Il “pieno compimento”, tra eresia marcionista ed ecumenismo a tutti i costi

IL «PIENO COMPIMENTO»
TRA ERESIA MARCIONISTA ED ECUMENISMO A TUTTI I COSTI

Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; io non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento. Perché in verità vi dico: Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto [Mt 5, 17-18].

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

si si no no

si quando è si, no quando è no ...

Questo frammento del Vangelo di San Matteo è ricco di tali elementi che su queste poche righe potrebbero scriversi trattati enciclopedici solo per inquadrare gli argomenti diversi racchiusi in un unico contesto armonico: la rivelazione del Verbo di Dio fatto uomo. Si pensi a quanto potremmo parlare e discutere, oggi forse più di ieri, sulla sola frase che segue poche righe avanti: « Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno» [Mt 5, 37]. Superfluo dire quanto nella società ecclesiale di oggi sia invece difficile dire si quando è si e no quando è no, memori che il di più — ma a volte anche il di meno, se non peggio il “di niente”, per esempio l’omissione — proviene dal Maligno, per il quale il “di meno” e il “di niente” è terreno di semina, irrigazione, germoglio e infine mietitura.

Nunzio Galantino

S.E. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, in una posa ieratica durante la actio liturgica

Pensiamo solamente a quanto appare difficile all’interno della Chiesa odierna dire con chiarezza: questo è giusto e questo è sbagliato, questo è lecito e questo è illecito, perché così sta scritto nel deposito della fede rivelata. Il tutto non perché lo diciamo noi, ma perché lo insegna la Rivelazione, di cui noi siamo servi e strumenti devoti, fedeli annunciatori, non arbitrari padroni. E con ciò è presto detto qual genere di desolazione ci pervada quando si è costretti a udire vescovi pronunciare omelie nelle quali i nostri sommi sacerdoti parlano di reati contro la giustizia sociale con linguaggi da spiccia sociologia, senza più parlare di peccato o di dottrina sociale della Chiesa, per non parlare della mancanza pressoché totale di un corretto lessico metafisico. Cosa a dire il vero comprensibile, perché quando la Rivelazione e la teologia sua devota ancella devono tenere troppo in considerazione le esigenze mondane della società a cui si vuole piacere e mai dispiacere, per seguire appresso con le logiche dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso ridotto perlopiù a sociologia politica, può accadere che si tenti per logica conseguenza di avere in tutti i modi “la botte di vino piena e la moglie ubriaca”, come recita un nostro vecchio proverbio popolare.

Dire «si» o «no» risulta  così più difficile di quanto sembri, quando ormai si è perduto il nostro linguaggio naturale, che è appunto quello metafisico, oggi tragicamente sostituito con quello hegeliano-rahneriano. Così spesso finiamo col dire un po’ sì e un po’ no, o col sostenere che potrebbe essere si ma al tempo stesso anche no e, se tutto va bene, concludiamo con un “ni”, pur di non prendere decisioni a volte anche dolorose, dicendo con prudenza e carità quella verità che non può essere mai taciuta, posto che siamo chiamati a conoscere, servire e annunciare quella verità che ci farà liberi [Gv 8, 32], perché nessuno di noi è un “cristiano anonimo”, ma un fedele  oggetto e soggetto principe della Rivelazione e della Redenzione. Nessuno è per Dio “anonimo”, posto che Egli ci chiama a uno a uno per nome, avendoci voluti, pensati e amati prima ancora della creazione del mondo. In questo consiste l’insidia di certe derive eterodosse del gesuita Karl Rahner che oggi la fa da padrone assoluto nella maggioranza degli studi teologici: conferire una impropria e relativistica dignità salvifica all’ “anonimato”, attraverso il quale si finisce per rendere anonimo Dio, vanificando attraverso la sua velenosa teoria dei cosiddetti “cristiani anonimi” l’intero mistero della Redenzione.

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L’Arca dell’Alleanza contenente le Tavole della Legge

Questo frammento del Vangelo di Matteo contiene numerose ispirazioni di profonda riflessione che ebbi modo di approfondire anni fa in un mio libro [E Satana si fece Trino, cit. pag. 100-104]. Prendiamo la sola frase iniziale di questo passo evangelico: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento». È un terreno veramente minato, in parte insidioso quello che si apre all’orizzonte attraverso questa frase, perché addentrandosi in esso andiamo a toccare l’Antica e la Nuova Alleanza, il Vecchio e il Nuovo Testamento, l’antico Popolo di Israele e il nuovo Popolo di Israele nato dalla incarnazione, dalla morte e dalla risurrezione del Cristo Dio.

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Una edizione del Catechismo

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo queste parole [n. 121-123]:

«L’Antico Testamento è una parte ineliminabile della Sacra Scrittura. I suoi libri sono divinamente ispirati e conservano un valore perenne, poiché l’Antica Alleanza non è mai stata revocata. Infatti, l’economia dell’Antico Testamento era soprattutto ordinata a preparare […] l’avvento di Cristo Salvatore dell’universo.

Il Concilio Vaticano II precisa che «I libri dell’Antico Testamento, sebbene contengano anche cose imperfette e temporanee, rendono testimonianza di tutta la divina pedagogia dell’amore salvifico di Dio. Essi esprimono un vivo senso di Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza» [Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 14: AAS 58 (1966) 825].

tavole della legge

Tavole della Legge

I cristiani venerano l’Antico Testamento come vera Parola di Dio e la Chiesa ha sempre respinto energicamente l’idea di rifiutare l’Antico Testamento col pretesto che il Nuovo l’avrebbe reso sorpassato. Si tratta di una tesi ereticale portata avanti dal Vescovo Marcione di Sinòpe nel II secolo, il quale dette vita a quella eresia che prenderà poi nome di marcionismo. Inutile a dirsi: il discorso è a tal punto delicato che ogni parola, anzi, ogni sospiro andrebbe soppesato, specie in questi tempi dove sempre più spesso, all’uso delle parole corrette — che sono base imprescindibile fondamentale sia per esprimere la dottrina sia soprattutto per fare speculazione teologica, ovvero il corretto lessico metafisico — si sostituiscono “parole nuove” se non peggio esternazioni basate su impulsi dettati da correttezza socio-politica, altre strutturate su sentimentalismi buonisti sterili e fini a se stessi.

Chi di noi ha praticato un po’ gli studi giuridici, o più semplicemente per questioni anche pratiche personali ha avuto a che fare col libro delle successioni pro mortis causa — mi riferisco allo specifico al Codice di Diritto Civile del nostro Paese — sa bene, semmai anche sapendone poco di diritto, che il testamento valido è l’ultimo sottoscritto. Se prima di questo testamento ne sono stati sottoscritti altri, automaticamente non sono più validi. A meno che, l’ultimo testamento redatto, non sia inficiato da irregolarità e vizi tali da renderlo invalido, perché in tal caso fa fede il precedente. Ovviamente non siamo qui a discutere di rogiti notarili ma, visto che si parla di testamenti …

tempio di gerusalemme

Ricostruzione plastica dell’antico Tempio di Salomone

… noi siamo di fronte ad una Antica Alleanza che non è annullata dalla prima e ad una Nuova Alleanza che nasce da quella antica. Da una parte abbiamo gli ebrei con un Antico Testamento ed un’Alleanza Antica, dall’altra i cristiani con una Nuova Alleanza e con un Nuovo Testamento. Non è un problema di poco conto, anche se in modo troppo accomodante certi teologi e biblisti sostengono da anni che entrambi i figli delle due alleanze detengono il sacro patto, dato ai primi e mai revocato, ossia l’Antica Alleanza del Popolo di Israele; quindi dato ai secondi, ossia il Nuovo Testamento dei cristiani, la Nuova Alleanza. A tutto questo si aggiunge il Catechismo della Chiesa Cattolica dove si afferma: «l’Antica Alleanza non è mai stata revocata». Ce n’è quanto basta per essere confusi, specie se dinanzi a tutto questo i preti non fanno i pastori di anime che ammaestrano i fedeli; o se i teologi non fanno bene — ma soprattutto con fede — il loro mestiere di strumenti della teologia devota ancella della Verità Rivelata.

The Sermon on the Mount Carl Bloch, 1890

Carl Heinrich Bloch, Discorso della Montagna, olio su tela

Ciò che insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica è sacrosanto, purché sia adeguatamente spiegato, perché il compito del testo è indicare e talvolta schematizzare le verità di fede; mentre il compito dei devoti servitori della verità è quello di spiegarle, per evangelizzare ed istruire i fedeli alla corretta dottrina. La spiegazione a questo apparente dilemma sta tutta quanta in una sola parola che completa questa frase del Signore Gesù, perché con quella sola parola il Verbo di Dio ci offre quella spiegazione che molti — vuoi per eccessi di ecumenismo male interpretato, vuoi per fare dialogo interreligioso a tutti i costi e costi quel che costi — non vogliono però cogliere. Anche perché nel contesto del discorso del Vangelo di Matteo emergono due espressioni che sembrano davvero in contrasto e che tra di loro quasi stridono nell’originale testo greco. Da una parte il concetto di continuità con la Antica Legge: «Non crediate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti: non sono venuto per abolire … [5,17]». Dall’altra, poco più avanti, una frase che pare un monito contenente una vera e propria rottura: «Avete udito ciò che fu detto agli antichi … ma io vi dico … [5,21ss.]». E dinanzi a tutto questo il problema non svanisce ma si complica parecchio. Anche perché, l’affermazione «ma io vi dico», va colta e interpretata secondo gli schemi lessicali della lingua aramaica parlata dal Signore Gesù: è un imperativo espresso con solenne autorità che nella costruzione della stessa frase ruota tutta quanta sull’«io». Cosa che equivale a dire: «È vero perché io lo dico, in quanto io sono prova stessa della verità». Detto questo proviamo a metterci adesso nei panni degli scribi e dei farisei, peggio ancora dei dottori della Legge, per capire come mai costoro accusarono più volte Gesù di bestemmia [Mt 26, 57-58], altre di agire in nome e per conto del Demonio in persona [Lc 11, 15-26], tanto incapaci erano a recepire il messaggio contenuto nel suo linguaggio.

compimentoLa soluzione al “dilemma” è quindi racchiusa tutta in una parola in apparenza così semplice da passare quasi inosservata a molti sapienti: «Compimento». Afferma Gesù: «Non crediate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti, non sono venuto per abolire ma per dare compimento». Il Signore, che è figlio dell’Antica Alleanza, nato ebreo tra gli ebrei e come tale circonciso e sottoposto dal devoto zelo dei suoi genitori a tutti i rituali previsti dalla Legge Mosaica, non porta semplicemente l’Antica Legge a compimento: egli stesso è il compimento fatto carne, quindi corpo e presenza viva, alpha e omega, perché il suo «io» è in verità incarnazione di Dio, quindi sua visibile presenza corporea.

oltre

Andare oltre …

Compire, che può essere tradotto anche come “superare”, “procedere oltre” o “completare”, non vuol dire annullare o cancellare, tutt’altro. L’Antico Testamento è stato propedeutico al Nuovo e come tale va colto e recepito in una dimensione di fede cattolica. Basti pensare alla figura di Giovanni il Battista, il Precursore, colui che dal deserto gridava: «Preparate le nuove strade». Quando il Verbo di Dio si fece carne non cancellò con la sua predicazione quella del Battista, anzi andò da lui e chiese e pretese di essere battezzato. E più volte, predicando, il Signore Gesù ricordò la figura eroica di questo grande uomo di fede che annunciava l’avvento del Messia: «Io vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni» [Lc 7, 28].

foro

veduta dell’antico foro romano

Facciamo un altro esempio ancora, questa volta di carattere storico: dopo la caduta dell’impero romano nasce il medioevo che si articola in almeno tre diversi periodi storici, al termine del quale abbiamo il Rinascimento. Ebbene: il Rinascimento non nasce d’improvviso, tanto meno per caso, ma al termine di un’epoca che lo ha preceduto e in un certo senso preparato, quindi nel Rinascimento è racchiuso e vive anche il medioevo. Altrettanto il barocco, che al proprio interno contiene anche il medioevo e il rinascimento.
Sotto le case di molti centri storici italiani ci sono strati di fondamenta molto più antiche, sulle quali e grazie alle quali oggi sorgono le case visibile e abitate. Questo è ciò che nel linguaggio del Signore Gesù vuol dire portare a compimento. Il Signore Gesù non ha abolito la legge e i profeti, ma sopra le loro antiche fondamenta ha costruito il nuovo tempio di Dio, eretto grazie a quelle antiche fondamenta. E noi siamo grati e sinceri debitori a quelle antiche fondamenta, imprescindibili e indispensabili, grazie alle quali e sopra alle quali il Cristo ha eretto la nuova dimora dell’Altissimo; e dentro quella dimora noi viviamo, benedicendo in eterno e per sempre Cristo Dio che non ha abolito ma ha compiuto, dando vita al Nuovo Israele, al Vero Israele, senza nulla togliere alle fondamenta dell’Antico e del Vero Israele antico, che oggi non è più la casa, ma il fondamento sul quale si regge e si edifica la nuova casa, il tempio di Cristo che ha portato a compimento, senza abolire un solo iota dell’antica legge: «Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto» [Mt 5, 18].

areopago

raffigurazione della predicazione di Paolo all’areopago di Atene

L’Apostolo Paolo, cresciuto e formatosi nell’ambito della cultura farisaica, non si sottrae dall’affrontare il delicato rapporto tra l’Antica e la Nuova Alleanza. Nella Seconda Lettera agli abitanti di Corinto l’Apostolo precisa da una parte che «la nostra capacità viene da Dio che ci ha resi degni di essere ministri della nuova alleanza» [2 Cor 3,6], dall’altra che «fino ad oggi quel medesimo velo rimane non rimosso, quando si legge l’antica alleanza, perché è in Cristo ch’esso viene eliminato» [2 Cor 3,14]. Il tutto per spiegare in modo chiaro che ad essere rimossa non è l’Antica Alleanza ma il velo caduto sopra di essa e che dalla stessa sarà tolto per tutti coloro che credono in Cristo. L’Apostolo non manca di ricordare anche i privilegi dell’antico Israele scrivendo nella Lettera ai Romani: «Essi sono Israeliti, hanno l’adozione filiale, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Gesù secondo la carne» [Rm 9,4-5]. Tutti questi doni rimangono per sempre perché l’amore di Dio inteso come dono indelebile non è vincolato né dalle logiche né dalle risposte umane, ma dalla sua fedeltà all’Alleanza. Per questo «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» [Rm 11,29]. Dunque irrevocabili sono le Alleanze della storia biblica, come irrevocabile ed incancellabile è l’umanità ebraica di Gesù. In questo risiede il concetto stesso che delinea una differenza tra l’Antica e la Nuova Alleanza. L’Antica diventa Nuova in Cristo e non è né vecchia, né abrogata. La Nuova Alleanza fa rivivere l’Antica perché è realizzata col sangue di Cristo: «Questo calice è la nuova alleanza con il mio sangue versato per voi» [Lc 22,20]. O come chiarisce Sant’Agostino: «Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico è svelato nel Nuovo».

Tettamanzi

carnevale ambrosiano” – Il Cardinale Dionigi Tettamanzi ritratto durante una festa vicino ad una Signora mascherata da prete appartenente alla setta dei Vetero-Cattolici.

Queste sono le basi sulle quali si dovrebbe fare ecumenismo con aggregazioni nate da dolorose separazioni col nucleo cattolico che hanno preso vita infarcite delle peggiori eresie, per esempio il Protestantesimo. Il vero ecumenismo si fa partendo di rigore dalla consapevolezza che su questa terra Cristo Dio ha dato vita ad un’unica Chiesa affidata a Pietro, non ad una molteplicità di “Chiese” affidate ad un esercito di congregazioni protestanti suddivise in migliaia di diverse denominazioni, inclusi quei pentecostali dai quali tanti tristi spunti hanno preso certi gruppi cattolici di incontrollati e di incontrollabili carismatici e neocatecumenali. Chi poi avesse dubbi a tal proposito — inclusi alcuni vescovi e cardinali, teologi o biblisti, siano essi viventi come Gianfranco Ravasi o defunti come Carlo Maria Martini — basterebbe che pensasse alle sole parole della professione di fede in cui si proclama il nostro «credo la Chiesa una, santa cattolica e apostolica». Nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano non proclamiamo affatto la molteplicità delle “chiese”, che sono tutte «une» e «sante».

Più delicato ancora è il dialogo interreligioso fatto invece con fedi religiose estranee al nucleo originariounedi cristiano. In quel caso è necessario confermare sempre in modo deciso e rispettoso la nostra fede nel Verbo di Dio fatto uomo. Evitando in ogni modo di annacquare le nostre verità di fede per paura di offendere chi rifiuta e chi nega il mistero dell’incarnazione, della morte e della risurrezione di Cristo Dio, esercitando in modo del tutto legittimo, con tale rifiuto, quella libertà e quel libero arbitrio donato da Dio all’uomo contestualmente alla sua stessa creazione; perché l’uomo è da sempre libero di accettare o di rifiutare il mistero del suo Dio e Creatore, del Cristo Dio Redentore, dello Spirito Santo Consolatore che procede dal Padre e dal Figlio.

una santa cattolica apostolicaSi dialoga spiegando ciò in cui si crede e cercando di trasmettere nel migliore dei modi il nostro credo, non certo ridimensionandolo per andare incontro in modo compiacente a chi rifiuta con decisione — non di rado anche con aggressività distruttiva o con violenza omicida come certe frange islamiche — la Rivelazione del Cristo Dio. Un rifiuto che merita il nostro doloroso rispetto, proprio come Dio stesso ha rispettato con dolore le peggiori scelte ed i peggiori rifiuti liberamente operati dall’uomo e racchiusi sia nel mistero del peccato originale sia nel mistero della croce. Ciò che importa è che sia chiaro che rispettare chi rifiuta il Verbo di Dio fatto uomo non vuol dire certo approvare con gioia chi opera questo rifiuto che nasce a monte dal dramma della chiusura ad ogni azione della grazia redentrice.

