalle parole del Papa. Soggettivismo si ha, per esempio, nel solipsismo idealista dell’io assolutizzato e totalizzante, considerato come fonte unica della verità assoluta e di ogni altra verità (5).
È vero che nella Bibbia non si parla di “assolutezza” come attributo divino. Non esiste nemmeno la parola (6). Nemmeno S.Tommaso considera Dio come l’Absolutum, nè parla di veritas absoluta. Invano tra gli attributi divini elencati nella Summa Theologiae cercheremmo l’attributo dell’assolutezza. Tra l’altro ai tempi di Tommaso si dà solo il concreto “assoluto”, ma non l’astratto “assolutezza”.

Viceversa l’absolutum per l’Aquinate è un attributo normale per le realtà finite sostanziali, formali o materiali. Per esempio, nel campo della logica, per lui l’universale astratto è un absolutum, in quanto è atemporale, libero e indipendente (ab-solutum) dagli individui che gli sottostanno. Per capire infatti che cosa è l’assoluto, è utile considerare l’etimologia della parola, alla quale l’Aquinate strettamente si attiene. Solo col secolo XIX che in teologia, soprattutto nell’idealismo tedesco, sorge l’exploit dello “Assoluto”. Per indicare Dio, si comincia a parlarne come dell’“Absolute”. La tendenza monistica propria di Hegel risolve tutto il reale nell’Assoluto, per cui esiste solo l’Assoluto, tutto è Assoluto, tutto è nell’Assoluto, l’Assoluto è in tutto (immanentismo), in quanto tutto è Uno. E l’Assoluto appunto è Uno.

hegel 3Per Hegel un “altro” dall’Assoluto, a lui esterno, relativizzerebbe lo stesso Assoluto, perché, per distinguersi dall’Assoluto, dovrebbe avere qualcosa che l’Assoluto non ha. Ma un Assoluto che non è Tutto, non è più assoluto. Inoltre spezzerebbe l’unità dell’Uno-Tutto. Ad Hegel sfugge però che invece ,questo “altro” dall’Assoluto, può benissimo esistere come ente relativo all’Assoluto (“essere per partecipazione”, come dice San Tommaso), il che è appunto la condizione dell’essere creaturale, come è appunto nella dottrina biblica di Dio creatore del mondo, necessariamente esterno a Dio (opus ad extra), giacchè tutto ciò che c’è in Dio è Dio. Inoltre Hegel non comprende che il creato non spezza l’unità divina, perché non si pone sullo stesso piano di Dio in competizione con lui, ma infinitamente al di sotto (trascendenza divina), come immagine, effetto o segno della divinità.

Per Hegel invece, nulla esiste al di fuori dell’Assoluto, e siccome però egli non rinuncia ad ammettere anche il relativo, ecco che per lui, visto che il relativo non può esser fuori dell’Assoluto, l’Assoluto stesso è concepito come includente in sé il relativo, ossia il mondo. Dio diventa mondo e il mondo diventa Dio. Per questo in fin dei conti l’Assoluto hegeliano non è un vero Assoluto, indipendente dal relativo, ma paradossalmente, proprio per esser assoluto, per essere Dio, ospita nella sua propria essenza divina il mondo, secondo la celebre asserzione: “Dio non è Dio senza il mondo”.

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immagine di Georg Wilhelm Friedrich Hegel ritoccata da dei ragazzi in vena di scherzi. Il termine Swag, tradotto in italiano come “bottino” o “refurtiva“, nello slang dei giovani è il degno sostituto della parola “cool” identificando quindi una persona, un capo di abbigliamento o, in generale, un oggetto che ha stile.

Per Hegel non si può dare un puro Assoluto, un Assoluto assolutamente semplice, ma l’Assoluto stesso è relativo al mondo, è “storicizzato”, benchè poi Dio venga, dal punto di vista di Hegel, ad essere relativo solo a Se stesso, dato che il mondo stesso è in Dio coincidente con l’essenza divina. Ma ciò toglie evidentemente la distinzione fra Dio e il mondo e si cade nel panteismo.