Chi rifiuta Cristo Dio va dolorosamente rispettato, non approvato, non condiviso, meno che mai invitato a tenere conferenze ecumeniche nei nostri studi teologici e nei nostri seminari, all’interno dei quali andrebbero spiegati i pericolosi errori insiti — per esempio — nell’eresia protestante e di conseguenza nella sua teologia. Non andrebbero invitati certi studiosi all’interno di questi nostri centri di studio e di formazione per tenere conferenze, perché per quanto possano essere degne persone sotto tutti i profili umani e sociali, sul piano teologico sono infarciti di errori dottrinari e forse, proprio per questo, graditi presso vari atenei ed università pontificie nelle quali di fatto non si insegna più una teologia cattolica, nella migliore delle ipotesi si insegnano filosofismi e sociologismi religiosi elaborati sul linguaggio creativo ed arbitrario di certi teologi, anziché sul linguaggio universale del Magistero della Chiesa, del quale il teologo è solo strumento e fedele diffusore, non critico, non censore …

Assieme alla nostra intima e rispettosa disapprovazione per chi è in errore e per chiprostitute persiste nell’eresia, dobbiamo essere pervasi anche da un profondo senso di pena. Queste sono le basi metafisiche, sorrette dalla filosofia del senso comune [Cf Antonio Livi sulla Filosofia del senso comune]; queste le basi teologiche e pastorali sulle quali si dovrebbe fare ecumenismo e dialogo interreligioso, specie quando protagonisti di certi dialoghi sono vescovi e cardinali chiamati a custodire la fede, non certo ad annacquarla e svenderla per meglio piacere e per rimanere graditi a tutti; inclusi coloro che con fiero orgoglio seguitano indomiti a portare avanti ed a diffondere tutt’oggi le peggiori eresie in danno della Verità Rivelata, incuranti del chiaro monito che ci esorta ad essere perfetti nell’unità [Gv  17, 20]. E se l’unità è stata rotta non va certo benedetta la frattura e conferita dignità all’eresia che ha rotto l’unità della Verità. Il tutto sempre a prescindere dal fatto che il mistero della salvezza è tutt’altra cosa e che come tale è racchiuso nel cuore di Dio che solo è Giudice e che solo può decidere di accogliere nel proprio regno anche interi eserciti di eretici, senza dover chiedere il permesso ad alcun collegio di dottori della legge; cosa di cui, peraltro, ci ha dato chiaro monito per tutti i secoli avvenire, avvisandoci che «I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei Cieli» [Mt 21,28-32].

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Dialogo tra teologi: “La teologia come scienza”

DIALOGO TRA TEOLOGI:
«LA TEOLOGIA COME SCIENZA»

 

[…] per quanto riguarda poi la tradizione teologica protestante, per quanto Lutero, prima di essere scomunicato, fosse dottore in teologia regolarmente autorizzato e ci tenesse a considerarsi “teologo”, tuttavia non si può dire che il tipo di “teologia” avviato dal protestantesimo, e che oggi sta avendo un influsso nel mondo cattolico, sia una vera e propria teologia, nonostante l’attenzione alla Sacra Scrittura e le intuizioni teologiche molto profonde di molti maestri del protestantesimo e la straordinaria intensità dei loro studi e della loro erudizione.  Ma ci vuole ben altro per avere una teologia che si rispetti.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

Come il lettore saprà, di recente Monsignor Antonio Livi ha pubblicato un importante trattato che tocca molto opportunamente e con grande competenza questovera e falsa teologia argomento: Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”» [vedere presentazione video qui]. Un triste e scandaloso fenomeno che purtroppo oggi si nota nella cultura cattolica è il proliferare di persone: preti, religiosi e laici, uomini e donne, magari laureati in teologia presso qualche Facoltà Pontificia, ma che in realtà non sanno che cosa è la teologia; dal che si può immaginare i disastri che combinano. Nel contempo, se da una parte si notano certi laici, anche del popolo, madri di famiglia, giovani, operai, contadini, i quali, fieri della propria fede, hanno il discernimento di notare le eresie di cattivi teologi o pastori, per converso, purtroppo, ce ne sono altri i quali, forse insuperbitisi per il successo mediatico che ottengono, soprattutto giornalisti con indubbie qualità, ma privi di formazione accademica o di mandati ecclesiastici, si atteggiano a censori dal giudizio inappellabile anche contro teologi di professione da lunghi anni al servizio della Chiesa o della Santa Sede e si offendono se quei teologi si permettono di far loro qualche osservazione; come è successo anche noi tre che abbiamo dato vita a questa rivista telematica anche per non dover soggiacere a certi generi di censure [vedere qui, qui]. Che diremmo di questo comportamento posto in essere per esempio negli ambiti clinici legati alla salute fisica? E nel campo del sapere di fede o del bene dell’anima non bisognerebbe essere più umili ed ascoltare coloro che, anche se indegnamente, hanno un mandato ufficiale dalla Chiesa o una lunga esperienza pastorale, soprattutto se sacerdoti o vescovi? Per non parlare poi del mandato conferito al Sommo Pontefice.

Vito Mancuso, teologo, direttore collana “Campo dei Fiori” (Fazi Editore)

il teologo Vito Mancuso, degno del più profondo rispetto, ma non considerabile come un teologo cattolico

Scegliamo fra tutti l’esempio più noto ed evidente: quello di un Vito Mancuso, che nel suo libro sull’anima, venduto in 130 mila copie e regolarmente invitato da molti centri culturali cattolici, dottore in teologia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, raccomandato dal Cardinale Carlo Maria Martini, dichiara in quel libro apertamente e, lasciatemelo dire, spudoratamente, che egli è “cattolico” e che “lo sarà sempre”, ma che nel contempo egli rifiuta quattro o cinque dogmi, perchè, a suo dire, sarebbero “contrari alla ragione”, diciamo meglio: alla sua ragione.  Del resto, mi domando: quanti teologi cattolici oggi ammettono, con metodo realistico e non soggettivistico, l’esistenza di una ragione universale ed oggettiva, propria dell’uomo come tale, alla quale la cultura europea ha creduto a partire da Platone ed Aristotele, e poi da San Tommaso fino a Kant, benchè quest’ultimo non ne riconoscesse adeguatamente il realismo e i presupposti empirici? Per tanti teologi di oggi, a causa di un malinteso pluralismo, non esiste quindi la ragione, universale ed immutabile, con salde certezze, ma ognuno ha la sua ragione, per cui ragiona come gli pare, ossia in base all’apparenza, od alla sua particolare cultura, in continua evoluzione, non quindi in base alla realtà in sè, esterna e indipendente dal pensiero: l’importante è farsi dei discepoli e che si parli di lui nei mass-media e nei circoli intellettuali. Parafrasando il famoso romanzo di Cronin: Le stelle stanno a guardare (1), potremmo dire con molto rammarico: «I vescovi stanno a guardare». San Tommaso e Kant parlano di “ragione speculativa”, anche se naturalmente in modo molto differente. Ne parlerà ancora Hegel, ma ormai in un senso panteistico e gnostico, che susciterà la giusta, anche se esagerata reazione del grande Kierkegaard, che da buon protestante ritroverà l’irrazionalismo esistenzialista ed occamista di Lutero.

tommaso

imagine pittorica raffigurante San Tommaso d’Aquino

Hegel parla ancora di “scienza” dell’Assoluto e riconosce che noi cogliamo la verità divina nel “concetto”. Egli però disprezza la teologia, che per lui si pone non nell’alto livello del denken, ma in quello basso e volgare della Vorstellung. Così la “Scienza assoluta” e il “Concetto assoluto”, di Hegel, idealisticamente identici al reale, sono talmente pretenziosi, che saranno rifiutati parimenti anch’essi da Kierkegaard. Per questo il Kierkegaard, spirito onesto e sincero amante della verità, si mostrò nel contempo un acutissimo critico delle imposture hegeliane, tanto che, come ha dimostrato Fabro nei suo studi interessantissimi, il filosofo danese è molto vicino a noi cattolici e allo stesso San Tommaso (2). Fatto sta che dopo Kierkegaard non si parla più di “ragione speculativa” a causa dell’avvento dello storicismo, del positivismo e dell’esistenzialismo, col loro caratteristico disprezzo per la metafisica e perla filosofia scolastica.

Alcuni, soprattutto tra i cattolici, continueranno a credere disinteressatamente nella verità, se non della ragione, almeno della fede, ma si avranno le varie forme di tradizionalismo, liberalismo, soggettivismo, fideismo, sentimentalismo, ontologismo e fenomenismo condannate dalla Chiesa dai tempi del Beato Pio IX e del Concilio Vaticano I a Pio XII. Infatti la fede è impossibile o falsa, se non esiste la verità razionale che fa da presupposto o da supporto. Per questo San Tommaso sostiene che una buona teologia si costruisce solo utilizzando una buona filosofia (3). La rinascita tomistica di fine Ottocento, preparata da una serie di notevolissimi e zelanti filosofi e teologi e fortemente sostenuta e promossa da Leone XIII e dai successivi Pontefici, fino al Concilio Vaticano II, che raccomanda espressamente il discepolato tomista, ha ridato credito nella cultura cattolica alla teologia come scienza o, come la chiama Antonio Livi, alla “scienza della fede”. È grande merito dell’Aquinate aver fondato la teologia cattolica come scienza (4), anche se la teologia è scienza in un senso speciale, diverso da quello di tutte le altre scienze. Infatti, mentre le altre scienze si fondano su princìpi razionali primi o sul senso comune, i princìpi della teologia cattolica sono dati della rivelazione cristiana, ossia le verità di fede o dogmi. Per questo Antonio Livi la chiama “scienza della fede”: non che la fede possa diventare scienza o che la scienza dimostri razionalmente i dati di fede, come credette di poter fare Hegel. Ma in quanto si tratta di una scienza connessa alla fede, ne costituisce o il presupposto razionale oppure è basata sulla fede e da essa discende, pur restando un sapere umano, capace di obbiettività e certezza (theologice certum), o addirittura di innalzarsi alla prossimità della fede (fidei proximum), soprattutto se si tratta di dottrine approvate o raccomandate dalla Chiesa (5), ma anche cognizione fallibile, che a volte resta limitata al livello della semplice opinione o probabilità.

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La locandina pubblicitaria del film dedicato a Duns Scoto

Questa alternanza di situazioni epistemiche, ora solide, ora precarie, dipende dalla difficoltà più o meno grande delle questioni affrontate. Laddove la materia è più alla portata della nostra ragione, la sua realtà è già stata esplorata e il metodo di indagine è più sicuro, i risultati sono più certi. Diversamente, ci si muove solo nelle ipotesi e in una pluralità di punti di vista a volte contrastanti, ma tutti legittimi, se l’ambito della verità naturale e del dogma viene rispettato. Il teologo può preparare inoltre il pronunciamento dogmatico del Magistero della Chiesa, quando raggiunge risultati molto solidi ed attendibili, in piena conformità alla Scrittura, alla dottrina della fede ed alla Tradizione. Tali risultati possono essere innovativi, sì da far avanzare la conoscenza della Parola di Dio. Tuttavia, una dottrina teologica, per quanto vera, sicura, saldamente fondata sul dato rivelato definito o non definito, non può essere oggetto di fede teologale, se non è la Chiesa che con la sua infallibile autorità la eleva alla dignità di dogma o comunque di verità di fede. Stando così le cose, bisogna distinguere accuratamente l’errore teologico dall’eresia, benchè un errore teologico possa condurre all’eresia. Per esempio, il concetto scotista dell’univocità della nozione dell’essere di per sè è un errore metafisico. Ma in quel grande teologo francescano di vita santa l’univocità è tenuta a bada da tali potenti correttivi, che essa è impedita nel dare i suoi frutti amari.  Applicata infatti in teologia, conduce a concepire la differenza fra l’uomo e Dio solo come divario esistente fra finito (uomo) e infinito (Dio) sulla base di un medesimo concetto dell’essere, dimenticando che l’essere della creatura è solo “analogicamente” essere (esse per participationem) rispetto all’essere divino (esse per essentiam). L’uomo non è un ente al quale, per avere l’essere divino, si aggiunga semplicemente una quantità infinita di essere, così che l’essere come tale si predichi univocamente dell’uomo e di Dio, ossia resti lo stesso con lo stesso significato. Invece, come dice il Concilio Lateranense IV, “tra il creatore e la creatura non si può dare una tale somiglianza, senza che non si debba affermare una ancor maggiore dissomiglianza” [ Cf. Denz. 806].

È vero che l’essere metafisico di Scoto è ancora solo l‘ens ut ens, l‘esse commune. Ma tra l’essere della creatura, univoco all’essere divino, per quanto si enfatizzi la distanza infinita, peraltro quantitativa e non qualitativa, e l’essere divino, resta in realtà solo una sottile parete, che sarà facilmente abbattuta dal panteismo spinoziano ed hegeliano nei secoli seguenti. Il rimedio apportato da Ockham con l’introduzione dell’equivocità, non servirà a nulla, dato che, se da una parte, col pretesto della libertà ed onnipotenza divine, si apre un abisso incolmabile tra l’uomo e Dio, quello che Kant chiamerà il “baratro della ragione” di luterana memoria e la ragione non conduce più a Dio, dall’altra l’essere divino non si concilia più con l’essere umano, sicchè nei secoli seguenti nascerà il terribile dilemma: o l’uomo espelle Dio ribellandosi a Lui e si avrà l’ateismo; o Dio assorbe in sè l’uomo che si fa identico a Dio e si avrà il panteismo.

Hegel

Ritratto d’epoca di Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Passiamo ad un altro aspetto del nostro tema. Certo, la teologia, in quanto discorso su Dio, non deve sempre proporsi la modalità scientifica, perchè certi suoi oggetti, come dimostra chiaramente la storia della salvezza narrata dalla Sacra Scrittura, sono fatti, eventi, luoghi o singole persone o gruppi agenti nello spazio-tempo, quindi una materia contingente, che non può assumere la forma della scienza, avendo essa per oggetto l’universale e il necessario. Per questo, taluni parlano di “teologia narrativa”. Infatti si può parlare di Dio narrando fatti, per esempio il fatto dell’Incarnazione del Verbo o dell’ascensione di Cristo al cielo. Tuttavia, poichè Dio Uno e Trino è Essere assolutamente necessario, eterno ed immutabile, principio universale di tutte le cose, e il necessario, eterno, immutabile ed universale è oggetto della scienza, ecco che la teologia, più che narrazione, è scienza; e, se essa narra, lo fa in relazione all’oggetto principale che è Dio, come rileva San Tommaso (6). La teologia certo racconta, ma lo fa o per condurci a Dio o per mostrare le opere di Dio. Il racconto fine a se stesso è storia, non teologia. Ancor più ci si allontana dalla teologia e dalla stessa verità, cadendo al limite nell’eresia, in quelle concezioni della teologia, ispirate a Hegel, nelle quali la storia finisce per invadere tutto il campo dell’essere e sostituire la metafisica, per cui nulla esiste di immutabile, ossia tutto è divenire, persino Dio. Inoltre San Tommaso, che pure è grande teologo speculativo, amante del concetto proprio e preciso, riconosce che la teologia, per il fatto stesso di usare l’analogia dell’essere, può e deve far uso della metafora (7), che è una forma di analogia, quando la mente avverte di non essere proporzionata all’immensità del divino: un linguaggio che del resto è comunissimo nel Vangelo. In tal modo il concetto preciso ed appropriato, proprio della scienza, si accompagna in teologia all’espressione metaforica, che di per sè sarebbe propria della poesia. Anche in questo sconfinamento nella poesia la teologia mostra di essere una scienza diversa dalle altre. Infatti qui concetto e metafora si illuminano a vicenda: il concetto illumina l’intelletto, la metafora sostiene l’immaginazione. Se per esempio diciamo che il peccato è un'”offesa” a Dio, chiaramente questa è una metafora, giacchè, parlando propriamente, ossia metafisicamente, da cosa può essere menomato o di cosa può esser privato l’Assoluto? Tuttavia, il paragone con le avventure dell’uomo, ci aiuta a capire il male del peccato.

rivelazioneAltra considerazione. Come sappiamo, esiste una teologia naturale e una teologia soprannaturale, che è la teologia cattolica, fondata sulla virtù teologale della fede, che nasce dall’ascolto della predicazione della Chiesa (fides ex auditu). Solo i princìpi del secondo tipo di teologia sono di fede, mentre quelli della prima sono di ragione e di senso comune. Invece il metodo di indagine e i procedimenti dimostrativi sono scientifici sia nell’uno che nell’altro caso. La teologia si costruisce attingendo a speciali fonti o valendosi di speciali mezzi epistemici o metodologici, i cosiddetti “luoghi (gr. topos) teologici” (8). Le fonti principali sono la Scrittura, la Tradizione e il Magistero. Fonti o strumenti o scienze ausiliarie sono una buona filosofia, la liturgia, la patrologia, la storia della Chiesa, la storia della teologia, il diritto canonico, l’agiografia, la storia dell’arte e della letteratura. La teologia è vera teologia, come spiega Antonio Livi, quando il suo metodo è corretto dal punto di vista epistemico, cosa, questa, che conduce all’ortodossia dei contenuti, così come la strada giusta per un certo luogo ci guida al luogo al quale intendiamo arrivare, benchè io possa in qualche modo conoscere questo luogo anche prima di arrivarci. Così similmente i contenuti della teologia hanno già un valore in se stessi, anche indipendentemente dal metodo col quale il teologo li ha stabiliti. Indubbiamente da un metodo sbagliato, come si è detto, non possono che nascere errori. Dal falso non esce il vero. Ma ciò non toglie che un teologo acquisisca o recepisca dottrine teologiche valide o per apprendimento da altri o traendo informazioni da colleghi di lavoro. Il criterio epistemico per stabilire il valore di una teologia è quindi duplice: occorre la correttezza del metodo e l’ortodossia dei contenuti, cosa che a sua volta si verifica seguendo due vie: controllo della bontà della filosofia della quale il teologo si è servito e verifica dell’ortodossia in riferimento agli insegnamenti del Magistero, il quale interpreta infallibilmente le due fonti della Rivelazione: Scrittura e Tradizione. Se la teologia di un dato autore passa a questi esami, allora, sempre secondo il nostro Autore, quella teologia è vera teologia (9).