Saremmo naturalmente fuori strada se interpretassimo in questo senso le parole del Papa, il quale sa benissimo dalla fede e dalla ragione che Dio, nella sua infinita perfezione, potrebbe esistere anche senza il mondo, essendo Egli appunto l’Assoluto, l’Infinito, l’Eterno, l’Essere perfettissimo e quindi del tutto autosufficiente. Un “Assoluto” in se stesso relativo al mondo non potrebbe essere un vero Assoluto, perché relazione dice dipendenza da ciò con cui si è in relazione. Il mondo dipende da Dio ma Dio non dipende dal mondo. Dio ha relazione col mondo nel senso che lo ha creato, lo conosce e lo ama, ma non nel senso che dipenda dal mondo. Ora, come si è visto, l’indipendenza è il carattere dell’assolutezza. Se di fatto, con la creazione e ancor più con l’Incarnazione, Dio si è posto in relazione col mondo, è semplicemente perché lo ha liberamente voluto per amore del mondo, né ciò discende necessariamente o “logicamente” dall’essenza divina, come credeva Hegel.

La questione dell’ “Assoluto”, ignorata dall’illuminista Kant, balza in primo piano nella filosofia romantica di Fichte, Schelling ed Hegel. Ma per loro l’Assoluto non è più ciò che intendeva San Tommaso. Per questi, ab-solutm vuol dire bensì sciolto, libero, indipendente, autosussistente, autosufficiente, che se ne sta per conto proprio, cose che potrebbero convenire a Dio. Ma di fatto in Tommaso, come ho detto, non è un attributo divino, ma una categoria logico-ontologico-morale di tipo analogico. Se vogliamo, “assoluto” significa anche “slegato”, ma non con la sfumatura negativa che sembra possedere nelle parole del Papa, perché l’absolutum può avere legami di fatto: l’universale, per quanto in sè indipendente dall’individuale, di fatto è presente nell’individuale (unum in multis). Dio, benchè indipendente dall’uomo, ha voluto legarsi con l’uomo con un patto d’amore.

Pensiamo anche all’ “assoluzione sacramentale”. “Assolto” viene da absolutum, participio passato di absolvo, che vuol dire qui sciogliere da legami che rendono schiavo o prigioniero, ossia i legami del peccato. Chi è assolto dai peccati è libero, integro e felice. Viceversa, come si è detto, è il relativo che non si addice all’essenza divina, perché relativo dice dipendente e Dio chiaramente non dipende da nessuno. Solo nel mistero trinitario esistono relazioni divine, le Persone divine, che però non dicono dipendenza, ma si parla di “relazione” solo di origine nell’uguaglianza dell’unica natura divina. Il Figlio, per esempio, ha origine dal Padre, ma non è dipendente dal Padre come l’inferiore dipende dal superiore, o l’effetto dalla causa, ma solo perché è generato dal Padre, che gli è uguale nella comune natura divina.

gesù-bambino-3

… il Verbo si fece carne

La relazione qui non è un accidente, ma è sussistente, perché è Persona divina, per la quale la Persona relazionata è identica nella natura divina con la Persona relazionante. Per questo Dio resta l’Assoluto: Dio e la Trinità sono un unico Essere assoluto, Dio stesso. E se nella Bibbia non troviamo l’attributo dell’assolutezza, troviamo però attributi equivalenti. L’assolutezza in certo senso li riassume tutti: la libertà, l’indipendenza, la bontà, l’eternità, la totalità, l’infinità, la maestà, la perfezione, l’immutabilità. L’attributo dell’assolutezza conserva il suo valore anche se di fatto Dio ha creato un mondo, si è incarnato e quindi ha una relazione di conoscenza e d’amore nei suoi confronti. Dio infatti, creando il mondo, non muta la sua natura, per cui resta in se stesso l’Assoluto. Ma è chiaro, come si è detto – e questo certo il Papa lo sa benissimo – che Dio ha creato liberamente il mondo, liberrimo consilio, dice il Concilio Vaticano I. Poteva, se voleva, anche non crearlo. Dio che non aveva bisogno di noi, ha voluto per amor nostro in Cristo mendicare il nostro amore e chiedere un bicchier d’acqua alla samaritana. “Dio, come dice Sant’Agostino, che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”.