Bianchi-Martini

il cardinale Carlo Maria Martini ed il dottor Enzo Bianchi

Quando Antonio Livi nega alle opere di certi autori che passano per teologi il vero carattere teologico dei loro scritti, naturalmente non intende necessariamente notarli di qualche errore dottrinale, ma semplicemente osservare che, stando alla rigorosa definizione di “teologia” da lui stabilita del resto sul solco della tradizione cattolica, non possono propriamente essere qualificati come “teologi”, anche se qui possiamo avere dei grandi nomi come Chesterton, Dostojevsky, Bulgakov, Berdiaeff, Guardini, Papini, Pascal, ecc., ma semmai possiamo qualificarli come “pensatori religiosi”. Per quanto riguarda poi la tradizione teologica protestante, per quanto Lutero, prima di essere scomunicato, fosse dottore in teologia regolarmente autorizzato e ci tenesse a considerarsi “teologo”, tuttavia non si può dire che il tipo di “teologia” avviato dal protestantesimo, e che oggi sta avendo un influsso nel mondo cattolico, sia una vera e propria teologia, nonostante l’attenzione alla Sacra Scrittura e le intuizioni teologiche molto profonde di molti maestri del protestantesimo e la straordinaria intensità dei loro studi e della loro erudizione.  Ma ci vuole ben altro per avere una teologia che si rispetti. Quello che manca infatti è un vero spirito sistematico, è l’assunzione di tutti i luoghi teologici, il rispetto della logica, un linguaggio preciso come si conviene alla scienza, un moderato uso dell’immaginazione ed dell’emotività. Da qui la facilità nel cadere in enormi confusioni o al contrario nell’opporre quello che andrebbe unito e armonizzato, per non parlare dell’arroganza con la quale vengono trattati non solo la tradizionale teologia scolastica, ma, come è noto, lo stesso Magistero della Chiesa.
Si direbbe trattarsi di una disastrosa confusione tra profetismo e teologia, che porta ad abusare dell’aspetto metaforico e allusivo del linguaggio profetico, che può essere certo suggestivo, ma senza un’opportuna vigilanza critica, una rigorosa concettualità e una metodologia teologica, si esce spesso dal sentiero della verità. Come stabilisce San Tommaso, la teologia è formalmente una sola scienza (10), benché materialmente e descrittivamente, anche per motivi didattici, comporti una molteplicità di diramazioni o discipline, le quali però fanno tutte capo all’oggetto principale, che nella teologia cattolica, è Dio rivelatosi in Cristo nell’interpretazione dogmatica del Magistero della Chiesa. Queste diramazioni o specializzazioni allora non si determinano in relazione a Dio, benchè si debba distinguere il trattato De Deo Uno dal De Deo Trino e dalla cristologia, ma piuttosto in relazione al creato, all’uomo ed al mondo e quindi all’agire di Dio nel creato e nella storia (magnalia Dei).

bonaventura

immagine di San Bonaventura di Bagnoregio, Dottore della Chiesa

Così avviene che oggi il campo delle discipline teologiche è talmente vasto e molteplice, che non esiste ormai più, come era ancora possibile nel Medioevo, un teologo accademico capace di spaziare su tutti i settori del sapere teologico, ma, al fine di avere una buona preparazione, chi vuol fare il teologo, soprattutto se accademico, deve necessariamente scegliere una particolare disciplina e specializzazione e limitarsi a quella, senza presumere di sentenziare nei settori dove non è competente. Una cosa simile avviene oggi per la medicina, dove, per i problemi seri, bisogna ricorrere allo specialista. In tal modo la prima divisione della teologia è fra teologia dogmatica o speculativa, che considera gli attributi divini e in generale le verità divine immutabili, come per esempio gli angeli, benchè presenti nella storia passata (protologia), presente (ecclesiologia, mariologia e sacramentaria) e futura (escatologia), oggetto di pura contemplazione, e teologia pratica, che considera l’agire umano. A sua volta questo ramo della teologia abbraccia la teologia morale, che tratta delle virtù; e la teologia spirituale, che tratta della perfezione cristiana sotto l’influsso dei sette doni dello Spirito Santo. Si parla qui anche di “teologia della perfezione”, “teologia mistica”, “teologia affettiva” e simili. La teologia morale a sua volta comprende la direzione dall’azione del popolo o del comune fedele e la direzione dell’agire o dell’opera educativa e formatrice dei pastori e delle guide del popolo. La prima è la teologia precettiva (comandamenti di Dio e della Chiesa); la seconda è la teologia pastorale. Siccome poi il dovere del pastore è pascere il gregge ed annunciare il Vangelo, da qui nascono rispettivamente la teologia canonistica (fondamenti teologici del diritto canonico e delle leggi della Chiesa) e la teologia dell’evangelizzazione.  Quest’ultima comporta varie tappe o momenti educativi. Il primo passo è il dialogo con ogni uomo ragionevole concernente la tematica religiosa (teologia del dialogo interreligioso e con i non-credenti); secondo passo è la dimostrazione della credibilità del cristianesimo e la sua difesa dagli attacchi degli increduli (apologetica o educazione alla fede); il terzo è l’istruzione sulla dottrina cristiana (catechesi); il quarto è l’inculturazione, ossia l’inserzione del messaggio evangelico nelle varie culture, dovutamente purificate alla luce dello stesso Vangelo; il quinto è l’attività ecumenica (teologia ecumenica).

Livi-Benedetto

Monsignor Antonio Livi durante la visita del Santo Padre Benedetto XVI alla Pontificia Università Lateranense

Dato che compito della teologia cattolica è quello di far uso di una buona filosofia per interpretare la Scrittura e la Tradizione sotto la guida del Magistero, ecco che, sotto questo punto di vista, bisogna distinguere la teologia scolastica dalla teologia biblica. La prima, la teologia per antonomasia, teologia come “scienza della fede”, come dice la parola, è la teologia che si insegna nelle scuole cattoliche e negli istituti accademici ecclesiastici di ogni ordine e grado. La seconda, è l’indagine, con l’aiuto dell’esegesi biblica, dei grandi temi teologici della Scrittura, che poi sta al teologo sistematico ordinare ed organizzare attorno alle verità fondamentali della fede. Infine c’è da tener presente che ancora per un’altra ragione la teologia cattolica non è soltanto una scienza come le altre, ma, a somiglianza del profetismo biblico e sotto la guida dei doni dello Spirito Santo, è una sapienza, che suppone nel teologo non solo un semplice sapere intellettuale, ma un vero gusto e per così dire un’esperienza delle cose divine, che lo porta a giudicare di esse per una specie di affinità con esse, che San Tommaso chiama iudicium per modum inclinationis (11). La teologia scolastica è così strettamente imparentata con la teologia mistica, frutto dell’esperienza contemplativa di quella verità infinita, che è il Pensiero di Dio, del quale l’uomo è chiamato a partecipare quaggiù nella fede e dopo la morte nella visione beatifica.

Fontanellato, 28 ottobre 2014

________________________
NOTE

(1) Edizione originale The Stars Look Down, 1935
(2) Vedi per esempio i saggi contenuti in Dall’essere all’esistente, Morcelliana, Brescia 1957.
(3) Sum.Theol., I, q.1,a.1.
(4) Vedi su ciò gli studi storici di Dominique Chenu.
(5) Per esempio certe dottrine fondamentali o principali (pronuntiata maiora) di San Tommaso d’Aquino.
(6) Sum.Theol.,I,q.1,aa.2 e 7.
(7) Sum.Theol.,I,q.1,a.9.
(8) Iniziatore di questo trattato, poi divenuto classico, fu il domenicano Melchior Cano con l’opera De Locis theologicis, Edizione di Venezia, 1776.
(9) Questo importantissimo tema dello statuto scientifico della teologia è sempre stato trattato dai tomisti, soprattutto della scuola domenicana. Tanto per fare alcuni nomi del secolo scorso: Garrigou-Lagrange, Maritain, Congar, Journet, Ramirez, Gagnebet, Gardeil, Spiazzi. Cf il mio libro Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla storia della teologia, Piemme, Milano, 2000.
(10) Sum.Theol., I, q.1,a.3.
(11) Sum.Theol.,I,q.1,a.5.

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


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Padre Antonio

stiamo lavorando per voi … contro il sinodo dei media

STIAMO LAVORANDO PER VOI …

CONTRO IL SINODO DEI MEDIA:

ORIENTAMENTI VERAMENTE PASTORALI

SULLA BASE DI VALUTAZIONI

AUTENTICAMENTE TEOLOGICHE

 

Si deve ricordare a tutti la verità, ossia il vero senso teologico di ciò che sta avvenendo nella Chiesa: il Sinodo dei vescovi, questo come gli altri che lo hanno preceduto e che seguiranno, non è un’assemblea politica né un convegno scientifico; è uno strumento di cui serve il Romano Pontefice, Vescovo di Roma e Pastore di tutta la Chiesa, per consultare periodicamente i vescovi di ogni parte del mondo ed elaborare, di volta in volta, dei documenti pastorali riguardanti la Chiesa universale. I due sinodi che si stanno svolgendo: uno straordinario, svoltosi quest’anno, e un altro ordinario, da svolgersi nel 2015, non hanno ancora sottoposto alcuna bozza di documento finale al Papa, al quale spetta in ogni caso la decisione su come utilizzare le proposte dei vescovi. Insomma, non c’è ancora alcun atto del magistero su cui costruire teorie circa presunte riforme o rivoluzioni in atto nella Chiesa.

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

 

cardinale erdo

Il Cardinale Peter Erdö

I diversi e non sempre prudenti interventi dei padri sinodali prima, durante e dopo lo svolgimento del Sinodo straordinario sulla famiglia, unitamente ai commenti spesso sensazionalistici dei teologi e dei giornalisti, hanno avuto l’effetto di presentato all’opinione pubblica cattolica un’immagine drammatica della Chiesa. L’episcopato mondiale sarebbe profondamente diviso; a cinquant’anni dal Vaticano II si sarebbero acuite le tensioni tra due grandi partiti ideologici, i progressisti e i conservatori, i quali si combattono frontalmente, con la prevalenza del partito delle riforme che starebbe per ottenere, con il consenso del Papa stesso, la rinuncia del magistero alla dottrina tradizionale sulla sessualità e sui sacramenti, in particolare Matrimonio ed Eucaristia.

Bruno Forte

Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto

Questa immagine della Chiesa cattolica di oggi è inaccettabile: non solo perché ha sconcertato e disorientato i fedeli  — e questo dispiace a chi ha a cuore i veri interessi della pastorale — ma anche e soprattutto perché è falsa. Essa infatti è stata costruita sulla base su rilevamenti sociologici (sociologia religiosa) del tutto superficiali e parziali, espressi poi con un linguaggio che ignora le categorie propriamente teologiche e che si serve solo delle categorie tipiche della polemica politica, riducendo la normale dialettica delle opinioni sulle scelte pastorali da operare in questo momento storico a una scandalosa lotta tra opposte ideologie che mirano all’egemonia del potere temporale e non alla comprensione delle vicende riguardanti lo sviluppo omogeneo del dogma.

Si deve ricordare a tutti la verità, ossia il vero senso teologico di ciò che sta avvenendo nella Chiesa: il Sinodo dei vescovi, questo come gli altri che lo hanno preceduto e che seguiranno, non è un’assemblea politica né un convegno scientifico; è uno strumento di cui serve il Romano Pontefice, Vescovo di Roma e Pastore di tutta la Chiesa, per consultare periodicamente i vescovi di ogni parte del mondo ed elaborare, di volta in volta, dei documenti pastorali riguardanti la Chiesa universale. I due sinodi che si stanno svolgendo: uno straordinario, svoltosi quest’anno, e un altro ordinario, da svolgersi nel 2015, non hanno ancora sottoposto alcuna bozza di documento finale al Papa, al quale spetta in ogni caso la decisione su come utilizzare le proposte dei vescovi. Insomma, non c’è ancora alcun atto del magistero su cui costruire teorie circa presunte riforme o rivoluzioni in atto nella Chiesa.

predicazione del battista

Predicazione di Giovanni Battista, opera fiamminga del XVI secolo

Chi si rivolge all’opinione pubblica cattolica con senso di autentica responsabilità pastorale, come noi dell’Isola di Patmos, vuole riportare sempre i discorso al significato e al senso teologico degli eventi che caratterizzano la vita ecclesiale. Ma la vera teologia ha come unico punto di riferimento il dogma: non solo per interpretarlo con ipotesi di vario tipo — storiografico, logico, metafisico — ma innanzitutto per precisare razionalmente qual è e dov’è effettivamente il dogma – la verità da credere da parte di tutti senza distinzione di cultura e di orientamenti pastorali — che in ogni momento viene enunciato formalmente dal magistero ecclesiastico. Anche questa funzione di rilevamento dei contenuti e dei limiti del dogma è un lavoro che richiede un livello propriamente scientifico. Quando non ci si colloca a questo livello, le affermazioni dei teologi e anche di singoli vescovi circa i pretesi mutamenti della dottrina della fede sono prive di serietà e sono facilmente infettate da ideologismi di varia natura, con grave danno per il mantenimento e l’incremento della fede nel popolo cristiano.

Proprio perché consapevole della gravità di questa problematica ecclesiale ho aderito volentieri all’iniziativa di padre Ariel S.fides et ratio Levi di Gualdo  di dar vita all’Isola di Patmos, portando “in dote” la idee e le realizzazioni della mia Unione Fides et ratio per la difesa scientifica della verità cattolica. L’Unione opera infatti per promuovere una migliore conoscenza della fede cattolica e una più fedele adesione al magistero della Chiesa, che della fede è interprete infallibile in ogni momento storico e in ogni congiuntura pastorale. L’aggettivo “apostolica” intende poi qualificare l’Unione come lavoro svolto da cattolici che avvertono la responsabilità — propria di ogni battezzato — di partecipare, ciascuno secondo le sue competenze e la sua personale vocazione, all’unica missione della Chiesa, che Cristo ha voluto «una, santa, cattolica e apostolica». Per volere di Cristo, infatti, spetta ai vescovi ― insigniti del carisma della successione apostolica, nell’unità del collegio episcopale presieduto dal Papa ― il dovere di custodire, trasmettere, interpretare e annunciare infallibilmente la rivelazione di Cristo, il Figlio di Dio che il Padre ha inviato nel mondo perché «tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità»; ai presbiteri spetta poi il compito di lavorare nel campo del Signore come «generosi coadiutori dell’ordine episcopale» (cfr Conc. ecum. Vaticano II, Decreto Presbyterorum Ordinis, 2, 7; costituzione dogmatica Lumen Gentium, 28; decreto Christus Dominus, 15; Giovanni Paolo II, esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis, 47); infine, a tutti i fedeli, compresi i laici, il cui ruolo ecclesiale specifico è di «santificare dal di dentro le strutture temporali» (cfr costituzione dogmatica Lumen Gentium, 31; Costituzione pastorale Gaudium et spes, 53; decreto Apostolicam actuositatem, 31), spetta la testimonianza della fede della Chiesa e la sua propagazione in ogni ambito della società umana, avvalendosi di una adeguata formazione teologica, unita alla loro specifica competenza professionale.