Da qui la dignità, certo, ma anche la contingenza del mondo e l’esistenza assolutamente necessaria di Dio. Se Dio non ci fosse, il mondo non esiterebbe. Mentre il mondo potrebbe non esistere, Dio non può non esistere, perchè è l’Essere stesso assoluto, è ciò che rende ragione dell’esistenza del mondo: è quindi l’assolutamente Necessario. E’ il Necesse-esse, come lo chiamava il grande metafisico musulmano Avicenna, più volte citato da San Tommaso.
Il mondo non dipende da Dio per deduzione logico-necessaria, come le proprietà del triangolo dipendono dall’essenza del triangolo, come pensava Spinoza. Ciò comporta l’esistenza in Dio dell’amore, un amore gratuito, generoso, misericordioso, di libera scelta. Il creato non discende dall’essenza divina, ma è effetto della divina volontà. Non diciamo che le proprietà del triangolo dipendono dal triangolo perché le ama, ma semplicemente per una deduzione logica dall’essenza del triangolo. Non è così che il mondo deriva da Dio, perché non proviene dalla sua essenza ma dal nulla, in forza della sua sapienza, della sua libertà, della sua bontà e della sua onnipotenza.

BIENNALE DEMOCRAZIA:INCONTRO CON EUGENIO SCALFARI

Foto di Eugenio Scalfari con goliardica scritta ad opera dei Papaboys

Eugenio Scalfari sembra chiedere al Papa se si può ammettere un certo relativismo delle verità. Il Pontefice avrebbe potuto polemizzare col relativismo, come ha fatto Papa Benedetto, e invece riconosce che in Dio stesso c’è un relazionarsi. Naturalmente queste parole del Papa non vanno intese in contrasto con Papa Benedetto e come approvazione del relativismo, che è un grave difetto del pensiero e della condotta morale, per il quale si “relativizza” l’assoluto non nel senso legittimo detto dal Papa, ma nel senso di fare di Dio un idolo a servizio delle proprie voglie o comunque di relativizzarlo all’uomo, quasi che l’uomo stia al di sopra di Dio.

È chiaro, come dice il Papa, che Dio, per porsi in relazione con noi e perchè noi possiamo porci in relazione con Lui, si presenta a noi di volta in volta nel modo adatto a ciascuno di noi. Ma un conto è affermare che Dio si pone in relazione con ciascuno di noi in modi relativi a ciascuno di noi e un conto è negare a Dio l’assolutezza intrinseca alla sua divina essenza, per farne o un prodotto dell’uomo o un fatto contingente della storia della cultura. E’ chiaro che su questo punto Papa Francesco è d’accordissimo con Papa Benedetto. E questi non avrà difficoltà a sottoscrivere le parole di Papa Francesco a Scalfari, intese come il Papa le intende ed ho cercato di spiegare.

Può esistere del resto un sano relativismo, quando si riconosce come relativo ciò che è effettivamente relativo e non se ne fa un assoluto. Ma come però esiste un relativismo deleterio, così esiste anche un altrettanto deleterio assolutismo, che esclude l’altro, esaspera i contrasti, e crea dualismi irresolubili, contrapponendo le posizioni contrarie in modo così assoluto, che appare impossibile ogni via di dialogo e di conciliazione. E’ la sciagura dell’ideologia. È questo certamente che il Papa vuol dire concludendo questa parte della sua lettera: “bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione… assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all’inizio di questo mio dire”.