Layout 1

Dagli atti dell’ultimo convegno

Quanto alle specifiche finalità apostoliche dell’Unione, che opera per la difesa scientifica della verità cattolica, la dizione “verità cattolica” serve a chiarire che la fede della Chiesa: fides quae ab Ecclesia creditur, è per ciascun credente la verità in senso assoluto, in quanto “parola di Dio”, rivelazione soprannaturale, comunicazione a noi uomini dei misteri della salvezza da parte di Chi «né si inganna né può ingannare altri», essendo Colui che ci ha creati per amore, e poi, dopo il peccato dei progenitori, nella sua misericordia ci ha redenti con la vita, morte e resurrezione del Figlio. L’aggettivo “cattolica” , in particolare, vuole sottolineare due aspetti importanti: il primo è che l’Unione ha come unico fine di servire sul piano scientifico la verità rivelata da Dio in Gesù Cristo e proposta dalla Chiesa cattolica con il carisma dell’infallibilità; il secondo è che l’apostolato promosso dall’Unione parte dal presupposto che la missione della Chiesa è rivolta al mondo intero (katà holon), proprio perché la verità rivelata è destinata a tutti gli uomini ed è riconoscibile come tale da ogni uomo cui venga adeguatamente annunciata, indipendentemente dalle sue circostanze personali di età, cultura ed esperienze: la verità rivelata trascende infatti ogni particolarismo e non muta con il mutare delle contingenze storiche.

Chiarisco infine che cosa intendo per “difesa scientifica”. Nessuno può ignorare che la fede cattolica è oggi sotto attacco: non solo ad opera delle tradizionali forze ideologiche che dall’esterno contestano la sua pretesa di essere la completa e definitiva rivelazione della verità che salva — alludo all’ebraismo, al paganesimo come religione di Stato nell’Impero romano, alla filosofia ellenistica anticristiana di Celso, all’Islam, al deismo illuministico, alla Massoneria, al comunismo ateo, allo scientismo neopositivistico, all’irrazionalismo vitalistico, al razionalismo critico —, ma anche ad opera di quelle nuove forze ideologiche che agiscono all’interno, interpretando la fede cristiana con schemi concettuali erronei o inadeguati i quali finiscono per annullarla proprio come verità; e qui mi riferisco al modernismo teologico e alle varie forme del relativismo dogmatico.

Livi Benedetto XVI

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI incontra i membri del Senato Accademico della Pontificia Università Lateranense, a sinistra Antonio Livi all’epoca decano di filosofia, al centro il Vescovo Rino Fisichella, all’epoca magnifico rettore.

Discutere le false ragioni degli uni e degli altri una discussione che deve essere pacate e serena, priva di passione ideologica ma non priva di sincero e ardente amore per la verità rivelata ― è un diritto e ancor più un dovere per il cristiano che abbia competenza filosofica, come io ritengo di avere. La difesa (apologia) della fede cristiana è peraltro una pratica nata con il cristianesimo stesso; e i primi apologisti che la storia del cristianesimo annovera tra i “padri della Chiesa”, sia di Oriente che di Occidente, furono dei filosofi (si pensi a Giustino martire), i quali si sentirono obbligati, in virtù della loro ferma convinzione razionale che il cristianesimo fosse la «verità definitiva», a smentire le false ragioni addotte da quanti allora pretendevano di negare che la dottrina cristiana fosse la rivelazione divina dei misteri della nostra salvezza. Oggi, come forse mai in passato, è compito irrinunciabile dei filosofi cristiani smentire ― con argomenti razionali, che in definitiva vanno ricondotti alla logica aletica ― le false ragioni da sempre ossessivamente riproposte da chi nega l’origine divina della dottrina cristiana o addirittura pretende di dimostrare che “dottrina” propriamente non è (anche se conoscono la Scrittura, nella quale si legge che Cristo ha detto: «La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha inviato» [cfr Gv 7, 16]).

senso comune

La filosofia del senso comune

Inoltre parlo di una “difesa scientifica” nel senso di una difesa basata su argomenti razionali rigorosi, argomenti che in definitiva ― come ho detto prima ― vanno ricondotti alla logica aletica (che è la logica filosofica in quanto capace di accertare le condizioni di possibilità della verità in ogni situazione conoscitiva), che, essendo il campo filosofico di mia specifica competenza, mi dà la fondata speranza di poter contribuire agli scopi apostolici cui accennavo. E non si pensi che sia arbitrario riferirsi alla filosofia quando si parla di “scienza”; infatti, nel linguaggio epistemologico classico, e anche in quello moderno da me adottato, il sostantivo “scienza” non è da intendersi in senso riduttivo, come riferito unicamente alla teorie fisico-matematiche o biologiche (questo è l’errore epistemologico dello scientismo), ma come sinonimo della conoscenza per inferenza in generale, ivi comprese (e al vertice) la metafisica e la logica. Infatti il mio testo fondamentale su questi argomenti (Filosofia del senso comune) ha come sottotitolo Logica della scienza e della fede. Lavoriamo allora per promuove allora studi e ricerche storico-critiche e filosofico-teologiche utili al perseguimento di alcuni obiettivi concreti:

la divulgazione in ogni ambito della società della retta interpretazione della verità rivelata, quale si trova nei documenti della sacra Tradizione e nella sacra Scrittura, alla luce del magistero ecclesiastico, necessariamente considerato nella sua logica continuità (dalla dottrina degli Apostoli agli insegnamenti conciliari e pontifici più recenti, ivi compresa l’eventuale esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco nel 2015).

Anselmo

Sant’Anselmo d’Aosta, Dottore della Chiesa

La promozione di una maggiore unità dei cattolici nella fede comune, fornendo a tutti i giusti criteri per distinguere, in qualsiasi contesto storico-culturale, la dottrina autorevolmente proposta dalla Chiesa come rivelazione divina ― dottrina alla quale ogni cattolico deve sempre prestare un assenso sincero e convinto ― dalle diverse ipotesi di interpretazione del dogma che possano essere proposte dalle scuole teologiche o da singoli teologi, ipotesi che nulla possono aggiungere e nulla debbono togliere all’unica verità che salva;

La creazione di un nuovo clima culturale, nella Chiesa, che possa garantire ― una volta assicurata quella solida base di unità nella fede di cui sopra ― l’effettivo esercizio della libertà di opinione dottrinale e di scelte pastorali, nella consapevolezza che il pluralismo, sia teologico che pastorale, è non solo legittimo ma anche necessario ai fini dell’intellectus fidei, ossia come esigenza della fede stessa, la quale non cessa mai di ricercare nuovi e più efficaci modi di penetrare nelle profondità della verità rivelata («fides quaerens intellectum»), anche in vista di una sempre più feconda applicazione di essa alle diverse circostanze della vita personale e delle strutture sociali (inculturazione della fede).

Di conseguenza, una sorta di “demitizzazione” della teologia professionale allo scopo di sdrammatizzare le differenze di orientamento dottrinale tra diverse scuole e diversi protagonisti del dibattito pubblico, rendendo consapevoli i fedeli che non hanno senso le reciproche accuse di infedeltà allo Spirito e i reciproci sospetti di eterodossia, perché indubbiamente Dio vuole che tutti noi, nella Chiesa, combattiamo nel solo nome della verità, dell’unica verità della fede cattolica, la quale viene prima di ogni scelta di campo nell’ambito culturale e teologico. Infatti, solo ciò che è definito dogmatico dalla Chiesa può essere identificato con ciò che «sempre, ubique et ab omnibus» è stato creduto (Tradizione) e soprattutto con ciò che oggi e anche in futuro può essere creduto «semper, ubique et ab omnibus» proprio in quanto è la verità rivelata da Dio in Cristo: verità che nel suo nucleo nozionale è e deve restare accessibile a tutti (comprensibile sulla sola base del “senso comune”) e proprio per questo trascende la varietà infinita delle legittime interpretazioni, tanto dei tradizionalisti quanto dei progressisti.

elefante

il peso dell’equilibrio, non è facile, ma è possibile …

Sono consapevole che il perseguimento di siffatti obiettivi richiede un assai difficile equilibrio: tra il dovere dell’obbedienza agli orientamenti pastorali che i legittimi Pastori forniscono a tutto il corpo ecclesiale e la corrispondenza alla vocazione personale di ciascuno nella Chiesa; tra la fedeltà all’unica verità rivelata e la necessità di ricercare sempre nuove vie per l’evangelizzazione; tra la rispettosa accettazione dei diversi carismi e delle diverse opzioni pastorali degli altri fedeli e la passione per le proprie scelte, maturate sulla base della propria lettura dei «segni dei tempi» e sulla scorta della propria esperienza di vita. Ma sono convinto che tale equilibrio è assicurato proprio dalle regole di razionalità integrale suggerite dalla logica aletica e che da anni sono impegnato a illustrare sul piano, appunto, del rigore scientifico nel rilevamento dei dati e nell’argomentazione. Assieme a padre Giovanni Cavalcoli e Arie S. Levi di Gualdo sono certo di poter proseguire efficacemente su questa strada, al servizio della comunità ecclesiale.

Cliccare qua per ascoltare un canto mariano della tradizione popolare

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Ammonire i peccatori: prolusione finale al Sinodo del Sommo Pontefice Francesco

AMMONIRE I PECCATORI:

LA PROLUSIONE FINALE AL SINODO DEL

SOMMO PONTEFICE FRANCESCO

 

Con buona pace di certi “tradizionalisti” noi anziani ricordiamo bene com’era il clima formativo e del confessionale di prima del Concilio Vaticano II nel campo dei peccati di sesso e senza essere modernisti non lo rimpiangiamo affatto …

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

Sinodo 2

Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ottobre 2014

Il recente sinodo dei vescovi, come è noto, ha elaborato delle proposte pastorali riguardanti i valori e i problemi della famiglia da sottoporre in futuro alle decisioni del Papa. Tali proposte sono contenute nel documento finale del 18 ottobre scorso. Esse contengono indubbiamente la conferma della concezione cattolica della famiglia, la lode e l’incoraggiamento alle famiglie che vivono onestamente, santamente ed a volte eroicamente la loro vocazione, in mezzo a rischi, fatiche, sofferenze e pericoli, vincendo ostacoli e superando, con l’aiuto di Dio, prove di vario genere.

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Una coppia di “coniugi” omosessuali con il loro “bimbo giocattolo”

Si parla anche di altre forme di rapporto o di unione uomo-donna civili o extraconiugali e persino di unioni omosessuali, con l’intento di rintracciare o recuperare anche qui dei valori, delle possibilità di riscatto, di elevazione e di miglioramento, di comprendere o scusare difficoltà insuperabili, di elaborare per loro un modus vivendi adatto a loro, che consenta loro di dare un contributo al bene della società e della Chiesa, assicurando anche ad essi la possibilità della salvezza, dato che, come è noto, Dio vuol tutti salvi e dà a tutti tale possibilità, anche a coloro che non possono o non vogliono non per colpa loro ma in buona fede accedere ai sacramenti.

Arcivescovo primate di polonia

Il Primate di Polonia, Cardinale Stanisław Gądecki

L’esame di queste proposte tuttavia, ad un occhio attento, fa emergere l’esistenza di una grave lacuna, la quale fu evidenziata il giorno 14 ottobre in rapporto alla “relazione Erdö” dal cardinale Stanisław Gądecki, Primate di Polonia, il quale ebbe ad osservare: «Durante il dibattito odierno si è sollevato il fatto che la dottrina esposta nel documento ha del tutto omesso il tema del peccato. Come se avesse vinto la visione mondana e tutto fosse imperfezione che porta alla perfezione».

papa 3

Il Santo Padre Francesco

Il Papa, nel discorso fatto al sinodo il 18 successivo, ha raccolto questa saggia osservazione e ricordato:

«La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice, fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”, la tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente [cf. Lc 4,1-4]».

Forse il Santo Padre avrebbe potuto pronunciare il termine esatto: “modernisti”.

Che significano queste parole del Papa? Un principio che dovrebbe essere evidente per tutti i buoni pastori, ossia che occorre certo anzitutto comprendere il peccatore nelle sue debolezze ed incoraggiarlo a sviluppare le sue buone qualità, secondo le parole confortanti del divino Maestro: “Non spezzare la canna fessa e non spegnere il lucignolo fumigante” [Mt 12,20]. Ma tutto ciò non è fine a se stesso, ma serve poi per togliere il peccato ed affrontare di petto il vizio e correggerlo. Parimenti un buon medico, quando si trova davanti ad un malato, indubbiamente valuta quali sono le sue risorse sane, ma al fine di vedere come utilizzarle per sconfiggere il male.

Monica Bellucci in Maddalema

Monica Bellucci interpreta Maria Maddalena nel film The Passion di Mel Gibson

Il rimedio a questo lassismo irresponsabile o forse anche colpevole non sono neppure la rigidezza intellettuale e il rigorismo retrivo di coloro che cedono, come si è espresso il Papa, alla tentazione dell'”irrigidimento ostile”, e che ha chiamato “tradizionalisti”, dove non è difficile riconoscere i nostalgici dei metodi educativi del pre-concilio, come se in questi cinquant’anni la pastorale della sessualità ispirata al Concilio non avesse fatto nessun progresso. Nessun attacco, evidentemente, alla tradizione come tale, ma ad un modo di concepirla, che la oppone alla riforma conciliare.

Questi “tradizionalisti” dalla mente ristretta e dal cuore freddo, col pretesto della difesa dei valori assoluti e del dogma, trascurano, sul piano della concreta guida delle anime, l’attenzione al bene che si trova non nel peccato, ma nel peccatore e l’esigenza di stare al suo passo come la mamma che cammina adagio per accompagnare i passettini del suo bimbo. I veri educatori sanno quanto sono graduali i cammini di perfezione e di liberazione dal vizio e dal peccato.

Noi anziani ricordiamo bene com’era il clima formativo e del confessionale di prima del Concilio Vaticano II nelconfessionale campo dei peccati di sesso e senza essere modernisti non lo rimpiangiamo affatto. C’era per esempio l’abitudine che il confessore accusasse facilmente di peccato mortale un penitente per un piccolo atto involontario ed inconsapevole, compiuto senza malizia e sotto la spinta di un impulso improvviso. I giovani che oggi se la prendono col Concilio forse non sanno bene come stavano prima le cose. Con ciò naturalmente io sono le mille miglia lontano dall’approvare gli eccessi opposti e le dissolutezze di oggi, che si vorrebbero presentare sotto l’egida della “maturità affettiva”, del progresso, della libertà e della misericordia.

Il Santo Padre, dal canto suo, nel medesimo discorso, ha indicato la via giusta in una saggia contemperanza di giustizia e misericordia, promozione e correzione, fermezza e flessibilità, rispetto dei princìpi e attenzione ai singoli casi, il tutto in un grande amore per le anime e la Chiesa, con dedizione, preparazione teologica e spirito di servizio.

peccati differenziati

“raccolta differenziata”

Tornando però al sinodo, si direbbe invece che questi buoni vescovi con i loro discorsi buonisti e pacifisti, non abbiano esperienza del confessionale. Se viene un penitente a dirmi che ha commesso un adulterio, o che si è innamorato di un’altra donna, o che va a prostitute, o ha una relazione extraconiugale, o che convive con un’altra donna, o che è un divorziato risposato, o che è un omosessuale, io lo ascolto benevolmente e cerco di capire la sua situazione e le sue difficoltà, cerco di renderlo cosciente di quanto in questi rapporti può esserci di positivo e di incoraggiarlo in questo senso, ma è evidente che il mio dovere di medico delle anime sarà poi quello di rendere il penitente chiaramente cosciente o della sua posizione irregolare o dello stato di peccato nel quale si trova o per lo meno del fatto che quanto egli fa non va bene ed è un peccato, mortale o veniale che sia, dal quale occorre che si liberi. Dovrò ben avvertirlo delle conseguenze tragiche e del castigo divino, ai quali va incontro, se non si corregge, così come il medico avverte un malato di cuore che se non si cura, gli capiterà un infarto. Altrimenti, che medico sono? Ora, dove sono nel documento dei vescovi questi avvertimenti e queste considerazioni? Essi sembrano dire a tutti: “State tranquilli, abbiate rispetto gli uni delle scelte degli altri, continuate così e vedrete che tutto andrà bene”.

zuccherini

Zuccherini coadiuvanti per la digestione

Se un documento di questo genere, se vuol essere veramente serio, pastorale e formativo, tale da fare il bene delle anime, e non distribuire solo zuccherini e dar l’apparenza di essere acquiescente al male, dovrà bene, alla lode e alla promozione del positivo, aggiungere e precisare con serietà e premura ciò che i pastori devono fare per correggere i peccatori e che cosa i peccatori devono fare per risolvere i loro problemi, liberarsi dalle difficoltà, uscire dalle situazioni irregolari e guarire dal loro peccato.