È interessante come in questa dichiarazione salta fuori due volte l’ “assoluto”, una volta come aggettivo e un’altra come avverbio. Il concetto di “assoluto” infatti è presente nel nostro stesso linguaggio quotidiano. La sua applicazione teologica dipende dal significato analogico del termine, che si presta sia per indicare il mondo, sia per designare Dio. Pertanto non c’è da dubitare che il Papa sa benissimo tutto ciò. Egli però crede in quell’Assoluto, che non estremizza e confonde stoltamente e gnosticamente, in una falsa “sintesi”, le posizioni in contrasto (l’essere col non-essere, il vero col falso, il bene col male), come per esempio nella dialettica hegeliana o nel panteismo di Emanuele Severino, ma che nella sua infinita, benefica ed assoluta potenza di pace e di conciliazione unisce le anime nella verità assoluta dell’eterna beatitudine.

Fontanellato, 8 novembre 2014

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

QUANDO IN FILOFOSIA E IN TEOLOGIA

IL RELATIVISMO DIVENTA SANO E CRISTIANO

dialogando in pubblico con uno dei miei maestri …

 

Carissimo Padre Giovanni,

           visto che noi tre “ragazzi” dell’Isola di Patmos siamo da tempo nel mirino di certi “tradizionalisti” e “sedevacantisti catatonici”, volendo potrei anticiparti le loro geremiadi sul sito Pizzi&Merletti, Manipoli&ChirotecheLatino che non Conosco I Love You … e via dicendo. E ciò pure se questo tuo articolo è costruito su quella magistrale “filosofia del senso comune” tanto cara al nostro confratello Antonio Livi, quindi sul tuo profondo senso ecclesiale, pastorale, teologico e metafisico. Pur malgrado, contaci: ripeteranno ciò che hanno già detto e scritto, ecco perché questa volta desidero anticiparli, tanto trite e ripetitive sono le loro argomentazioni …
… anch’io, come ricorderai, fui accusato da costoro in modo pesante. Quando infatti sulle riviste delle associazioni gay prese a spiccare la frase «Chi sono io per giudicare?», mentre i pederasti ideologici sentenziavano: «il Papa ha aperto al mondo gay», replicai con un mio articolo invitando alla corretta recezione di quella frase del Santo Padre.

         Certo, forse il Santo Padre espresse un concetto privo di spiegazioni approfondite, come del resto facciamo spesso tutti noi quando diamo per scontate certe ovvietà, che in questo mondo non sono però così ovvie e meno che mai scontate. Ecco perché in quel mio scritto precisai: «Il Santo Padre ha espresso una verità sacrosanta: nessuno di noi può infatti giudicare la coscienza più intima e profonda dell’uomo che Dio solo può leggere e di conseguenza giudicare». Da questo nasce l’ovvietà di quella espressione del Santo Padre: «Chi sono io per giudicare?». Frase che però, da giornalisti, intellettuali e politici sul libro paga della cultura del gender, privi dei rudimenti catechetici e del basilare lessico cristiano, fu mutata in tutt’altro significato espressivo, infine capovolta in modo del tutto anti-cristiano.
In quell’occasione fui aggredito dal corifeo dei soliti noti con amenità del tipo: «progressista … cripto modernista»…

          … adesso toccherà di nuovo a te, quindi preparati a leggere: «Il Padre Giovanni Cavalcoli si arrampica sugli specchi per interpretare e mitigare le parole “ereticali” di questo “antipapa”». Mentre la verità è che tu recepisci e trasmetti in coscienza, scienza e verità le parole del Santo Padre per ciò che significano e dicono e non per ciò che non significano e non intendono dire. Certo, andrebbero sempre evitate frasi monche e frasi che potrebbero suonare ambigue ad orecchie non più disposte ad udire e recepire un linguaggio cristiano. Ed è proprio in quest’ultimo caso che noi siamo chiamati a svolgere il nostro ministero di pastori in cura d’anime e di teologi, che non è certo quello di «arrampicarsi sugli specchi», ma di ricordare cosa significano nel nostro lessico certe espressioni. Cosa che dobbiamo ricordare agli ultra laicisti come a certi “tradizionalisti” che simile modo hanno perduto anch’essi il corretto vocabolario cristiano, tanto da ergersi a giudici della coscienza “collettiva” del Collegio Episcopale in comunione con Pietro, cogliendo presunte eresie persino nei più solenni atti del supremo magistero, per esempio in quelli del Concilio Ecumenico Vaticano II, da essi vergognosamente definito “ereticale” ed “apostatico” in nome di una non meglio precisata purezza cattolica, dietro la quale si cela in verità la temibile regina di tutti e sette i peccati capitali, quella che regge come solida colonna tutti gli altri sei: la superbia.
Ecco perché reputo di estrema preziosità questo tuo articolo e ritengo che sia nostro dovere tornare, di tanto in tanto, su certe precisazioni, come tu mi hai insegnato a fare assieme ad Antonio Livi. Non a caso abbiamo dato apposta vita all’Isola di Patmos per fare teologia ecclesiale e pastorale secondo la dottrina perenne ed il magistero della Chiesa, non certo secondo le nostre soggettive umoralità. E che la grazia di Dio, alla quale vogliamo essere sempre aperti — la quale passa non ultimo anche attraverso il magistero della Chiesa e l’obbedienza alla sua apostolica autorità — ci salvi sempre dalla temibile regina: quella superbia che purtroppo sta devastando i circoli sempre più chiusi e auto-referenziali di Pizzi&Merletti, Manipoli&ChirotecheLatino che non Conosco I Love You … e che in modo non solo aberrante, ma peggio diabolico, si propongono come salvatori della Chiesa fomentando giornaliero sprezzo verso il Santo Padre, che non è affatto perfetto, che può piacere o non piacere — ed è del tutto legittimo che piaccia o non piaccia — ma come più volte abbiamo ripetuto e come non ci stancheremo mai di ripetere: egli è Pietro, che piaccia o che non piaccia. E lo è per una verità di fede dogmatica che sta alla base fondante della Chiesa edificata su Pietro per il mandato a lui conferito da Cristo in persona. Ecco perché in certi casi il piacere o il non piacere è davvero relativo nel senso più squisitamente filosofico e teologico del termine. Perchè esiste, sia in filosofia sia in teologia, anche un sano e cristiano relativismo.

            Un fraterno abbraccio sacerdotale ed un ricordo nella preghiera per me alla Beata Vergine Maria di Fontanellato.

Ariel S. Levi di Gualdo

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NOTE

(1) È tesi nota della teologia classica, per esempio in S.Tommaso, che in Dio il sapere è identico all’amare. Famoso è il dogma del Concilio di Firenze del 1442 per il quale nell’essenza divina “tutto è uno, a meno che non si tratti dell’opposizione relativa delle divine persone” (In Deo omnia sunt unum , ubi non obviat relations oppositio, Denz. 1330).
(2) Per esempio la persona umana ha un valore assoluto in quanto immagine di Dio, ma ha un valore relativo in quanto creatura finita, e soprattutto fragile e peccatrice.
(3) Ci sarebbe da domandarsi come sia possibile, se tutto è relativo, che ci sia poi un principio assoluto. Ciò testimonia come anche i relativisti più spinti non possano fare a meno di un qualche assoluto, che poi non sarà più quello vero (Dio) ma l’assolutizzazione di un valore relativo.
(4) Cf Summa Theologiae, I-II, q.19. a.6
(5) Come per esempio nella filosofia di Fichte.
(6) Ma questo non vuol dir nulla: anche la parola “persona” non esiste, eppure il mistero trinitario è uno degli insegnamenti fondamentali della Bibbia.