Di ciò ancora, anche nel documento conclusivo del 18 ottobre scorso, non c’è parola o quanto meno il discorso è troppo scarso e generico e quindi insufficiente. Ci si può chiedere come mai ai nostri vescovi non è venuto in mente di aggiungere le suddette indicazioni, da sempre impartite da tutti i buoni pastori. Possibile che il buonismo modernista li abbia tanto suggestionati? Si direbbe che siamo tutti nello stato edenico e che non esistano più le conseguenze del peccato originale.

coscienza

Quelle profondità della coscienza dell’uomo che Dio solo può penetrare e leggere

Da qui le giuste e gravi osservazioni non solo del Papa e del cardinale Gądecki, o di altri cardinali e teologi, ma di tutti coloro, anche comuni fedeli e le stesse famiglie, che a loro si sono uniti, ai quali stanno cuore il bene di tutti e dell’intera Chiesa. Certamente molte di queste persone devianti, che intravedono la verità e non sono ostinate ed indurite nel peccato, ma avvertono il disagio della coscienza e il desiderio di essere in pace con Dio e con la Chiesa, sono in vari modi disponibili a sentire una parola di paterna correzione, che indichi loro la via del riscatto e della liberazione. Alcune avranno bisogno di essere scosse con una certa energia per essere svegliate dal sonno ed esser rese consapevoli della loro responsabilità e dei gravi rischi che corrono. Da altre bisognerà guardarsi come da persone pericolose. Per altre non resterà altro da fare che pregare perchè si convertano.

porte aperte

Le porte aperte della Chiesa

È vero che la Chiesa non esclude nessuno; ma il fatto è che questi infelici sono loro a non voler appartenere alla Chiesa o se dicono di appartenerle o hanno un concetto falso di Chiesa o sono essi stessi dei falsi e degli ipocriti, che in realtà non vogliono servire la Chiesa, ma servirsene per i propri interessi. E se i medici non parlano, non intervengono, stanno solo a guardare, non fanno diagnosi e soprattutto non curano, che ne sarà dei malati? O se li blandiscono minimizzando i loro mali, come potranno guarire? O se non mostrano loro il loro male, questi malati non potranno forse giungere a pensare che non sia un male ma un bene?

caffè solubile

… matrimoni solubili come il caffè

Questo modo di procedere dei vescovi potrebbe favorire in qualcuno l’idea che poi in fin dei conti, matrimonio indissolubile o dissolubile, castità coniugale o contraccezione, rapporti matrimoniali o prematrimoniali, relazione coniugale o relazione extraconiugale, sacramento o convivenza, monogamia o poligamia, eterosessualità od omosessualità non siano tanto alternative rispettivamente tra bene-azione onesta e male-peccato, ma siano semplicemente scelte diverse, rimesse alla libera scelta di ciascuno. Nasce anche il conturbante sospetto che i vescovi, corrivi a simili blandizie, siano intimiditi dalle pressioni o dalle minacce velate o aperte di poteri forti, che possiamo immaginare quali possano essere e che vogliono far desistere la Chiesa dalla sua fedeltà ai suoi princìpi morali, perchè accetti le massime del mondo.

padre pio

San Pio da Pietrelcina trascorreva ore ed ore ad ascoltare le confessioni

Se le cose stanno così, ci si potrebbe chiedere allora, tra l’altro, che senso ha il sacramento della confessione. Che cosa vai a raccontare al prete? E di fatti noi confessori ci stiamo rendendo conto del clima che si sta creando: spesso chi entra in confessionale non ha peccati dei quali accusarsi, ma fa un elenco di opere buone assicurando il confessore di fare tutto il possibile per essere un buon cristiano. Proprio in quel luogo sacro, dove più che mai il fedele dovrebbe esercitare “con timore e tremore” [Fil 2,12] l’umiltà, senza vane autogiustificazioni, accusandosi di aver peccato ed approfittare della divina misericordia, proprio lì a noi confessori tocca con disgusto di sentire l’empia e farisaica spavalderia di chi si proclama buono e innocente magari accusando gli altri. E se ci azzardiamo a ricordar loro come ci si confessa, si offendono come se avessimo l’ardire di accusare un innocente e si mettono ad accusare noi di cattiveria. Il fatto tragico è che il concetto di peccato come colpa da togliere, ossia come atto cattivo cosciente e libero, sta diventando raro, perchè non ci si misura più su di una norma oggettiva, assoluta, trascendente e dipendente dalla volontà Dio, al Quale dobbiamo render conto, ma ognuno si costruisce un codice morale come gli garba, secondo i propri comodi, suggestionato magari da qualche teologo di moda, non redarguito dall’autorità ecclesiastica. Dio diventa semplicemente un notaio benevolo di tutto quello che ci salta in mente. Per questo, il cosiddetto “penitente” — sarebbe meglio dire “gradasso” o “sbruffone” — non ha nessun peccato da denunciare, del quale pentirsi e chiedere perdono a Dio. Si scambia il confessionale nell’occasione di parlare a ruota libera delle cose più diverse, dalle chiacchiere alle cose serie, ma che nulla hanno a che vedere con le esigenze e quindi la validità del sacramento. Spesso è il penitente che ha già per conto proprio, ben radicata da un’evidente cattiva abitudine, un’idea sbagliata della confessione e se il confessore tenta di correggerla, il buon penitente si risente come se fosse il confessore ad essere un incompetente o una persona crudele, che crea dei problemi che non esistono e “non sa dare una buona parola”. Ma allora, in queste condizioni, il confessore da che cosa dovrebbe assolvere? Che correzioni, rimproveri o richiami può fare? Quali avvertimenti? Quali consigli,? Quali esortazioni? Quali comandi? Sembra che il cosiddetto penitente non si aspetti di guarire da una malattia, ma di essere approvato nella sua condotta e lodato per la sua buona salute. E’ evidente il rischio altissimo che manchino nel penitente le condizioni per una vera confessione. Grande però è qui anche la responsabilità del confessore, che abitua male i fedeli e che trasgredisce il sacro dovere di ricordare al penitente qual è il vero modo di confessarsi.

Quanto dunque sono sempre valide per noi preti e per i nostri vescovi le parole dell’Apostolo al suo diletto Timoteo: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità, per volgersi alle favole» [II Tm 4, 2-4]. Sono i giorni odierni.

buon pastore

immagine del Buon Pastore

Dunque il buon pastore deve stimolare non solo all’amore per la virtù, ma anche all’odio per il peccato e per il vizio. Ci sono dei pastori buonisti i quali parlano sempre sdolcinatamente di “amore” a proposito e a sproposito e sembra a loro che il parlare di “odio” sia sconveniente o contrario alla carità. Si tratta di un equivoco gravissimo.  Già Santa Caterina da Siena, della cui carità non si può dubitare, fine psicologa, donna di buon senso e testimone di quella che è la più elementare convinzione della coscienza morale naturale, diceva: “Quanto più si ama il bene, tanto più si odia il male”. E si noti bene: il male, non il malvagio, il quale di per sè è una creatura, per salvare la quale Cristo ha dato il suo sangue. Ma proprio per amore del peccatore si deve odiare il suo peccato e lo stesso peccatore dev’essere esortato ed aiutato ad abbandonarlo, così come è per amore del malato che il medico combatte la malattia.
Non bastano dunque nel pastore e nell’educatore le lodi del bene, se egli non crea nel discepolo un’opposizione decisa e forte al peccato mostrando tutta la sua bruttezza ed odiosità; e se in special modo non gli indica qual è la via per correggersi, pena la perdizione eterna; altrimenti finisce per creare delle personalità doppie, degli smidollati, degli opportunisti e degli schizofrenici, che apprezzano sì il bene moderatamente, per convenienza, ma, sempre per convenienza, non respingono neppure il male, vedendolo non come una cosa proibita, ma semplicemente diversa, utile all’occasione, così da tenerlo per così dire “in riserva” e metterlo quasi alla pari del bene e in compagnia del bene. Sta qui una certa falsa forma di pluralismo e di rispetto per le scelte altrui, che si risolve nell’astensionismo di chi badando solo ai propri interessi se ne infischia dei mali e delle disgrazie altrui con la scusa di lasciarli liberi.

Occorre, allora, più in radice, ricordare che cosa è il peccato. Noi confessori tocchiamo con mano nella pratica del confessionale come spesso chi si confessa non si sa confessare, perchè ha idee sbagliate sul peccato o non sa che cosa è o nega di aver commesso peccati, sicchè spesso il primo approccio col penitente richiede una previa paziente catechesi sulla confessione, solo al termine della quale il penitente è in grado di dire che peccati ha fatto. Capita che a tutta prima il penitente si meravigli, si irriti o non capisca, come se udisse cose strane e mai sentite; ma con la pazienza e la carità il confessore, magari dopo un lungo colloquio introduttivo, riesce a condurlo alle condizioni adatte per fare una buona confessione. Come esistono le catechesi prematrimoniali, così sono utili le catechesi introduttive al sacramento della confessione, magari anche in penitenti di sessanta o settant’anni, “cattolici” fin da bambini, ma abituati male.

camiciaSi aggiunga la particolare difficoltà dei peccati nel sesso, dove non c’è solo da vincere una passione frequente, irruente, insidiosa e molto attraente, spesso orpellata di scintillanti colori, ma più a monte c’è da tener presente il fatto che il peccato sessuale non ha a tutta prima l’apparenza del male, ma al contrario sembra un bene e una cosa del tutto naturale: un atto legato alla vita, alla gioventù, al piacere, all’amore, alla bellezza, come fa ad essere un male, una cattiva azione? Occorre quindi mostrare la realtà al di là dell’apparenza, far ragionare e spiegare il perchè è un peccato, giacchè, come è noto, l’etica sessuale è sostanzialmente dettata dalla legge naturale, prima che essere precetto del Vangelo o della Chiesa. Per questo, solo che il soggetto sia influenzato da concezioni fenomeniste, emotiviste, esistenzialiste, empiriste, freudiane, edoniste o irrazionaliste o falsamente mistiche, oggi diffusissime, farà un’enorme fatica a capire i motivi e le ragioni dell’etica sessuale. Dunque i vescovi dovrebbero correggere anche queste idee. Ma cosa fanno?

I vescovi quindi dovrebbero ricordare perchè tutte le deviazioni sessuali e i peccati contro la famiglia sono peccati, ed infine, come è sempre usato nella tradizione educativa o pastorale cattolica, dovrebbero ricordare almeno i mezzi principali naturali e soprannaturali, per evitare il peccato, non escluso l’aiuto efficace, che può venire da un sano timor di Dio. È invece troppo diffusa una falsa concezione della divina misericordia, per la quale ognuno potrebbe seguire tranquillamente le proprie voglie nella illusoria sicurezza di salvarsi, presunzione di origine luterana giustamente a suo tempo condannata dal Concilio di Trento.

Military Working Dogs

Pastore tedesco arrabbiato …

A parte i pastori buonisti che trattano duramente e spaventano i pochi buoni, che però sono timidi, i pastori di oggi si astengono troppo dal rimprovero e dalla correzione. Io condivido in pieno il famoso detto di quella grande guida spirituale che fu San Francesco di Sales: “per correggere il peccatore è meglio un cucchiaino di miele che un barile di aceto”; tuttavia il grande maestro, penso, sarà d’accordo con me anche se capovolgo il suo detto in questo senso: “è meglio un cucchiaino di medicina amara, dato con amore, che mille parole dolci ma adulatorie, che lascano il malato nelle condizioni di malato, dandogli magari l’illusione di star bene e di essere semplicemente un “diverso”.

I vescovi parlano opportunamente di “famiglie ferite”. Ora però, dove c’è un ferito, di solito c’è anche il feritore. E’ giusto dunque aver compassione e misericordia per il ferito, ma per il feritore o contro il feritore occorre giustizia e forse anche severità. Si parla di “sfide” alla famiglia; d’accordo, ma ricordiamoci che in campo morale lo sfidante è un peccatore che vuole indurci al peccato.

Si parla di “sofferenze” e “ingiustizie subìte”. Va bene, ma ricordiamoci il peccato di chi fa soffrire gli altri o commette ingiustizie. Se una povera moglie soffre perchè il marito l’ha tradita, ciò avviene perchè il marito ha peccato contro di lei. Misericordia verso la moglie, ma giustizia verso il marito. E dunque non bisognerà tener conto anche di tutte queste cose?

puritani

“I Puritani” celebre opera di Vincenzo Bellini

Si ha l’impressione che i vescovi, quando si avvicinano nel loro discorso al tema del peccato, si fermino con una specie di puritano ritegno. Questo non va bene. È qui che si nota una carenza, che sconfina nell’ipocrisia o nella paura di toccare i potenti. Che misericordia è quella che non difende i deboli dai prepotenti, ma considera questi semplicemente dei “diversi”, liberi di continuare la loro vita? Non sarebbe, questa, una beffa atroce per i poveri oppressi e perseguitati? Le sanzioni penali usano ancora nella Chiesa. Il problema è quello di usarle con giustizia. Se ne fanno uso i modernisti e i buonisti, si salvi chi può.

Ci auguriamo pertanto che il documento dei vescovi, ricco di molti spunti positivi ed incoraggianti, venga però completato da queste note e da questi avvertimenti. Diversamente spetterà al Santo Padre operare gli opportuni interventi, al fine di garantire a questo sinodo il vero raggiungimento del suo fine di incrementare ulteriormente cum Petro e sub Petro i valori della famiglia, e di affrontare e risolvere i problemi ad essa connessi.

Fontanellato, 26 ottobre 2014

Madonna di fontanellato

Cliccare qui per ascoltare un canto mariano della tradizione popolare

Il caso del Vescovo di Albenga, indurrà alla ragione i “tradizionalisti estetici”?

IL CASO DEL VESCOVO DI ALBENGA, INDURRÀ
ALLA RAGIONE I “TRADIZIONALISTI ESTETICI”?

 

[…] sotto il suo governo sono stati accolti in quella Diocesi — o da lui stesso ordinati — anche dei sacerdoti transfughi da varie diocesi che definire problematici è un eufemismo; e questo è un fatto, non una congettura. È caduto, il povero asino, perché i fedeli e diversi sacerdoti di quella Chiesa particolare hanno inviato alla Santa Sede non delle semplici proteste ma delle documentazioni terrificanti, lamentando tra i vari problemi anche quello non lieve che riguarderebbe la presenza di non pochi sacerdoti con palesi tendenze omosessuali …

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Avrei voluto occuparmi di cose molto più interessanti e, perché no: gratificanti. Insomma: fare il mio “mestiere” pastorale-teologico. Ho in lavorazione vari articoli per la nostra pagina Theologica e diversi sono gli scritti che ho abbozzato su alcuni Padri della Chiesa offrendo di essi una lettura attuale, perché oggi più che mai risultano di grande attualità figure di uomini come San Massimo il Confessore o Sant’Anselmo d’Aosta, premesso che l’attualità più sconvolgente ci perviene giornalmente dal Vangelo: molte sono infatti le sue pagine che sembrano scritte oggi per gli uomini e per la società moderna. Caratteristica questa che solo la Parola di Dio riesce ad avere, a riprova di quanto essa sia divina, quindi perennemente viva e in grado di comunicare al di là dei tempi.

New priests pose for a picture under a s

Giovani sacerdoti del seminario di Ecône della Fraternità Sacerdotale di San Pio X

Né io né i miei confratelli con i quali abbiamo dato vita a questa rivista telematica intendiamo portare avanti battaglie contro nessuno: non siamo membri di un partito né siamo sul libro paga di qualche esigente padrone, impegnati come tali a battagliare ed a togliere credibilità ad un partito avversario. Siamo solo e semplicemente preti e teologi cattolici e le uniche battaglie che intendiamo condurre sono quelle per la diffusione e per la tutela delle verità di fede. E la Chiesa non è il nostro partito, è nostra madre, nostra sposa. Nulla quindi di personale, meno che mai di livoroso verso il mondo della cosiddetta tradizione filo-lefebvriana. E oltre a non essere livorosi, siamo da anni consapevoli di un fatto: indurre alla ragione certe persone, soprattutto di fronte all’evidenza dei fatti, risulterebbe impresa ardua persino allo Spirito Santo, figurarsi quindi a noi poveri mortali.

cade asino 1

asino caduto in un pozzo

Il mondo della cosiddetta tradizione è pieno di controsensi e di incoerenze tanto più grandi quanto più accanita è la convinzione degli appartenenti a questo mondo di essere gli unici e soli detentori della purezza cattolica. Quando poi l’asino cade — dal celebre proverbio popolare: «È qua che cade l’asino!» — ecco che i buoni tradizionalisti filo-lefebvriani ed i loro vari fans club non solo non vedono la caduta, ma si comportano come se l’asino non esistesse. Invece l’asino esiste, è caduto, ed in questo specifico caso è proprio un beniamino, un punto di riferimento del mondo della tradizione: il Vescovo di Albenga Mario Oliveri, un indubbio degno pastore ed un uomo di solida dottrina, che in questi giorni si è trovato al centro di varie polemiche. Non sappiamo se il Vescovo sarà esautorato del governo della sua piccola diocesi, né sappiamo se a tal scopo la Santa Sede provvederà alla nomina di un vescovo ausiliare, evitando in tal modo al presule ligure l’umiliazione della destituzione dalla cattedra a poca distanza dal compimento dei 75 anni d’età. Tutte queste, per adesso, sono solo ipotesi e congetture giornalistiche in merito alle quali non si deve neppure entrare.