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Obbedienza al Papa, solo in relazione a Cristo

OBBEDIENZA AL PAPA

SOLO IN RELAZIONE A CRISTO

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

 

[…] il Papa interessa relativamente, cioè interessa solo in relazione a Cristo, dal quale riceve l’autorità di «pascere le sue pecorelle» nel suo Nome; solo in relazione a Cristo, la cui Parola egli deve custodire, interpretare e annunciare al mondo, «senza aggiungere e senza togliere alcunché»; solo in relazione a Cristo, del quale il primo Papa, san Pietro, disse che «non ci è stato dato alcun altro Nome sotto il Cielo nel quale possiamo essere salvati»; solo in relazione a Cristo che nel Giubileo dell’anno 2000 la Chiesa, con Papa Giovanni Paolo II, ha di nuovo messo al centro della propria vita e della propria missione come Colui che «ieri, oggi e sempre» è l’unico Salvatore.

A distanza di alcuni mesi vi proponiamo due articoli che Antonio Livi e Ariel S. Levi di Gualdo scrissero molto prima del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, potrebbe essere interessante leggerli nuovamente oggi …

Cliccare sotto per aprire l’articolo

Antonio Livi – Obbedienza al Papa solo in relazione a Cristo

Dopo il Sinodo, il Papa tornerà ad indossare le scarpette rosse?

«Teologia della Speranza»

DOPO IL SINODO IL PAPA TORNERÀ AD INDOSSARE LE

SCARPETTE ROSSE?

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 […] il Santo Padre Francesco può dunque piacere o non piacere, cosa del tutto legittima, ma per divina volontà e per divina istituzione rimane il clavigero, oggetto e soggetto come tale della nostra fede e della nostra speranza: «Tu sei Pietro», quindi della nostra autentica e inesauribile devozione per il mistero che egli incarna.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Per leggere questo articolo pubblicato il 20.06.2014 cliccare sotto

Ariel S. Levi di Gualdo – Dopo il Sinodo il Papa tornerà a indossare le scarpette rosse

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– Theologica – Lamento per la verginità perduta

— Theologica —

LAMENTO PER LA VERGINITÀ PERDUTA

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

[…] se infatti siamo arrivati — e per di più nei paesi latini del Mediterraneo — a pubblicizzare sulle diverse reti televisive il rassicurante messaggio rivolti agli uomini, ed in specie in fascia d’età giovane: «… se hai problemi di erezione non temere, parlane col tuo medico di fiducia, perché oggi la cura esiste» … evidentemente qualche cosa non ha funzionato e non sta funzionando, dopo la stagione della gloriosa liberazione sessuale degli anni Settanta, che a quanto pare, da una parte ci ha liberati dai tabù, dall’altra pare averci donato quei problemi di disfunzioni erettili e di eiaculazione precoce di cui da anni parlano con un certo allarme urologi e andrologi nei loro convegni internazionali. Problema questo che non avevano gli uomini e le donne del Medioevo, n’è prova il fatto che nell’intero arco di circa mille anni ricoperto dai diversi medioevi si è assistito alla nascita e allo sviluppo di tanti studiosi, filosofi e pensatori, ma neppure l’ombra di un Sigmund Freud è venuta alla luce, perché l’uomo del Medioevo non ne aveva bisogno, pur conoscendo da secoli sia Edipo sia Elettra, mutati in articolati “complessi” tra la fine dell’ Ottocento ed i primi tre decenni del Novecento, ad uso di una società sessualmente ormai malata che aveva bisogno di loro sia come pretesto sia come chiave di lettura psicoanalitica.