Mario Oliveri

Il Vescovo Mario Oliveri con una mitria gemmata alta più o meno 80 centimetri

Altro invece il merito nel quale è quasi doveroso entrare: l’asino è caduto perché sotto il suo governo sono stati accolti in quella Diocesi — o da lui stesso ordinati — anche dei sacerdoti transfughi da varie diocesi che definire problematici è un eufemismo; e questo è un fatto, non una congettura. È caduto, il povero asino, perché i fedeli e diversi sacerdoti di quella Chiesa particolare hanno inviato alla Santa Sede non delle semplici proteste ma delle documentazioni terrificanti, lamentando tra i vari problemi anche quello non lieve che riguarderebbe la presenza di non pochi sacerdoti con palesi tendenze omosessuali; ed i più eclatanti in tal senso sono risultati essere proprio quelli col bel latinorum sempre sulla bocca e che con manipoli, chiroteche e cappe magne hanno lo stesso rapporto artistico-professionale che la mitica Wanda Osiris aveva con le rose che lanciava agli spettatori, mentre con i levrieri afgani al guinzaglio scendeva lo scalone illuminato, scortata dai suoi boys e cantando la celebre canzone: «Sentimental, questa rosa appassita» …

Qualche sito e blog ultra tradizionalista ha provato sulle prime ad urlare alla “epurazione franceschista”, insomma: la “ennesima persecuzione”. Poi forse hanno capito ed hanno taciuto. E tutt’oggi seguitano a tacere in un silenzio ipocrita e doloso, avendo deciso che l’asino non può cadere semplicemente perché l’asino non esiste, perché nel mondo della cosiddetta tradizione tutto è puro, bello e spirituale; tutto è sacro e ispirato alla sacralità, altro che quella «oscena messa protestantica di Paolo VI nata in seguito alla grande aberrazione apostatica della Sacrosantum Concilium», come leggiamo ormai da anni in giro per i loro siti e blog dove lo sprezzo del Magistero della Chiesa pare essere lo sport più praticato, ed il tutto in nome di una non meglio precisata “purezza cattolica”.

Chi si è preso cura di leggere un mio libro, E Satana si fece Trino, nel quale dedico l’intero secondo capitolo al problema della «omosessualizzazione della Chiesa», quindi al problema drammatico e pericoloso della lobby gay al nostro interno; o chi ha avuto modo di leggere una mia intervista rilasciata a Roberto Marchesini per La Nuova Bussola Quotidiana [vedere qui], non tanto avrà percepito come la penso, ma in che modo e con quale serietà ho affrontato il problema. E quando si affronta e si analizza un problema, non si può usare due pesi e due misure, assecondo che il problema tocchi “i nostri” o “i loro”.

cade asino 2

forse, con l’apertura alla grazia di Dio e l’accoglimento della sua misericordia, anche gli asini che ragliano, possono andare in Paradiso …

Ciò che rimprovero a questo mondo della cosiddetta tradizione è l’ipocrisia farisaica e la estrema malleabilità sulla morale, riguardo la quale tendono a essere molto rigidi quando riguarda gli altri, sui quali sono pronti a deporre sulle spalle pesi che loro non muoverebbero neppure con un dito [Lc 11,46-48.52], come ha ammonito il Santo Padre stesso nella sua prolusione conclusiva al Sinodo dei Vescovi, per la quale rimando ai due commenti di padre Giovanni Cavalcoli pubblicati in questa rivista telematica.

Per quanto invece riguarda il resto, o meglio per quanto riguarda “i loro”, in quel caso, più che essere indulgenti, proprio non vedono, appunto perché l’asino non esiste. Ecco allora che ai tripudi pontificali nei quali risplendono dalmatiche, piviali e pianete, dove l’incenso avvolge movimenti perfetti, teatrali, studiati al millesimo, di fatto partecipano perlopiù orde di cavalieri veri o presunti, di nobili più o meno decaduti, di aspiranti nobili che vantano i loro quarti di nobiltà, che nella migliore delle ipotesi hanno un paio di divorzi alle spalle ed al momento convivono con una ragazza che potrebbe essere loro figlia. Sia però beninteso: vivono tra di loro come fratello e sorella. Che dire: beati loro! Io me ne guarderei bene dal prendermi in casa con me una statuaria perpetua di 25 anni con misure 90-60-90. Ciò non tanto perché il diritto canonico non me lo consentirebbe e l’Autorità Ecclesiastica neppure, ma perché nessuno sarebbe disposto a credere che viviamo da fratello e sorella, forse il primo a non crederci sarei proprio io. E siccome, pur non essendo un “cristiano adulto” di pura scuola dossettiana, penso però di essere cresciuto a sufficienza come uomo e come prete, ritengo di avere imparato che per fuggire situazioni di peccato il primo passo da fare è quello di fuggire prudentemente le occasioni propizie che creano al peccato tutti i migliori presupposti.

papa bambina

saluto di una bambina al Santo Padre

L’asino esiste e cade, talvolta anche in modo grottesco. E proprio in queste circostanze, attraverso l’auriga virtù della prudenza è necessario, passando per quella carità cristiana eretta sulla verità e sulla giustizia, esercitare la più profonda misericordia sugli asini in caduta libera; la vera misericordia della quale, molto probabilmente, parla il Santo Padre dietro le sue righe nella prolusione finale fatta al Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia.

Cliccare qui per ascoltare Pietà Signore, eseguito da Luciano Pavarotti, Monreal 1978

 

 

Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Il Sinodo dei Vescovi ed il problema Rahner: il grande “apprendista stregone”

IL SINODO E IL PROBLEMA KARL RAHNER: IL GRANDE “APPRENDISTA STREGONE”

 

Nella sua prolusione finale al Sinodo dei Vescovi il Santo Padre propone come retta via da seguire una via media, che sintetizza e unisce armoniosamente i valori contenuti nelle due fazioni, innaturalmente da esse separati e contrapposti …

centro televisivo vaticano

per aprire il video cliccare sopra sull’immagine del CTV

 Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

 

Papa parla al sinodo

Intervento del Santo Padre al Sinodo

È notevole che nel commentare il clima delle discussioni al sinodo in un recente discorso il Santo Padre abbia avuto parole rassicuranti contro eccessivi allarmismi, accennando all’inizio della sua prolusione, come a cosa normale in queste circostanze ed anzi con tono di lode, al confronto in atto delle idee e a certi legittimi contrasti di vedute, di proposte e di opinioni.

papa serio

Il Santo Padre Francesco

Nel prosieguo del discorso il tono del Sommo Pontefice è passato dall’iniziale bonomia ad una ammonitrice serietà, mostrando che se certi contrasti possono essere normali e costruttivi, altri, più profondi, che toccano la dottrina e la morale, la pace e l’unità della Chiesa e l’obbedienza al Papa, non possono essere approvati e devono essere tolti per imboccare una via veramente cattolica e comune, pur nella diversità e nella pluralità delle opinioni e delle legittime scelte pastorali, ma nella luce di Cristo e nel rispetto del magistero della Chiesa. Il Santo Padre Francesco ha prima elencato le vie da non seguire e poi, alla fine, ha indicato la strada giusta.

papa discorso 2

Il Santo Padre durante una sua prolusione

Le vie sbagliate sembrano ridursi a due, ciascuna con una molteplicità di aspetti, che, a ben vedere, costituiscono nell’insieme una scelta unilaterale, potremmo dire parziale, ideologica ed estremista, di un lato della verità contro l’altro, anziché accordarlo e temperarlo con l’altro in una saggia e doverosa sintesi, che colga la totalità del vero e del bene, sicchè l’un lato, isolato, assolutizzato e contrapposto all’altro, diventa esso stesso falso e distruttivo, e quella che dovrebbe essere equilibrata complementarità reciproca, diventa ostilità ed esclusione reciproca.

Cristo con mano sul volto

Immagine del Cristo con la mano sul volto

Non è difficile riconoscere nella descrizione del Santo Padre due partiti che soprattutto dal periodo dell’immediato postconcilio si contendono in modo accanito, presuntuoso ed ostinato un privilegio che in realtà a loro non spetta, ma spetta solo al Successore di Pietro, ossia quello di rappresentare supremamente e in esclusiva la vera fede, il vero cattolicesimo e la vera Chiesa.
L’opposizione tra questi due partiti si può rappresentare molto semplicemente come contrasto tra i troppo indulgenti e i troppo esigenti. Il Papa usa un’immagine evangelica estremamente efficace: la tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente [cf. Lc 4,1-4] e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati [cf. Gv 8,7] cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili” [Lc 10, 27].

caramelle

un cuore colmo … di caramelle

Da una parte ecco quindi “La tentazione del buonismo distruttivo”, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. … La tentazione di trascurare il depositum fidei, considerandosi non custodi ma proprietari e padroni”. E’ chiara l’allusione ai modernisti e ai rahneriani.

chiusura

La verità non può essere un vecchio portone arrugginito sbarrato …

Dall’altra, “la tentazione dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto, la lettera, non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese, lo spirito; dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti — oggi — tradizionalisti e anche degli intellettualisti. La tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano bizantinismi, credo, queste cose…”. È invece qui evidente il riferimento a Monsignor Lefèbvre ed ai suoi seguaci.

via di mezzo

Quella sana “via di mezzo”, che non è compromesso ma equilibrio …

Il Santo Padre propone come retta via da seguire una via media, che sintetizza e unisce armoniosamente i valori contenuti nelle due fazioni, innaturalmente da esse separati e contrapposti, escludendo gli estremismi: Tradizione e Scrittura, continuità e progresso, conservazione del necessario: ciò che permane, e mutamento nel contingente: ciò che passa; misericordia e giustizia, fermezza e flessibilità, unità e pluralismo, apertura al nuovo, e fedeltà alla propria identità, dottrina e pastorale, libertà e obbedienza, storicità dell’uomo e immutabilità del dogma.

l apprendista stregone

Locandina del film L’apprendista stregone

La linea che sta maturando tra i padri sinodali, si può dire dunque che è, come ci si poteva attendere, la conferma della dottrina tradizionale ed immutabile del Vangelo e della Chiesa, che certamente troverà conferma a suo tempo nelle parole del Santo Padre, anche se possiamo immaginare o sperare che la Chiesa troverà applicazioni nuove della legge in conformità alle esigenze, alle prospettive ed ai bisogni delle famiglie del nostro tempo.
Dalle osservazioni critiche del Papa non si può tuttavia non prender atto o non accorgersi dell’esistenza al sinodo di un’oscura ombra di ostilità alle luminose prospettive evangeliche emergenti, che sono oggetto delle annotazioni e dell’incoraggiamento del Papa. Si tratta, a mio giudizio, della suggestione tenebrosa, fascinatrice e sinistra del rahnerismo, che ormai da cinquant’anni si aggira nella Chiesa, ammorbandone ormai sottilmente e insidiosamente l’atmosfera, uno specie di smog che rende l’aria malsana.

karl Rahner fuma

Il teologo gesuita Karl Rahner s.j.

Il rahnerismo è un problema tuttora irrisolto, nonostante le reiterate segnalazioni di illustri e saggi pastori e studiosi, tra i quali diversi cardinali, nel corso di questi cinquant’anni. Le prove delle eresie di Rahner, il grande apprendista stregone, emerse in questo lungo periodo di indagini, sono da tempo pubblicamente accessibili ad una verifica o sguardo obbiettivi e spassionati.
Per questo non si capisce per quale motivo debba perdurare una fama immeritata, che fa solo del danno alla Chiesa, ed ha riflessi disastrosi nel campo della morale, della pastorale e del costume cattolici. Questa fama ha tutto l’aspetto di una fama non autentica, ossia basata su di una vera scienza, ma costruita artificiosamente da oscuri poteri forti, i quali lavorano obbiettivamente per la distruzione della Chiesa.
Un segno conturbante di ciò è dato dalle idee che si stanno affacciando tra i padri sinodali, idee giustamente riprovate dal Papa, e che erano già state criticate dall’ormai famoso gruppo di cardinali, che di recente hanno pubblicato un libro: Permanere nella verità di Cristo [vedere qui] nel quale, professando la loro fedeltà al Magistero della Chiesa, hanno ricordato i valori fondamentali ed irrinunciabili della famiglia, manifestando la convinzione che la Chiesa, applicando giustizia e misericordia, debba mantenere l’attuale disciplina concernente il trattamento delle posizioni irregolari.

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il padre Karl Rahner s.j.

L’ostacolo tuttora persistente alla soluzione del problema Rahner sono il pregiudizio e la grave illusione, duri a morire, che Rahner sia stato un genio teologico ben superiore a San Tommaso d’Aquino, un audace esploratore delle profondità del mistero cristiano e quindi lo scopritore di una teologia molto più avanzata, conforme allo spirito del Concilio Vaticano II, teologia che avrebbe elaborato una nuova visione della fede, del cattolicesimo e della Chiesa, adatta alla cultura moderna, utilizzando le risorse della filosofia moderna da Cartesio ad Heidegger. Tuttavia, ad onor del vero, non è troppo difficile, per chi conosce la storia della teologia, riconoscere negli immani progetti ed impresa rahneriani, atti ad impressionare gli ingenui con una produzione pubblicistica prodigiosa, che tocca tutti gli aspetti della vita cristiana, una gigantesca quanto astuta ed impudente riproposizione del modernismo già a suo tempo condannato da San Pio X.

Karl Rahner 3

il padre Karl Rahner s.j.

Occorre altresì avvertire che per riconoscere le eresie di Rahner, bisogna evidentemente innanzitutto partire da un quadro di valutazione a sua volta libero dal rahnerismo, cosa oggi purtroppo rara, dato che ormai Rahner quasi dappertutto si è acquistato la fama del grande se non unico ed indiscusso maestro del nostro tempo. Criticare Rahner a molti sembra espressione di una mente gretta, invidiosa, chiusa e superata, quasi da non prendere neanche in considerazione. Ad altri sembra cosa scandalosa, intollerabile e quasi sacrilega, meritevole o di disprezzo o di severi provvedimenti.

Si accusano i critici di Rahner di ignoranza, mentre i veri ignoranti sono i rahneriani, che non si son presi la briga di affrontare personalmente i suoi difficili testi, e magari parlano di Rahner per sentito dire o hanno leggiucchiato qualche sua pia elevazione mistica in un’antologia di spiritualità o una di quelle presentazioni divulgative della teologia moderna, tanto superficiali quanto ingenuamente buoniste. Chi invece come il sottoscritto ha letto tutte le opere di Rahner nel corso di 30 anni di studi e consultazioni con esperti, conosce bene l’astuzia di quest’uomo che sempre abilmente mescola il vero col falso e propina il dolce veleno non tutto in una volta in una sola opera  — lo si scoprirebbe subito! —, ma a piccole dosi sparse in vari libri, per cui è solo collegandoli tra di loro che si ha il quadro vero e completo dell’impostura, un po’ come nelle indagini giudiziarie il solerte inquirente entra in possesso delle prove solo mettendo ordinatamente insieme gli sparsi dettagli, che, presi singolarmente, sembrerebbero insignificanti.

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L’opera di Giovanni Cavalcoli sul Karl Rahner, frutto di un trentennio di lavoro scientifico: Karl Rahner il Concilio tradito

Per capire dunque Rahner, è chiaro allora che non basta il fatto materiale d’averlo letto per trent’anni, se poi si procede con parzialità, fanatica soggezione o con gli occhi foderati di prosciutto. Anche molti suoi seguaci hanno speso una vita attorno al loro nume tutelare. Per capire chi è Rahner occorrono le seguenti condizioni morali e teoretiche: amore esclusivo e disinteressato per la verità, rettitudine di intenzione, modestia nel formulare ipotesi interpretative, accoglienza degli aspetti positivi, onestà, prudenza ed umiltà intellettuali, interesse per la salvezza delle anime, possesso di una buona filosofia e teologia (S.Tommaso d’Aquino e la sua scuola) ed assoluto rispetto per il magistero della Chiesa.
A costo di passare per un papalino, oso asserire che l’ultima condizione è quella decisiva e che riassume tutte le altre. E’ qui infatti che casca l’asino rahneriano, per quanto i rahneriani vogliano dare ad intendere, arrampicandosi sugli specchi, che il loro beniamino riflette gli insegnamenti della Chiesa e del Concilio Vaticano II.

Bishop Bernard Fellay

Il Vescovo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità Sacerdotale di San Pio X fondata dal Vescovo Marcel Lefebvre

Non c’è peraltro da fidarsi della critica a Rahner fatta dai lefevriani, sia perchè non sanno riconoscere i lati buoni del teologo e sia perchè, se essi individuano qualche sua eresia, accusano poi di eresia il Concilio, dando così prova di avere gravemente frainteso, in quanto secondo loro il Concilio risentirebbe delle eresie di Rahner.
Il fatto è che i rahneriani più franchi e spavaldi, che sanno che è insostenibile la tesi della fedeltà di Rahner al magistero, quindi non hanno scrupolo di seguire lo stile del loro maestro che con sfacciata impudenza e tono minaccioso, simili a quelli di Lutero, accusa la Chiesa, anche quella conciliare, di essere arretrata e le intìma di aggiornarsi e di accogliere alla buon’ora la sua teologia, se non vuole restare ai margini dell’evoluzione storica del progresso umano.

 

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… Rahner può all’occorrenza emergere come ombra sinistra

Dalle relazioni ufficiali e dai commenti autorevoli, che ci giungono su quanto si sta dicendo al sinodo e dalle stesse parole succitate del Papa, è evidente che tra i padri sinodali sta facendo capolino l’ombra sinistra di Rahner, con la sua caratteristica visione dell’uomo e della morale: ogni uomo è in grazia di Dio, tende a Dio, è in comunione con Dio, quindi è buono e si salva. Dio fa misericordia a tutti e non punisce nessuno. Il peccato, come singolo atto categoriale e particolare non ha importanza, perchè comunque è annullato dalla immancabile presenza della grazia — simul iustus et peccator — ed in tutti esiste l’opzione fondamentale per Dio almeno atematica e trascendentale. Gli atti umani particolari o i concetti dogmatici sono cose incerte, mutevoli e relative, che non hanno importanza. L’importante è l’esperienza preconcettuale di fede — l’ “incontro con Cristo” —, che tutti hanno, anche i non-cattolici e gli atei.

Quindi non si tratta di condannare errori o peccati, ma semplicemente di promuovere il positivo che c’è in tutti (“principio di gradualità”). La distinzione tra unioni di coppia lecite o illecite, regolari o irregolari non ha importanza. Il fatto è che tutti siamo ugualmente in cammino verso Dio, lo sappiamo o non lo sappiamo (“cristianesimo anonimo”). Non esiste un contrario o un proibito, ma solo il diverso, che dunque va rispettato; non si deve quindi condannare come male o falso ciò che è semplicemente diverso.

Non dobbiamo dubitare che il Papa segua questo movimento di idee e al momento giusto le correggerà, come già ha iniziato a fare. Ma resta sempre il problema di fondo che, finchè non sarà risolto, il male e il disagio risorgeranno sempre per tutta la Chiesa, come un cibo non digerito che rimane nello stomaco. Finchè non viene espulso, il tormento rimane.

Fontanellato, 22 ottobre 2014

Madonna di fontanellato

Clicca sotto per ascoltare un canto mariano della tradizione popolare

Suor Cristina canta “Madonna”? E io farò “Mickey Rourke” in Nove settimane e mezzo

SUOR CRISTINA CANTA “MADONNA”? E IO FARÒ “MICKEY ROURKE” IN NOVE SETTIMANE E MEZZO

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Se nulla fosse fatto dagli organismi della Santa Sede competenti per le religiose, in tal caso io potrei sentirmi anche legittimato ad offrirmi ad un regista di video clips per girare nuovamente la colonna sonora del film Nove settimane e mezzo

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 Madonna e suor CristinaLike a virgin

Madonna [vedere qui] Suor Cristina [vedere qui]

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 Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Suor Cristina

il dialogo avanti a tutto: Suor Cristina Scuccia, della Congregazione delle Suore Orsoline della Sacra Famiglia risponde alla banana telefonica

Peggio di noi preti riescono ad esserlo solo le suore. Che Suor Cristina Scuccia abbia una bella voce è fuori discussione. Certo, avrebbe potuto impiegare meglio questo dono di Dio, per esempio entrando come voce solista nel grande coro della Diocesi del Santo Padre diretto magistralmente dal presbitero romano Marco Frisina.

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Il buon Popolo di Dio, col quale chi scrive vive a stretto contatto, è alquanto infastidito dalle performance della religiosa. Nessun fedele cattolico gradisce che una vergine consacrata si prenda gioco della verginità — peraltro liberamente scelta come offerta e dono di consacrazione a Dio — cantando la canzone di una autrice come Barbara Eleonora Ciccone, in arte “Madonna”, che nel corso della sua lunga carriera ha oltraggiato e dissacrato in ogni modo la fede cattolica e i suoi simboli più cari: dal Cristo in croce alla Madre di Dio. E per meglio capire di chi stiamo parlando vi invito a vedere un paio di video, giusto per entrare nell’ordine di idee di chi realmente sia il personaggio Barbara Eleonora Ciccone, in arte Madonna, della quale l’improvvida orsolina ha interpretato una canzone molto particolare, non altro per il suo doppio senso [vedere qui, qui]. Si rimane per ciò sconcertati all’udire l’improvvida suorina che si arrampica sugli specchi nel tentativo di rispondere all’intervistatore di Avvenire, come ad altri intervistatori, circa il suo desiderio di “cristianizzare” qualche cosa di oggettivamente blasfemo, quindi in sé e di per sé diabolico [vedere qui].

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Madonna ed il crocifisso usato come reggicalze

La canzone di questa satanassa italo-americana che la suorina ha scelto di interpretare è una canzone molto particolare: Like a Virgin, come una vergine, dolosamente ignara che le vergini verso le quali il buon Popolo di Dio riversa affetto e venerazione, compresi i cattolici tiepidi e quelli distaccati dalla vita ecclesiale, sono figure straordinarie come Lucia di Siracusa o Agata di Catania, tanto per rimanere nel siculo ambito d’origine di Suor Cristina. E né Lucia né Agata sarebbero state liete d’essere accompagnate nel loro martirio di sangue con le parole della canzone Come una vergine, lanciata da una geniale imprenditrice di se stessa come la Signora Ciccone, che negli anni Ottanta comincia la propria carriera provocando il pubblico col suo stesso nome d’arte, visto che universalmente, da credenti e da non credenti, la Madonna è identificata con Maria di Nazareth. E per noi credenti la Madonna è la Madre di Dio, forse è bene ricordarlo non tanto alla suorina farfallina, ma alla sua superiora generale, forse più farfallina della sua giovane professa, visto che dietro ai cattivi allievi ci sono sempre e di rigore dei cattivi maestri.

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Madonna in uno dei suoi spettacoli dal vivo che canta seminuda su una specie di altare

Per capire Suor Cristina, formatasi in Sicilia e divenuta suora nelle Orsoline della Sacra Famiglia bisogna entrare nel mondo ecclesiale molto complesso di quest’isola, dove esistono antiche chiese di fondazione apostolica o personalmente visitate dall’Apostolo Paolo, come ad esempio la gloriosa Chiesa di Siracusa, edificata per volontà del Principe degli Apostoli dopo quella di Antiochia: Ecclesia Syracusana Prima Divi Petri Filia Et Prima Post Antiochenam, Christo Dicata [La Chiesa di Siracusa è la prima figlia di San Pietro e la seconda dopo la Chiesa di Antiochia, dedicata a Cristo].

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Con una sua breve epigrafe, Giuseppe Tomasi di Lampedusa riassume nel suo Gattopardo lo stato e la psicologia di una intera società: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi!». O per dirla in altre parola a chi pretenderebbe di imporre anche agli altri la propria mancanza di memoria storica: ieri, se i fedeli non davano il voto alla Democrazia Cristiana insulare più corrotta e più collusa coi poteri mafiosi, venivano minacciati dai preti che sarebbero finiti sicuramente a bruciare tra le fiamme dell’inferno. Oggi, cambiata la musica ma non i suonatori, un considerevole numero di preti cresciuti ormai da quattro decenni nel supremo culto dei peggiori esponenti del modernismo e infarciti di esegesi protestanti — grazie non ultimo alla prolifica opera di cattivi maestri — ti passano davanti vestiti in abiti civili ostentando La Repubblica e L’Espresso sottobraccio; e nei loro pubblici discorsi ti citano l’ultimo articolo di Paolo Flores d’Arcais su Micromega, dialogando con laica “maturità” coi cultori dell’aborto, dell’eutanasia, dell’omosessualismo …

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Dal crocifisso reggicalze al crocifisso usato come chiusura della borsetta da sera

E dopo quattro decenni di devastazione ecco infine giungere al golpe supremo l’esercito di coloro che Leonardo Sciascia soleva definire come gli uomini, i mezz’uomini, gli … ma facciamola enunciare direttamente a Sciascia la sua mitica classificazione, senza indurre un prete a sporcarsi più di tanto la bocca:

«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà … Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini … E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito … E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre … Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo … »

[don Mariano Arena al capitano Bellodi – dall’opera Il giorno della civetta]

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Madonna durante una delle sue varie performance con il crocifisso impugnato come una pistola erotica

Questo è l’ambito sociale, ecclesiale ed ecclesiastico nel quale nasce, cresce, studia e si forma Cristina Scuccia, nata a Comiso, nel ragusano, nelle splendide zone della Sicilia Sud Orientale, trasferitasi poi da suora a Milano. Chi dunque crede che il problema sia Suor Cristina, sbaglia. Il problema è una Chiesa particolare non più in grado di esprimere un corretto sentire, pensare e vivere cattolico; che non contenta di questo elimina alla radice come problema o come autentico attentato di lesa maestà tutto ciò che invece è vivere cattolico, sentire cattolico e pensare teologico cattolico, con tutta la logica e coerente pastoralità che da ciò ne consegue.

Suor Cristina è dunque il naturale risultato della cultura dei gattopardi, il naturale risultato di generazioni di preti che hanno confuso la modernità con le eresie moderniste; che da quattro decenni ignorano ormai la teologia dei grandi Padri della Chiesa e che grazie alla venefica scuola di certi maestri ti rispondono che non hanno mai studiato la metafisica di San Tommaso d’Aquino perché nel corso delle prime lezioni presso lo studio teologico gli hanno spiegato che ormai è superato, giungendo infine al sacerdozio dopo essere stati formati su testi di teologi non cattolici d’area tedesca e dopo essere stati infarciti di hegelismo nel corso di studi filosofici e teologici ridotti talora a una penosa farsa, dove sono offerti come unici e soprattutto indiscutibili punti di riferimento — oltre ai divi Hegel e Rahner —, autori come Schillebeeckx, Teilhard de Chardin, Cox, Heidegger, Schleiermacher, Kierkegaard, Barth, Bohnöffer, Bultmann, Moltmann, Cullmann, Lutero, Loisy, Freud, Cartesio, Kant,  Gentile …

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Madonna col crocifisso reggi-stivale

Il problema di Suor Cristina è molto più complesso, se analizzato in un’ottica socio-ecclesiale siciliana e usando come pertinente metro di lettura due geni letterari: il Tomasi di Lampedusa e lo Sciascia. Pertanto bisogna far notare — cosa che faccio notare alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica — che Suor Cristina appartiene a una  congregazione religiosa per la quale la Santa Sede dovrebbe forse procedere quanto prima con una adeguata visita apostolica, se i suoi organismi competenti non fossero troppo impegnati con altre congregazioni, che malgrado certi loro problemi interni, in ogni caso hanno sempre cantato le lodi a Dio e alla Madonna Madre di Dio, non alla Madonna-Ciccone.

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Madonna durante uno dei suoi spettacoli blasfemi dal vivo

Questa stessa congregazione di suore, nel cuore della Città greca di Siracusa non ha trovato di meglio da fare che mutare due proprie ex case di formazione in alberghi, una addirittura in Beauty Farm [vedere qui], gestita direttamente da suore ormai trasformate da vergini consacrate in imprenditrici, prive di vita comune e di senso di vita religiosa. Una lussuosa beauty farm a quattro stelle e passa camuffata a livello amministrativo da “casa per ferie” alla quale è stato dato il nome di “Casa di Maria”, con spirito non meno blasfemo rispetto a quello della loro giovane consorella che canta un irriverente inno a doppio senso sulla verginità lanciato da una cantante che s’è rinominata Madonna in palese vilipendio della Mater Dei.

Suor Cristina è solo la punta visibile di uno stato di degrado e di decadenza della vita religiosa di questa congregazione per la quale urgono adeguati provvedimenti. Da una parte abbiamo infatti le orsoline della Sacra Famiglia che ospitano nella propria lussuosa e costosa beauty farm dei ricchi settantenni che vanno a farsi un po’ di relax con la loro diletta nipotina di 25 anni, senza che alcuna pia suora si sogni certamente di chiedergli il certificato di matrimonio o di negare a tale deliziosa coppia una camera matrimoniale; dall’altra l’emblema della nuova generazione di loro suore che canta le canzoni di quella notoria satanassa della pop star Madonna, anziché sgranare santi rosari di riparazione alla Beata Vergine Maria. L’esperienza e la sensibilità sacerdotale mi insegnano che questa suora non è destinata a rimanere nella vita religiosa e che sarà infine fagocitata dal mondo dello spettacolo, per avere contatto col quale un presbitero, un religioso e una religiosa devono avere una maturità e una solidità di fede che li ponga al riparo da certi pericoli. Mi auguro e le auguro che Suor Cristina non faccia la fine di Suor Sorriso [crf. qui] e che torni serenamente alla vita secolare, come in un futuro più o meno vicino sarà.

 

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Mickey Rourke e Kim Basinger. nel film Nove settimane e mezzo

Se nulla fosse fatto dagli organismi della Santa Sede competenti per le religiose, in tal caso io potrei sentirmi anche legittimato a offrirmi a un regista di video clips per girare nuovamente la colonna sonora del film Nove settimane e mezzo [vedere qui], dove Kim Basinger abbozzava un innocente spogliarello che oggi potrebbe essere proiettato senza problema nei cinema parrocchiali, tanto risulterà  castigato se messo a confronto con le immagini veramente indecenti che ci vengono propinate ai giorni nostri. E nel video farò il ruolo che in quella pellicola faceva il giovane Mickey Rourke in quei lontani anni Ottanta.

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Può essere che dinanzi a quel video il mio santo vescovo cada svenuto a terra con la segretaria che corre a rianimarlo coi sali e col robusto vicario generale diocesano che lo solleva dal pavimento? Non è detto, perché potrebbe essere che il mio santo vescovo e il robusto vicario generale diocesano, essendo entrambi uomini forgiati da grande esperienza pastorale, sul mio video clip se la ridano di gusto dicendosi in privato l’uno con l’altro: «In fondo, vista e considerata Suor Cristina, anche noi preti abbiamo pur diritto alla nostra parte!», compreso dire ciò che pensiamo riguardo a questa cultura di decadenza, di relativismo e di metodica distruzione della teologia cattolica e della pastorale.

dall’Isola di Patmos, 24 ottobre 2014

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La difesa sociale della famiglia, di Giuseppe Brienza

“libri” NOVITA’

 

In questo mese di ottobre 2014 è uscito ed è acquistabile in libreria o richiedendolo direttamente all’editore:

acquisti@editriceleonardo.net

un saggio storico-critico di grande interesse per orientarsi in questo momento della vita ecclesiale

Autore REDAZIONE

Autore
REDAZIONE

La difesa sociale della famigliaLa difesa sociale della famiglia, un libro scritto da Giuseppe Brienza (nella foto a sinistra) con prefazione Giuseppe Brienzadell’arcivescovo di Ferrara, Mons. Luigi Negri (in basso a destra) e postfazione di Mons. Antonio Livi, che ripropone all’attenzione di tutti gli operatori della pastorale in Italia l’esempio della battaglia condotta dal vescovo di Prato, Mons. Pietro Fiordelli, per ribadire i valori umani e religiosi della famiglia, contro la legislazione civile che progressivamente — prima con il divorzio, poi con l’aborto, poi con il matrimonio tra omossessuali e infine con l’eutanasia — va cancellando dalla coscienza comune i principi della legge morale naturale, che il Vangelo nLuigi Negrion abroga bensì rafforza ed eleva all’ordine soprannaturale.

Sono, questi, temi di perenne attualità ma che oggi vanno affrontati con serietà teologica e senso di responsabilità pastorale, tenendo conto delle discussioni pubbliche che hanno preceduto, accompagnato e seguito i lavori del Sinodo straordinario sulla famiglia, e che si intensificheranno ancora di più in vista di quello ordinario dell’anno prossimo.

 scheda libro:

Giuseppe Brienza – Difesa sociale della famiglia

Antonio Livi ( 1938-2020 )
Presbitero e Teologo


( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Antonio

Tre sacerdoti in barca verso il luogo dell’ultima rivelazione

TRE SACERDOTI IN BARCA

VERSO IL LUOGO DELL’ULTIMA

RIVELAZIONE

Autore Antonio Livi

Autore
Antonio Livi

 

Della Chiesa è utile parlare, quando ci si rivolge direttamente o indirettamente ai credenti, in termini rigorosamente teologici. Non è utile, anzi è dannoso parlarne in termini sociologici, perché questi costituiscono la materia della quale l’ideologia — non la fede — costituisce la forma. 

Raffigurazione dell'Apostolo Giovanni che redige l'Apocalisse a Patmos

Raffigurazione dell’Apostolo Giovanni che redige l’Apocalisse a Patmos

Chi, come i promotori di questa rivista telematica, vive la propria fede nella Chiesa con responsabilità genuinamente pastorale, limita i propri interventi sulle questioni di attualità ecclesiologica a considerazioni storico-dogmatiche che si mantengono sempre al livello che compete ad un discorso, appunto, rigorosamente teologico. L’aggettivo “teologico”, d’altra parte, ha senso solo se derivato da un concetto di teologia rigorosamente formulato d’accordo con la missione ecclesiale che la Chiesa ha sempre affidato ai teologi. Tale missione – che io ho esposto in termini scientifici nel trattato epistemologico intitolato Vera e falsa teologia (1) – consiste essenzialmente nel promuovere sempre e dappertutto la crescita della vita di fede tra i credenti attraverso l’ approfondimento dei contenuti razionali della dottrina rivelata, che il magistero ecclesiastico custodisce infallibilmente, interpreta autorevolmente e trasmette fedelmente in ogni tempo e in ogni luogo.

Le proposte teologiche, quale che siano le modalità linguistiche e concettuali della loro espressione, sono valide solo nella misura in cui partono dal dogma e lo illustrano attraverso ipotesi di interpretazione, da presentare sempre come provvisorie e relative, e da sottoporre sempre al vaglio e alla eventuale approvazione o riprovazione del magistero ecclesiastico.

isolotto

Approdo all’Isola …

Per queste solide e incontrovertibilmente valide ragioni, i promotori di questa rivista telematica sono soliti entrare nel dibattito teologico assicurandosi, con grande senso di responsabilità ecclesiale, che le loro opinioni non neghino nemmeno incidentalmente la verità del dogma, ossia la fede della Chiesa, comune a tutti prima e al di qua di ogni ipotesi di interpretazione teologica, finendo cioè per relativizzare ciò che in materia di fede è assoluto. Allo stesso tempo, essi cercano sempre di evitare l’uso di toni perentori, come se la loro interpretazione teologica fosse l’unica accettabile, con esclusione di tutte le altre; e finendo cioè per assolutizzare ciò che in materia di fede è relativo.