Cliccare sotto per andare all’articolo

Ariel S. Levi di Gualdo – Lamento sulla verginità perduta

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

– Theologica – Creazione ed evoluzione: il metodo della scienza e della metafisica

— Theologica —

 

CREAZIONE ED EVOLUZIONE:

IL METODO DELLA SCIENZA E DELLA METAFISICA

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

La teoria evoluzionistica potrebbe sostituire quella creazionistica solo nel caso che si immaginasse che l’uomo tragga origine, come appunto sostiene l’evoluzionismo materialista, da una forma animale simile ed inferiore, senza soluzione di continuità fra la natura animale e la natura o specie umana, così da negare la creazione immediata dell’anima umana da parte di Dio […] L’evoluzione quindi può concordare con la dottrina della creazione, se, come avvertì a suo tempo Pio XII nell’enciclica Humani Generis del 1950, si ammette appunto che Dio crea immediatamente l’anima umana, anche ammesso o ipotizzato che essa venga infusa in un vivente infraumano precedente: «ex iam exsistente ac vivente materia»

Per andare all’articolo cliccare sotto:

Giovanni Cavalcoli, OP – Creazione ed evoluzione

Novità editoriali delle Edizioni Leonardo da Vinci

NOVITÀ EDITORIALI

offriamo ai lettori dell’Isola di Patmos alcuni interessanti novità editoriali delle Edizioni Leonardo da Vinci, da sempre impegnate nella diffusione della sana e solida dottrina cattolica

 

Autore REDAZIONE

Autore
REDAZIONE

 

 –  GIUSEPPE SIRI

libro Giuseppe SiriLa consapevolezza di uno stretto rapporto tra dogma e liturgia ha guidato i Pontefici che dai primi decenni del Novecento a oggi hanno provveduto ai necessari aggiornamenti in materia liturgica: si pensi al venerabile Pio XII, che ristrutturò i riti della Settimana Santa; a san Giovanni XXIII, che volle inserire la memoria di san Giuseppe nel Canone romano; a Paolo VI, che provvide all’attuazione delle nuove direttive pastorali emanate dal Vaticano II con la costituzione liturgica Sacrosanctum concilium; infine a Benedetto XVI, che ampliò l’ambito di discrezionalità nell’uso del Vetus Ordo Missae. Anche tra i vescovi residenziali numerosi sono stati quelli che hanno impostato la loro azione pastorale in modo da assicurare nella propria diocesi l’osservanza delle norme liturgiche, sia tradizionali che nuove, desiderando che l’adeguata conoscenza e la personale interiorizzazione dei misteri rivelati servissero a incrementare nei fedeli lo spirito di adorazione e la fruttuosa partecipazione all’azione liturgica comunitaria. Tra questi vescovi, un posto di rilievo va riconosciuto a Giuseppe Siri, pubblicamente elogiato, proprio per questo, da san Giovanni Paolo II in visita pastorale a Genova nel settembre del 1985. I criteri teologici che guidarono la sua azione pastorale possono costituire un prezioso sussidio formativo per esercitare anche oggi il necessario “discernimento degli spiriti”, ossia per interpretare rettamente i “segni dei tempi” alla luce della Rivelazione. Questo è il motivo per cui il Curatore ha qui raccolto alcuni tra i suoi più significativi interventi dottrinali e disciplinari; essi vanno dal 1955 al 1972 e sono intesi ad animare con un continuo aggiornamento catechetico la vita liturgica del popolo di Dio nella sua amatissima diocesi di Genova.

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Giuseppe Siri

– LUIGINO ZARMATI

Libro Luigino ZarmatiNella Presentazione, il direttore della collana, Antonio Livi scrive: «Luigino Zarmati ha affrontato in questo libro il vero problema della nostra epoca, quello del riscatto della coscienza dalle ideologie – apparentemente opposte l’una all’altra, ma in realtà accomunati dalle medesime false premesse gnoseologiche – del razionalismo e del fideismo , arrivando così a mettere in luce, come dichiara già il sottotitolo del suo libro, che la fede nella necessaria testimonianza altrui e alla fine la fede in Dio stesso che si rivela è la più grande risorsa della quale l’uomo dispone per realizzarsi come persona, ossia come essere intelligente, libero e responsabile, dotato della possibilità di mettersi proficuamente in relazione con il mondo naturale e con la società umana per comprendere il senso della propria vita e gestire sapientemente il proprio
destino».