Siccome però non tutti coloro che intervengono nel dibattito teologico lachi mi vuole zitto pensano come noi, è successo che i nostri contributi scientifici siano stati talvolta respinti da testate giornalistiche a capo delle quali ci sono intellettuali cattolici di grande nobiltà d’animo ma anche troppo inclini a mescolare inavvertitamente opinioni rigorosamente teologiche con opinioni di altro genere: ideologiche, politiche … sempre sulla base di rilevamenti sociologici, spesso inevitabilmente parziali e sempre e comunque estranei alla sostanza soprannaturale della Chiesa di Cristo.

A woman dressed as a character from the nativity scene puts a lamb around the neck of Pope Francis as he arrives to visit the Church of St Alfonso Maria dei Liguori in the outskirts of Rome

Una immagine del Santo Padre al quale pongono un agnellino sulle spalle

Da questi intellettuali cattolici siamo anche stati talora accusati di non criticare apertamente il Santo Padre Francesco e di non denunciare le sue presunte intenzioni ereticali e pertanto di non opporci allo “scisma” che sarebbe in atto nella Chiesa. Noi non intendiamo però cedere a queste pressioni. Siamo convinti che il compito dei teologi non è quello di contribuire alla confusione dottrinale, equiparando ogni esternazione di un ecclesiastico a un pronunciamento definitorio del Magistero, o peggio ancora: interpretando ogni atto del Pontefice come adesione o promozione di una fazione ideologica all’interno della Chiesa. Fino ad ora, dal concilio ecumenico Vaticano II al Sinodo straordinario sulla nuova evangelizzazione in rapporto alla famiglia, non si ha alcuna notizia della pubblicazione di un pronunciamento ufficiale del Magistero con il quale sia stata modificata la sostanza di un dogma: né quello ecclesiologico, né quello riguardante i sacramenti del matrimonio, della Penitenza e dell’Eucaristia.

Spesso si è invece parlato di talune ambiguità nel testo di alcuni documenti del Vaticano II che intendevano proporre una formulazione nuova — nelle intenzioni, più comprensibile per la mentalità dell’uomo di oggi — della dottrina cattolica, ed è lecito deprecare rispettosamente tali ambiguità (2) e chiedere al Magistero postconciliare di chiarirle autorevolmente (3), ma senza confondere ancora di più la coscienza dei fedeli parlando in modo irresponsabile di “eresie”; cosa teologicamente insostenibile perché, stando ai documenti approvati dall’assemblea e confermati dal Papa, il Vaticano II non ha affatto introdotto nuove formule dogmatiche in opposizione o in sostituzione di quelle già sancite infallibilmente dai precedenti concili ecumenici.

papi postconcilio

Si è parlato anche di scelte operative, rispondenti a criteri prudenziali adottati dai Papi che si sono succeduti in questo periodo: il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Scelte che possono essere giudicate inopportune o inefficaci, dal punto di vista pastorale, ma solo sulla base di criteri personali altrettanto opinabili, non certo sulla base di qualche criterio dogmatico o morale stabilito dalla Chiesa stessa per tutti coloro che esercitano il ministero petrino.

concilio foto

Assemblea di padri conciliari

Si è parlato infine, soprattutto, di interventi da parte di vescovi che furono padri conciliari, a suo tempo, e che oggi sono padri sinodali, i quali si sono espressi in termini dottrinalmente criticabili, e in effetti furono allora duramente criticati, anche da parte di altri padri conciliari, durante lo svolgimento del Concilio, così come oggi lo sono durante lo svolgimento del Sinodo che si concluderà solo alla fine del 2015, e con l’esortazione apostolica che di solito pubblica il Papa raccogliendo, a sua discrezione, i suggerimenti dell’assemblea. La storia e la cronaca di questa dialettica delle opinioni dei teologi e degli orientamenti pastorali dei vescovi, anche se suscitano allarme in chi giustamente ha a cuore le sorti della fede cattolica, non autorizzano però a parlare di un vero e proprio “scisma” in atto nella Chiesa, visto che le diverse opinioni “in corso d’opera” non “fanno testo”, ossia non costituiscono il magistero autentico dei vescovi in comunione con il Papa e non contribuiscono a formare  — e tanto meno a deformare — la fede della Chiesa.

mass media

il peso dei mass media nel falsificare spesso notizie sulla vita della Chiesa

Io queste cose le vado ripetendo da anni, senza essere né compreso né tanto meno approvato dai fanatici del cambiamento e della riforma, i quali si rifanno sistematicamente a teorie non solo scientificamente insostenibili ma addirittura chiaramente ereticali (4). Teorie che costoro hanno sempre cercato di imporre all’opinione pubblica cattolica attraverso un’immagine del Concilio come di una vera e propria rivoluzione dottrinale, interpretando i documenti di questo atto del magistero ecclesiastico solenne alla luce di un’arbitraria «ermeneutica della rottura», come ebbe a lamentare Papa Benedetto XVI. Il quale Papa Ratzinger parlò anche di un «Concilio dei mass media», che raccontava soltanto i retroscena dell’assemblea, privilegiando gli interventi di alcuni teologi e di alcuni padri conciliari per poter parlare di un’«anima del Concilio», di uno «spirito del Concilio», costruito artificialmente ignorando sistematicamente i testi ufficialmente approvati, che invece costituiscono i veri elementi di orientamento dottrinale dei fedeli e gli unici “dati” utili per una interpretazione rigorosamente teologica.

papa sinodo

Sinodo dei Vescovi 2014

Qualcosa di assai simile accade ai nostri giorni con il Sinodo. Anche oggi i progressisti o riformisti più fanatici vanno privilegiando gli interventi di alcuni teologi e di alcuni padri sinodali per immaginare una Chiesa che “va verso il futuro rompendo i ponti con il passato” e benedicendo tutto ciò che finora era stato denunciato come situazione di peccato e che non consentiva la piena comunione con la Chiesa se prima non ci fosse stata la conversione. Alcuni di costoro sono arrivati a presentarsi all’opinione pubblica cattolica come interpreti fedeli delle intenzioni del Papa, il che suona a sacrilega presunzione e ad ignobile manipolazione delle coscienze, ma non ha alcun valore teologico, perché del Papa, chiunque egli sia, importano ai fini dell’obbedienza nella fede, soltanto i suoi pronunciamenti ufficiali, quelli nei quali manifesta in actu l’intenzione di parlare come Pastore della Chiesa universale e di proporre la dottrina cristiana de fide et moribis, impegnando il carisma dell’infallibilità che gli è proprio in esclusiva.

Preti in barca

Raffigurazione pittorica della Chiesa di Cristo

Se dunque da una parte io sono stato combattuto dai progressisti o riformisti più fanatici e più dotati di mezzi di coercizione morale, ora che vengo combattuto anche dai più fanatici tra i tradizionalisti o conservatori, si capisce che sia divenuta un’esigenza vitale quella di trovare uno spazio pubblicistico che consenta di svolgere la propria missione apostolica senza dover prendere la tessera del partito progressista o di quello conservatore. Per questo ho accettato di buon grado la proposta fattami da don Ariel S. Levi di Gualdo di dare vita assieme a padre Giovanni Cavalcoli ad un sito in Internet che si dedichi solo all’orientamento dottrinale di fedeli attraverso studi teologici non strumentali alle ideologie e non legato a interessi politici; un sito che per questo vuole mettere al riparo da qualsiasi abusiva censura e che si impegna a sopravvivere autofinanziandosi.

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(1) Cfr Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012. Per una discussione di questa mia tesi, vedi La verità in teologia, a cura di Marco Bracchi e di Giovanni Covino, con interventi di Nicola Bux, Giovanni Cavalcoli, Christian Ferraro, Serafino Lanzetta, Dario Sacchi e Piero Vassallo, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014.
(2) È quanto ha fatto, tra gli altri, Enrico Maria Radaelli con il suo ultimo saggio, intitolato La Chiesa ribaltata. Indagine estetica sulla teologia, sulla forma e sul linguaggio del magistero di Papa Francesco, Edizioni Gondolin, Verona 2014.
(3) È quanto ha fatto, con fondati motivi pastorali, un teologo autorevole come Brunero Gherardini in Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento 2010.
(4) Vedi in proposito il mio primo contributo a questa rivista telematica: L’ecclesiologia storicistica di Hans Küng [qui].

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

I Vescovi stanno a guardare?

I VESCOVI STANNO A GUARDARE ?

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[…] Il sinodo mondiale, dal canto suo, ha assunto un tono dottrinale che in realtà non gli compete, dato che non si tratta neppure di un’assemblea conciliare, e i Papi hanno cominciato poco dignitosamente a fare i fanalini di coda dei sinodi, col limitarsi a convalidare e sancire le loro conclusioni, anche se poi esse non dicono niente di nuovo dal punto vista dottrinale nè lo potrebbero. Ciò non è dignitoso per il Papa, il quale deve riprendere in mano il proprio potere di guida nei confronti dei vescovi.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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Secondo Rahner il compito del Vescovo è quello di prendere atto della fede “reale” o “effettiva” espressa dal popolo di Dio, come espressione tematica o categoriale e “aposteriorica” della fede atematica trascendentale ed “apriorica”, che è comune ad ogni uomo (“esistenziale soprannaturale”) e quindi anche ai non cattolici espliciti e agli stessi atei, da cui il famoso concetto rahneriano del “cristiano anonimo” dovunque e sempre in grazia, per cui tutti si salvano e non esistono dannati nell’inferno (buonismo trascendentale).

 

rahner-karl

il Padre Karl Rahner

Il vescovo, secondo Rahner, deve sforzarsi come può di capire queste fede e interpretarla rettamente, deve approvarla e sostenerla, deve quindi seguirla nel suo evolversi e nelle sue espressioni storiche, dettate dallo Spirito Santo, deve tradurla in fede dottrinale, ufficiale e istituzionale. Ma è chiaro che il primato spetta sempre alla fede esistenziale dei comuni fedeli dotati del sacerdozio comune battesimale, infallibili nell’ascolto diretto dello Spirito Santo e nell’interpretazione della Parola di Dio, benchè i concetti dogmatici con i quali viene interpretata la detta Parola siano in continua evoluzione e relativi alle varie culture nelle quali si esprimono.

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Assisa del COncilio Vaticano I

assisa del Concilio Vaticano I, stampa d’epoca

Il Concilio Vaticano II, come si sa, ha valorizzato, promosso e stimolato l’attività dei laici, dei religiosi, dei sacerdoti e dei teologi e di fatto da cinquant’anni a questa parte, numerosissime sono state e sono le iniziative di vario genere, alcune delle quali ottime, altre invece, purtroppo, — e forse le più numerose — influenzate da concezioni antigerarchiche e populiste o demagogiche della Chiesa, una certa “Chiesa dal basso”, un certa Iglesia popular, o certi “gruppi spontanei o “di base” degli anni ’70, o “movimenti carismatici” degli anni ’80. Per cui queste iniziative hanno preso la mano ai vescovi, i quali, o ingenuamente sedotti o intimiditi davanti a tanta invadente, poderosa e a volte minacciosa effervescenza, non priva del resto di lati buoni, hanno finito per assumere certo non tutti volentieri il ruolo delineato sopra da Rahner, cedendo ad un’eccessiva indulgenza o tolleranza nei confronti degli errori e dei cattivi comportamenti che si stavano diffondendo.

manifestante pacificoI vescovi, quando non sono “forti con i deboli”, sono diventati come dei notai che si limitano a registrare e ad ufficializzare o al massimo tollerare la “fede” o sarebbe meglio dire le favole che maggiormente circolano tra i fedeli soprattutto quella maggiormente divulgate dai mass-media e dagli istituti educativi e culturali, salvo poi a trattare duramente quei pochi che, fedeli alla concezione evangelica del pastore, osano ricordar loro la loro responsabilità.
Nel contempo il Concilio ha accentuato l’autonomia della Chiesa locale nei confronti di Roma e istituito, come sappiamo, le conferenze episcopali e i sinodi mondiali dei vescovi a regolare scadenza.

Papa Francesco

Il Santo Padre Francesco durante una udienza

Sembra infatti che il Santo Padre Francesco vuol rendere i vescovi partecipi della sua autorità dottrinale. Ciò vorrà dire allora che il sinodo diventerà una specie di Concilio periodico a scadenza fissa e c’è da chiedersi se la cosa non sia troppo artificiosa e poco pratica. Lo sviluppo dottrinale non si può programmare, ma dipende da fattori imponderabili legati alla divina Provvidenza.

Tale istituzione certamente in sé molto importante era destinata a rafforzare l’iniziativa e la responsabilità pastorale dei vescovi presi singolarmente o collettivamente, ma purtroppo in molti casi ha finito per creare una figura di vescovo conformista ed opportunista, priva di una visione universale della Chiesa, chiuso nella sua diocesi o nella sua nazione, pronto a rendersi indipendente dal Papa, pur di non scontentare i propri confratelli più influenti o più stimati o la propria conferenza episcopale di orientamento nazionalista.

Sinodo dei Vescovi sulla famiglia 2014

Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, 2014

Il sinodo mondiale, dal canto suo, ha assunto un tono dottrinale che in realtà non gli compete, dato che non si tratta neppure di un’assemblea conciliare, e i Papi hanno cominciato poco dignitosamente a fare i fanalini di coda dei sinodi, col limitarsi a convalidare e sancire le loro conclusioni, anche se poi esse non dicono niente di nuovo dal punto vista dottrinale nè lo potrebbero. Ciò non è dignitoso per il Papa, il quale deve riprendere in mano il proprio potere di guida nei confronti dei vescovi.
L’inconveniente più grave che è seguìto a tutto ciò, salvi restando gli aspetti positivi, è che è venuta meno la collaborazione tra Papa e vescovi nell’insegnamento e nella difesa della dottrina della fede. Naturalmente questa funzione non si è affatto estinta e dobbiamo riconoscere il grande zelo col quale per esempio un uomo come l’allora Cardinale Joseph Ratzinger ha assolto al suo ufficio alla Congregazione per la dottrina della fede nell’arco di un ventennio, e tanto meno possiamo ignorare i numerosi interventi di Papi e di buoni vescovi, non escluse le conferenze episcopali e i sinodi mondiali.

 

Gioco che sfugge di mano

Il Santo Padre prende al volo una palla da gioco che gli è stata lanciata durante il suo passaggio in Piazza San Pietro. Alla sua destra il comandante della gendarmeria vaticana Domenico Giani

Come ormai notano però da molti anni gli osservatori attenti, l’autorità ecclesiastica a tutti i livelli, dal Papa ai singoli vescovi, non è affatto in grado di controllare una complessa situazione dottrinale e di conseguenza morale, disciplinare e liturgica, che è ad essa sfuggita di mano e divenuta ormai ingovernabile, con gravissimo danno dei fedeli. Spesso e volentieri il dato teologo o il dato vescovo o il dato profeta o veggente prendono il posto del Magistero, il quale viene o ignorato o disprezzato. Che fanno i vescovi? Sì certo, stanno a guardare, ma con quale animo? Possono essere contenti? No certamente. Non si tratta di guardare uno spettacolo piacevole, ma, sia pur in mezzo a fatti positivi, un processo di dissoluzione e di disintegrazione della Chiesa, processo che certo si fermerà, perchè la Chiesa è incrollabile. Tuttavia Dio non le risparmia le prove e le dà i mezzi per superarle.

bastone pastorale

il bastone pastorale che impugnano i vescovi durante le sacre celebrazioni

I mezzi ci sono: bisogna che i vescovi con un umile e coraggioso slancio di fede nel loro stesso carisma, riprendano in mano la situazione. In fondo il gregge di Cristo, frastornato dai mestatori e dai ribelli, non aspetta altro. Il pastore è stato percosso e le pecorelle si sono smarrite. Ma Dio farà mai mancare i buoni pastori? Per nulla!
Il mondo cattolico dispone tuttora, grazie a Dio, almeno nei paesi democratici, di numerosi mezzi di comunicazione, di insegnamento, di azione pastorale, di predicazione: dai pulpiti ai convegni di ogni tipo, dalle parrocchie alla scuola, dalla stampa all’internet, dalle case editrici ai siti web, dai contatti con movimenti e associazioni a quelli con i privati, dalle sale per conferenze alle piazze.
E i temi di possibili ed auspicabili interventi di specifica ed esclusiva competenza del vescovo sono numerosissimi ed urgenti. Non sto neppur ad elencarli.

 

Che un vescovo intervenga alla festa del kiwi o allo spettacolo pirotecnico o all’incontro con i buddisti o al concerto di beneficenza può essere certo simpatico e avvicinare il vescovo alla gente. Resta però da avvicinare la gente a Cristo. Come mai i vescovi si sentono o compaiono così poco laddove solo loro sarebbero i più qualificati a parlare? Non basta “essere tra la gente”; bisogna vedere che cosa si fa tra la gente. Perché poi lasciare ai laici, per quanto competenti e di buona volontà la discussione o ancor più le decisione o la sentenza su argomenti di fede e di morale dove invece così importante e insostituibile, per mandato dello stesso Cristo, è la parola del pastore?

Fontanellato, 1 aprile 2014

 

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