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Luigino Zarmati

– LO STATUS QUAESTIONIS

La verità in teologia

MARCO BRACCHI e GIOVANNI COVINO: Quale statuto epistemologico
per la teologia
GIUSEPPE BRIENZA, La teologia sotto la “dittatura del relativismo”
Esposizione della tesi di LIVI
FRANCESCO PISTOIA, Un esempio di carità intellettuale
FABRIZIO RENZI, Il discorso sulle istanze epistemologiche
della “scientia fidei”
ALESSANDRO BEGHINI, La teologia come “scienza rigorosa”
MASSIMILIANO DEL GROSSO, La teologia tra metafisica e fantasia
SERAFINO LANZETTA, Un contributo alla fondatezza
della teologia come scienza
CHRISTIAN FERRARO, Le premesse epistemiche della
“scientia fidei”

SVILUPPI DOTTRINALI

PIERO VASSALLO, La scienza della fede e la sua filosofica
parodia
DARIO SACCHI, “Vera e falsa teologia”. Un contrappunto
filosofico
NICOLA BUX, Lo stato della teologia, “periferia” in cui
urge intervenire
GIOVANNI CAVALCOLI, Perché è necessario che si torni a
parlare di “eresia”

NOTE CONCLUSIVA

MARCO BRACCHI e GIOVANNI COVINO, La teologia tra
senso comune e metafisica
ANTONIO LIVI, Qualche chiarimento, in dialogo con
estimatori e critici

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La verità in teologia

–  GIUSEPPE BRIENZA

Figura esemplare di pastore che sempre opera per il bene comune e la salvezza delle anime, PietroLibro Giuseppe Brienza Fiordelli (1916-2004), qui ricordato nel decimo anniversario della sua morte (2004), sembra corrispondere alla visione di vescovo che, secondo Papa Francesco, la Chiesa “vuole avere”: determinato a compiere scelte libere da «condizionamenti di scuderie, consorterie o egemonie», a imitazione di quei vescovi santi che vivono come «seminatori umili e fiduciosi della verità» (cfr Discorso alla Congregazione per i vescovi, 27 febbraio 2014). Mons. Fiordelli si è adoperato per riportare Prato, di cui è stato pastore per 37 anni, alla piena pratica della vita cristiana. Attivamente presente in tutti gli ambienti sociali, si è fatto quindi strenuo difensore della vita e della famiglia, a cominciare dall’indispensabile restaurazione della dignità del matrimonio e dalla resistenza alla legalizzazione dell’aborto. Noncurante dell’intollerazna di quanti avversano la dottrina sociale cristiana, Fiordelli è stato uno dei più coraggiosi sostenitori dei valori sociali della famiglia. A lui si deve, fra l’altro, la definizione teologica della famiglia come “Chiesa domestica”, recepita dal Concilio Vaticano II (cfr costituzone dogmatica Lumen Gentium, n. 11) e oggi comunemente utilizzata nella pastorale della famiglia. La prima parte del volume è dedicata ad un inquadramento storico della vita e dell’attività ecclesiastica di Fiordelli, specie a capo del Comitato Episcopale per la Famiglia della CEI (oggi Commissione Episcopale per la famiglia e la vita). La seconda parte, invece, esamina la sua produzione pubblicistica, mostrando come le proposte di riforma sociale avanzate da questo vescovo siano state davvero lungimiranti e coraggiose. Oggi, un contesto religioso e sociale ancora più degenerato di quello nel quale Fiordelli fu chiamato a operare, è auspicabile che il suo esempio sia seguito dall’intero epicopato italiano, rinunciando a comportamenti che sembrano dettati dettati più dalla paura che dalla virtù della prudenza.

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La difesa sociale della famiglia

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